Geopolitica
Gezi Park: il simbolo della Turchia al collasso
A guardare da lontano, c’è il rischio di fraintendere: la Turchia fa la voce grossa, sia diplomaticamente che militarmente, come un giocatore di poker che rilancia continuamente, senza fermarsi mai. Ma la realtà è che Erdoğan è un giocatore allo stremo, che ha dissanguato economicamente il proprio paese ed ora, oltre ad aumentare il livello della violenza repressiva delle sue squadracce, non sa che fare. E quindi cambia, improvvisamente, il quadro delle sue alleanze mediorientali: da protettore della Palestina ed amico dell’Iran si trasforma in sodale delle monarchie arabe, della dittatura egiziana e del governo israeliano che, da alcuni anni, sfidano gli equilibri geopolitici mondiali con le loro minacce a la loro speranza di far scomparire il Qatar, Gaza, la Fratellanza Musulmana e chiunque si opponga ai disegni di Mohammed bin Zayed Al-Nahyan.
L’oltraggiosa dimostrazione di sciovinismo mostrata dal dittatore turco alla fine del recente incontro con i vertici dell’Unione Europea (ha lasciato senza sedia la presidentessa Ursula Von der Leyen[1]) è solo l’ennesimo segno della strategia del regime turco: infischiarsene degli accordi, fare la voce grossa, intimidire militarmente e diplomaticamente, mostrare nessun rispetto per nessuno – non importa se turco o straniero. Per questo motivo, la Turchia di Erdoğan è diventata (consapevolmente) un pericolo continuo per la stabilità e la pace internazionale ed un maglio intollerabile per la popolazione che non può nemmeno sperare in un aiuto che venga dall’esterno.
L’unica speranza, visto che il regime è un’autocrazia finanziata con una spartizione criminale di ogni asset nazionale – cosa che crea un grave malcontento, anche tra i sostenitori originali di Erdoğan – è che il dittatore muoia (ha solo 66 anni) o che l’economia arrivi ad un collasso che scuota anche la lealtà dell’esercito. Il presidente, che negli anni del suo regime ha dimostrato una profonda incapacità nella gestione del paese, sembra quasi che giochi danzando sull’orlo del burrone – non solo quello tra pace e guerra, come ha dimostrato la partecipazione del suo esercito nell’invasione azera del Nagorno-Karabakh, ma anche quello tra bancarotta o sopravvivenza del sistema economico.
Oggi facciamo il punto della situazione di questo paese, della sua incapacità di convivere con il mondo democratico, del suo tradimento della memoria del padre della Patria, Mustafa Kemal Atatürk, del suo tentativo di genocidio nei confronti del popolo curdo, ma soprattutto della repressione non solo della libertà, ma prima ancora dell’informazione: essendo proibite le cattive notizie, in Turchia, oggi, si può parlare solo di sport, ed anche in quel caso con molta prudenza.
Il mito dell’uomo che si è fatto da sé
Come in tutti i regimi autocratici, quello di Recep Tayyip Erdoğan richiede una solida costruzione del mito: il dittatore è nato nel 26 febbraio 1954 a Istanbul, ma ha passato la sua infanzia a Rize, il capoluogo della provincia di Merkez, sulla costa del Mar Nero (suo padre era nella Guardia Costiera) ed è tornato ad Istanbul a tredici anni, dove campa vendendo limonate e semi di sesamo per strada[2] e frequentando una scuola musulmana che dovrebbe aprirgli una carriera religiosa[3]. Ma la sua vera vocazione è fare il calciatore: lo chiamano Imam Beckenbauer e la sua carriera, ai margini del professionismo, durerà 16 anni[4].
In quegli anni di rivoluzioni e di controrivoluzioni, il giovane Tayyip decide che si occuperà di salvare il suo popolo[5], e per questo motivo (dice la sua autobiografia) lascia la scuola religiosa e studia scienze economiche alla Marmara University[6]. Peccato che, al momento in cui Erdoğan si sarebbe laureato, quell’università ancora non fosse aperta…[7] Non è una sciocchezza, perché la costituzione turca chiede la laurea come presupposto per poter ricoprire la carica di Presidente, ed è probabile che il dittatore non l’abbia mai conseguita[8].
