Questione islamica
Dalla Tunisia un promemoria della guerra che combatteremo ogni giorno
«Sono stato in Tunisia e ho trovato un Paese che non corrispondeva all’esultanza che ha accompagnato le ultime elezioni con la vittoria dei partiti cosiddetti laici. Dopo la Primavera araba, l’estremismo islamista ha guadagnato