In politica fa carriera grazie al suo estremismo nell’Unione Nazionale degli Studenti Turchi, un gruppo di azione anti-comunista[9] e alla sua attività da autore teatrale ed attore in “Maskomya” (1974), una commedia che presenta il Giudaismo e il Comunismo come incarnazione del male[10]. Due anni più tardi viene eletto a capo della sezione giovanile del Partito di Salvezza Nazionale (MSP, Millî Selâmet Partisi)[11], che propone il nazionalismo filoislamico rimasto sconfitto dalla Prima Guerra Mondiale e dalla laicizzazione dello Stato voluta da Atatürk[12].
Nel settembre 1980 c’è il colpo di Stato militare, seguito a disordini, nella grandi città, in cui perdono la vita circa 5000 persone[13]. Il MSP viene sciolto, assieme agli altri partiti, ed il suo fondatore, Necmettin Erbakan, mentore di Erdoğan, viene perseguito per aver violato il divieto sull’uso della religione per scopi politici[14]. Non è da solo: nel corso di un’unica settimana, viene stilata una lista nera di 1.683.000 cittadini, 650.000 vengono arrestati, a 338.000 viene ritirato il passaporto, a 14.000 viene tolta la cittadinanza e vengono espulsi, circa 30.000 fuggono all’estero, 3.854 docenti vengono espulsi dalle scuole e dalle università[15]. Ci sono 50 condanne a morte, ma risalire al numero reale dei decessi è impossibile. L’uso della tortura è sistematico: almeno 179 persone vengono ufficialmente uccise, altre centinaia muoiono in situazioni sospette, di alcune migliaia si perdono per sempre le tracce[16].
Quando nel 1983 vengono di nuovo autorizzati i partiti, i militanti del MSP convergono nel neonato Refah Partisi, guidato da Ahmet Tekdal che, di elezione in elezione cresce dal 4,8% del 1984[17] al 17.88% del 1991[18] e nel 1994, con Erdoğan candidato, vince le comunali di Istanbul e diviene Sindaco con il 25,19% dei consensi[19]. L’anno dopo, grazie ad una rete di alleanze religiose, il Refah vince per la prima volta le elezioni nazionali[20]: un risultato choccante per i partiti laici che, d’accordo con l’esercito, mettono il Refah fuorilegge[21].
L’episodio passa alla storia con il nome di “golpe post-moderno”, un golpe durante il quale non sarà sparato un solo colpo[22]. Erdoğan finisce nei guai dopo aver letto pubblicamente una poesia: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmi, i minareti le nostre baionette ei fedeli i nostri soldati”. Accusato di incitamento all’odio religioso, viene costretto a dimettersi da sindaco e sconta quattro mesi di prigione – il martirio, come verrà, da allora in poi, descritto nella propaganda[23].
Uscito di galera nel 2001, Erdoğan fonda il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP Adalet ve Kalkınma Partisi) che, nelle elezioni del 2002, raggiunge il 34,2% dei voti e conquista 363 dei 550 seggi in parlamento[24]: è il primo partito a vocazione islamica ad avere la maggioranza dal 1923[25]. Abdullah Gül, il co-fondatore dell’AKP, viene eletto Primo Ministro. Nel 2003, con un emendamento costituzionale, il governo annulla la condanna di Erdoğan spalancandogli la strada alla nomina del dodicesimo Primo Ministro della Turchia[26], in un governo in cui Abdullah Gül diviene Ministro degli Esteri[27]. La scena diplomatica internazionale ne prende atto con grande preoccupazione e lo accusa di avere rapporti con il terrorismo jihadista[28].
Cipro ed il voltafaccia sull’Europa
Il nuovo governo eredita un Paese in profonda crisi economica e politica, per il quale è necessario trovare nuovi equilibri interni e riavvicinare gli investitori internazionali cercando di riguadagnare credibilità[30]. Un Paese che, anche con l’accordo dell’AKP, ha guardato all’Unione Europea come la grande speranza di ricchezza e stabilità futura. Erdoğan però inizia male: politicizzazione del controllo bancario, dell’energia e delle telecomunicazioni, taglio di 12.000 posti di lavoro nel settore pubblico ed aumento verticale delle spese militari[31]. Unica concessione: a parole, nell’AKP non ci sarà più spazio per l’islamismo fondamentalista, ma solo un islamismo integrato nella modernità e nel libero mercato, in modo da avvicinarsi all’Unione Europea[32].
Inizialmente, Erdoğan promette la progressiva riabilitazione dell’Islam moderato, l’integrazione del popolo curdo[33], apertura delle scuole, dell’esercito e del parlamento alle donne che indossano il velo[34]. A queste misure fanno da contrappeso limiti severi sulla vendita di alcolici, misure contro il controllo delle nascite e contro l’uguaglianza di genere, ribadendo che uomini e donne non possono essere trattati allo stesso modo[35].
La politica di avvicinamento all’Unione Europea e la liberalizzazione dei mercati portano risultati stupefacenti: nel periodo tra il 2002 ed il 2008 l’economia turca registra una crescita annua media del 7.2%[36]. Durante la crisi globale del 2008, anche il governo Erdoğan viene colpito, come tutti, ma dopo un anno l’economia riparte con una crescita dell’8,8% nel 2010 e del 9,2% nel 2011[37]. Il successo è frutto di una stagione di riforme avviata dal Ministro per gli Affari Economici Kemal Derviş: riforma del sistema bancario tramite l’introduzione di un fondo salvagente per le banche in difficoltà, adozione di un sistema di cambio fluttuante, revocate le restrizioni sugli afflussi di capitali esteri, rafforzata la disciplina fiscale, aumentata l’indipendenza della Banca Centrale e stabilizzata l’inflazione[38].
Ma l’Unione Europea vuole molte cose in cambio, prime fra tutte la reale attuazione delle promesse sulla società laica (che si esprime anche con l’imposizione del velo), la tutela dei diritti dei curdi e di altre minoranze, l’effettiva attuazione delle riforme sui diritti umani, un nuovo ruolo per le donne e per i militari[40]. Ma anche quando il governo turco farà importanti passi in avanti, riconosciuti nell’ottobre del 2005 dal Consiglio Europeo[41], a bloccare tutto sarà la clausola che vuole i turchi fuori da Cipro[42]. Nulla da fare: Erdoğan non vuole perdere la faccia, rifiuta l’accordo e, per giunta, con le navi da guerra inizia a presidiare minacciosamente il Mediterraneo[43].
L’invasione turca del luglio del 1974 porta alla spartizione tra la Repubblica di Cipro, membro dell’Unione europea, e la Repubblica Turca di Cipro del Nord (riconosciuta solo dalla Turchia, che occupa circa il 37% del territorio dell’isola)[44], condannata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 1983[45]. Nicosia è divisa in due da un’area pattugliata dall’ONU (chiamata Buffer Zone)[46]. Gli sforzi per la riunificazione sono stati inutili[47], specie dopo la scoperta del di gas naturale nel Mediterraneo Orientale (2011)[48], che viene rivendicato sia dai ciprioti che dai turchi.
Nel maggio del 2019, la Turchia invia una nave per esplorare il fondale marino al largo della costa settentrionale di Cipro: Nicosia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare[49], che definisce le acque territoriali – e quelle sono acque greche: l’Unione Europea reagisce bloccando un finanziamento di 145,8 milioni di euro, sospendendo i negoziati sul trasporto aereo e i colloqui bilaterali – e siccome il governo turco non cede, Bruxelles invita la Banca Europea a rivedere i prestiti ad Ankara[50]. Nel luglio del 2020 la Turchia invia una nuova missione navale al largo di Kastellorizo, isola greca a circa 2 chilometri dalla costa turca, i greci inviano la marina militare[51]. Mentre scriviamo le due flotte si fronteggiano minacciose.
L’11 ottobre 2020 Cipro Nord elegge come presidente il nazionalista Ersin Tatar, appoggiato da Erdoğan (32,35% dei voti al primo turno ed il 52% al ballottaggio[52]). Tatar appoggia l’operazione di Kastellorizo sicché, a Bruxelles, il governo cipriota esige sanzioni[53] con l’appoggio di Francia e Austria[54]. Solo la Germania, la cui industria militare ha in Ankara uno dei migliori clienti, ed il cui territorio ospita oltre un milione e mezzo di turchi[55], è contraria[56]. È un fatto che fa infuriare i greci che, in mare, sono costretti ad affrontare i sei sottomarini U-214 che la Thyssen ha venduto alla Turchia[57]. Nel dicembre 2020 l’Unione Europea sceglie la strada delle sanzioni[58] ed Ankara, come sempre, risponde stizzita: “L’UE ha nuovamente ignorato il popolo turco-cipriota, il comproprietario dell’isola di Cipro, e la sua legittima volontà”[59].
Il crollo del castello di carta
L’iniziale forte crescita economica ha nascosto i problemi che non sono stati affrontati – primo fra tutti quello dell’istruzione. Solo nel 2012 è stata introdotta la scuola dell’obbligo fino ai 12 anni, ma l’offerta formativa è rimasta quella di 150 anni fa – un dato reso ancora più paradossale dalla parificazione tra scuola religiosa e scuola laica; questo produce una carenza strutturale di figure professionali qualificate ed alla disincentivazione dell’iniziativa personale: nel 2011, il tasso di partecipazione alla forza lavoro è del 50% e solo del 28% per le donne, il tutto complicato da un alto tasso di crescita demografica[61].
A ciò si aggiunge che un mancato riallineamento tra il salario minimo ed il costo della vita, un sistema fiscale fortemente inadeguato, il sistema giudiziario corrotto e politicizzato, sono un mix avvelenato che impedisce un processo di consolidamento economico[62]. Il mercato interno costa più di quanto produce: nel 2012 la metà delle importazioni della Turchia erano elettricità ed energia[63]. L’AKP di Erdoğan, invece di usare la banca centrale (TCMB Türkiye Cumhuriyet Merkez Bankası) per aumentare o ridurre i tassi di interesse in base all’inflazione, si occupa soprattutto di attrarre capitali stranieri abbassando i costi fiscali delle imprese straniere, penalizzando i lavoratori dipendenti, il che genera ulteriore povertà ed insicurezza[64].
L’accumulo di un enorme debito estero, un tasso annuo di espansione del credito bancario del 40% che a sua volta produce un vasto deficit della bilancia dei pagamenti, una irrazionale volontà di tenere bassi i tassi di interesse[65], un aumento verticale del credito al consumo sono i principali ingredienti del crollo del castello di carta dell’economia interna, con la lira turca (TRY) che scende di un quarto del suo valore tra novembre 2010 e settembre 2011, diventando la valuta con la peggiore performance al mondo tra i mercati emergenti[66]. Questo porta gli investitori stranieri a ridurre i depositi in TRY, costringendo la Turchia a finanziare il deficit delle partite correnti in dollari[67].
Allo stesso tempo, l’aggressiva politica estera turca aumenta le tensioni sul mercato mediorientale, che è fondamentale per l’economia di Ankara. Per evitare la recessione, invece di cambiare politica estera, Erdoğan ordina di ridurre i tassi di interesse, ma questa misura, dal momento che il commercio non migliora, si traduce in un’ulteriore svalutazione della lira turca, un aumento dell’inflazione ed una crescita dell’indebitamento delle famiglie[68]. In questa situazione di pericolosa debolezza, Erdoğan decide di aumentare le spese militari e di impegnare l’esercito turco in una serie di azioni all’estero che peggiorano la bilancia commerciale ed aumentano i costi[69].
A partire dal 2014, l’aumento delle azioni di terrorismo jihadista[71] e la pessima reputazione del governo, oltre a spingere sulla diminuzione dell’export[72], danno un colpo terribile al turismo, che diminuisce di un milione di presenze soltanto nel 2015 ed inaugura un’emorragia che dura fino ad oggi[73]. L’esercito, che si rende conto del fatto che Erdoğan stia ammazzando il paese, nel 2016 tenta il colpo di Stato – con effetti nefasti, perché concede al dittatore la possibilità di inasprire leggi liberticide e porta al crollo della borsa, perché gli investitori stranieri si ritirano in tutta fretta dal mercato turco[74]. Erdoğan, come sempre, reagisce mostrando i muscoli, ed ottiene soltanto che Donald Trump ordini l’embargo contro l’acciaio e l’alluminio prodotti in Turchia: un colpo terribile[75], cui Erdoğan reagisce con politiche restrittive sugli scambi commerciali che, in una situazione di crollo delle riserve valutarie (-175% tra il 2014 ed il 2019[76]) portano ad una recessione gravissima, che verrà poi peggiorata dalla pandemia.
Il Presidente, invece di mettere in discussione le proprie scelte, accusa i responsabili della banca centrale: nel luglio del 2019 Erdoğan, senza fornire alcuna motivazione, licenzia il governatore della TCMB, Murat Cetinkaya, in carica dal 2016, quattro anni prima della scadenza del suo mandato[77]. La discutibile scelta mina l’indipendenza di una figura chiave nell’economia. L’incarico viene assegnato al suo vice, Murat Uysal, che è più accomodante sulle linee di politica monetaria imposte da Erdoğan[78]. Ma non basta, perché quella politica è sbagliata, e non frena il crollo[79]: nel novembre anche lui viene sostituito, stavolta dall’ex ministro delle finanze Naci Agbal[80].
Agbal ottiene alcuni risultati facendo crescere il valore del TRY[81], ma Erdoğan non ne è contento, perché, per ottenere questo risultato, alza i tassi di interesse oltre l’8%[82]. A fine marzo del 2021 viene cacciato anche lui, ed il suo posto viene preso da Sahap Kavcioglu, ex banchiere e parlamentare dell’APK, noto per la sua convinta avversione agli alti tassi di interesse[83]. Una scelta palesemente allineata al pensiero dell’attuale Presidente turco che però, sino ad ora, si è dimostrata fallimentare. Il nuovo cambio alla guida della TCMB causa un improvviso tracollo della Borsa[84].
Oramai tutti dicono lo stesso, ma Erdoğan fa finta di non sentire: bisogna far tornare i turisti, perché portano valuta straniera, perché devono ammortizzare investimenti multimiliardari in infrastrutture turistiche che ora agonizzano per mancanza di ospiti; bisogna porre un freno immediato al sistema di crediti al consumo, che ha indebitato quasi tutte le famiglie turche ben al di là della loro capacità di restituire i prestiti, cosa che sta portando la gente alla fame e le banche all’insolvenza; bisogna assorbire una bolla speculativa immobiliare che non è più né realistica né gestibile; bisogna diminuire le spese militari; bisogna migliorare l’immagine estera del paese, fare in modo che ci sia meno violenza per le strade, restituire credibilità alla democrazia ed al mercato – tutte cose ovvie, ma che per Erdoğan significano avvicinarsi ad una sconfitta elettorale che, se si scegliesse la democrazia, sarebbe oramai inevitabile[85].
L’alternativa, però, non è mica allettante. C’è il rischio enorme di un default a medio termine: lo Stato che non è più in grado di pagare gli stipendi[87]. Lo stesso vale per il gruppo Çalık Holding, che finora è stato sovvenzionato dallo Stato, che appartiene alla famiglia del presidente (al genero Berat Albayrak) e non ha mai generato un centesimo di guadagni reali[88].
La prima mossa di Erdoğan è sorprendente: dopo dieci anni di guerra diplomatica, economica e minacce militari tra Turchia ed Emirati Arabi Uniti[89], a gennaio e febbraio del 2021 gli analisti internazionali segnalano che l’atteggiamento ostile tra i due Paesi sta cambiando[90]. A marzo il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha ammesso che il cammino della diplomazia ha rimesso in moto le relazioni tra Ankara ed il Cairo – il che è in aperta contraddizione con la protezione finora accordata alla Fratellanza Musulmana[91], agli Hezbollah ed alla causa palestinese[92].
Una volta ottenuta la promessa di appoggio diplomatico e commerciale dall’alleanza dei Paesi del Golfo, Erdoğan ha ripreso a mostrare i muscoli: il 19 marzo 2021, il presidente Erdoğan emette un decreto per ritirare la Turchia dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, un trattato rivoluzionario fortemente sostenuto dal movimento per i diritti delle donne in Turchia[93].
In poche ore, le primissime azioni intraprese dal governo dell’AKP dopo il voto del 2002, come l’abolizione dei Tribunali per la sicurezza dello Stato[94], l’abolizione della pena di morte[95], i processi di integrazione e di mitigazione degli estremismi religiosi, la concessione di maggiori diritti culturali alla minoranza curda così come l’ampio percorso di riforme di stampo liberale[96] vengono revocate.
L’ampliamento dei poteri dei servizi segreti (Milli İstihbarat Teşkilatı, MİT), che dal 2014 consente ai funzionari MIT di accedere ai dati personali senza un ordine del tribunale e garantisce ai loro agenti l’immunità dall’azione penale per le violazioni della legge commesse[97], oppure la legge che consente un pieno controllo da parte del Governo dei social networks e dei siti internet e stabilisce pene detentive per gli organi di stampa che divulgano informazioni scomode[98], vengono inasprite.
Lo stesso vale per la legge del 2015 che concede un rafforzamento dei poteri della polizia nell’uso indiscriminato di armi ed intercettazioni, di arresti, torture e pestaggi in caso di manifestazioni pubbliche di dissenso[99]. Lo stesso provvedimento permette alla polizia di rimuovere contenuti online e bloccare accounts di Internet e concede al Presidente un fondo discrezionale per finanziare operazioni segrete[100].
Il pugno duro dopo il fallito colpo di Stato del 2016
La vera svolta repressiva e antidemocratica è avvenuta dopo il tentato colpo di Stato del 2016 – un fallito golpe militare costato la morte di 290 persone e il ferimento di altre 1440, che si tramuta in un ottimo alibi per far pulizia degli oppositori attraverso lo stato di emergenza: vengono chiusi 131 organi di stampa, tra cui 45 giornali, 16 canali televisivi, tre agenzie di stampa, 23 stazioni radio, 15 riviste e 29 case editrici[102]. Scattano le manette per oltre 110 mila persone, tra queste 50 mila incriminate, mentre le altre vengono arrestate senza nessuna accusa formale a loro carico, tra cui 7400 militari, 10mila agenti di polizia, 168 ufficiali e 2575 magistrati[103].
La riforma costituzionale, approvata con il 54,1% di voti favorevoli nell’aprile del 2017 con un contestato referendum[104], trasferisce la maggior parte dei poteri dal Primo Ministro al Presidente, il cui potere diventa autocratico: capo dell’esecutivo, capo dello Stato, nomina ministri, stila il bilancio, sceglie i magistrati ed emette leggi per decreto presidenziale, ed è l’unico che possa dichiarare lo stato di emergenza[105]. Le conseguenze sono tragiche e delineano la nascita dell’attuale dittatura monocratica.
● nel giugno 2017, Enis Berberoğlu, un politico e giornalista turco del CHP Partito popolare repubblicano viene condannato dal tribunale a 25 anni di carcere con l’accusa di spionaggio per aver trasferito a giornalisti esteri un video che dimostra come i servizi segreti turchi trasportano armi in Siria[106].
● nel novembre del 2017 il Governo vieta tutti gli eventi in difesa dei diritti di omosessuali, bisessuali e transgender ad Ankara e poi in tutto il paese[107].
● nel marzo del 2018 il tribunale turco condanna a pene detentive severissime 14 giornalisti e dipendenti del quotidiano turco Cumhuriyet, al carcere, rei di aver dimostrato simpatia per Fetullah Gulen[108], acerrimo oppositore di Erdoğan.
● nel luglio 2018 le autorità di nove province al confine siriano interrompono la registrazione dei richiedenti di asilo. La sospensione produce deportazioni illegali, rimpatri forzati e negazione dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione[109].
● sempre nello stesso mese il Parlamento presenta un progetto di legge che si prefigge di rendere definitivi i poteri straordinari concessi al Presidente durante il recente stato di emergenza, che formalmente si è concluso il 18 luglio 2018[110].
● il 21 settembre 2018 una manifestazione di lavoratori che protestano per le cattive condizioni di lavoro viene attaccata dalla polizia con manganelli e gas lacrimogeni: 500 di loro vengono detenuti per quattro giorni, impedendo loro l’accesso ad avvocati, ai parlamentari ed ai familiari; 24 restano detenuti in custodia cautelare mentre 19 verranno rilasciati su cauzione[111].
● il 24 aprile 2020, Ali Erbaş, un imam a capo della Direzione per gli affari religiosi della Turchia, dice in un sermone che l’omosessualità e il sesso prematrimoniale sono responsabili della diffusione dell’AIDS. Alcuni gruppi per i diritti e associazioni degli avvocati di Ankara muovono delle critiche: diversi alti funzionari turchi, tra cui il presidente Erdoğan , dopo aver espresso il loro sostegno alle osservazioni di Erbaş condannano l’Ordine degli avvocati di Ankara per aver criticato il sermone[112].
● nel luglio 2020 Human Rights Watch denuncia percosse ed altri abusi perpetrati nei confronti di almeno 14 persone in sei incidenti a Diyarbakır e Istanbul nei due mesi precedenti[113]. L’11 settembre 2020 la polizia turca effettua dei raid e arresta 47 avvocati nelle loro case, accusandoli di terrorismo, e perquisisce i loro uffici[114].
● il procuratore capo della corte d’appello turca annuncia l’apertura di un caso per proibire il partito filo-curdo HPI (Partito Democratico dei Popoli)[115] e convalida la decisione di Erdoğan di espellere dal Parlamento di un deputato dell’HDP[116]. Per ora il Tribunale Supremo ha rigettato la richiesta di mettere al bando il partito a causa di “omissioni procedurali”[117].
Gezi Park e la violenza come programma politico
Il 27 maggio 2013 alcuni rappresentanti della Taksim Solidarity – una coalizione di ONG, gruppi politici e organismi professionali, iniziano a riunirsi a Gezi Park[119]. La piccola manifestazione ha come motivazione l’opposizione ad un piano che di fatto distruggerebbe il parco, uno degli ultimi spazi verdi nel centro di Istanbul: si prevede la ricostruzione della caserma ottomana del XIX secolo, Topçu Kışlası, un centro commerciale ed una moschea[120]. Il giorno successivo un gruppo di manifestanti ambientalisti organizza nella stessa Gezi Park un pacifico sit-in. La polizia interviene usando gas lacrimogeni e spray al peperoncino nel tentativo di disperdere i manifestanti, il che suscita l’indignazione nell’opinione pubblica[121].
Il 30 maggio, soprattutto grazie ai social networks, il racconto dei fatti avvenuti il giorno precedente inizia a diffondersi e la protesta si allarga ad un numero sempre più elevato di partecipanti, cui la polizia reagisce con gas lacrimogeni, botte e tende utilizzate per la raccolta di firme bruciate[122]. In pochi giorni, decine di migliaia di manifestanti scendono in piazza nelle principali città della Turchia. Già nella metà giugno i manifestanti che si uniscono nelle “proteste di Gezi Park” sono centinaia di migliaia in quasi tutte le 81 province della Turchia[123]. Erdoğan avverte: saremo più duri, ed “anche battere pentole e padelle in solidarietà con i manifestanti sarà considerato un crimine”[124].
Nel frattempo, i giornalisti che avevano raccontato le proteste, i medici che avevano curato i feriti e gli avvocati che avevano assistito i manifestanti, vengono arrestati. Vengono rivolte intimidazioni e minacce nei confronti degli imprenditori che hanno offerto riparo ai manifestanti in fuga dalla violenza della polizia aprendo loro le porte, condanne verso i social media come Twitter e Facebook che vengono utilizzati per trasmettere messaggi dai manifestanti e dai loro sostenitori[125]. Amnesty International racconta dell’uso di proiettili veri e di abusi sessuali da parte della polizia nei confronti di alcune donne che manifestavano[126].
Il 23 giugno il Ministero dell’Interno riferisce dell’arresto di circa 4900 persone tra i manifestanti, ed alla fine di agosto la polizia continua a detenere e interrogare gli arrestati durante le proteste[127]. Il 15 luglio l’Associazione Medica turca riferisce che entro il 10 luglio ci sono stati più di 8000 feriti, alla fine di agosto riferisce di cinque morti[128]. Qualcosa succede: a Gezi Park il progetto del centro commerciale viene abbandonato, ma il Governo e l’allora sindaco di Istanbul continuano a disegnare nuovi progetti per piazza Taksim – colate di cemento accanto alle quali verrà costruita una nuova moschea[129].
Gezi Park, naturalmente, è un caso simbolico. È un simbolo del processo di gentrificazione fortemente voluto da Erdoğan, ma anche della sua teoria balzana secondo cui l’edilizia selvaggia rafforzerà il sistema economico interno, perché verranno tanti stranieri danarosi e si compreranno casa in Turchia – una strategia che non ha funzionato[131]. Per questo motivo, quando il presidente si accorge del valore di trincea simbolica del parco, ne trasferisce la proprietà dal municipio di Istanbul alla Fondazione Sultan Bayezid[132], scatenando le ire di tutti, compreso il Sindaco Ekrem İmamoğlu che governa la città di Istanbul[133].
Vedendo che la cittadinanza si arrabbia, Erdoğan aumenta la pressione, e decide di trasferire la proprietà di oltre un migliaio di monumenti storici di Istanbul[134] dalla città a quella della Direzione Generale delle Fondazioni di Stato[135] turche (Vakiflar Genel Müdürlüğü[136]), ed inizia persino a demolirne alcune – quelle legate alla fede cristiana[137]. Gezi Park viene invece assegnato alla Sultan Beyazıt Hanı Veli Hazretleri Vakfı’nın Foundation, cui vengono donate anche l’ospedale Şişli Etfal, la Scuola Superiore di Vefa ed il palazzo storico di Sait Halim Paşa[138].
Ma questo non cambia nulla. Gezi Park è stata la prima occasione, per la Turchia, di vedere in piazza a battersi per i propri diritti, non solo i cinquantenni disperati perché perdono il lavoro, la libertà, la speranza, ma anche i ventenni, pieni di entusiasmo, e che si sono scoperti simili, al di là di ogni tentativo del regime di dividere la società turca con barriere d’odio legate al genere, all’etnia, ai gusti culturali. In piazza c’erano ambientalisti turchi e curdi, secolaristi e nazionalisti, atei e religiosi, ragazzi gay e ragazze velate, sunniti e aleviti[139]. Per mostrare che il regime turco non è solo una dittatura, ma che ha largamente fallito il proprio obiettivo di annientare la società turca e la sua natura vitale, tollerante, curiosa, integrativa.
L’unica risposta dello Stato, dal 2013, è stata la violenza, e Gezi Park è stata l’origine di leggi ancora più liberticide e violente. Ma basta essere stati nella meravigliosa Istanbul, una delle più belle città del mondo, per vedere che, sotto la cenere, la vita arde, ed i giorni del sanguinoso regime di Erdoğan non sono infiniti.
[1] https://stream24.ilsole24ore.com/video/mondo/erdogan-riceve-von-der-leyen-ma-lei-non-c-e-sedia-d-onore-e-polemica/ADRJfxVB?refresh_ce=1
[2] https://www.businessinsider.in/slideshows/miscellaneous/the-life-of-turkish-president-recep-tayyip-erdogan-who-survived-a-coup-bent-an-entire-nation-to-his-will-and-owned-the-us-over-syria/slidelist/71692869.cms
[3] https://www.tccb.gov.tr/en/receptayyiperdogan/
[4] https://www.insideover.com/indepths/politics/who-is-recep-tayyip-erdogan.html
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[7] https://www.bbc.com/news/blogs-trending-36436200
[8] https://www.bbc.com/news/blogs-trending-36436200
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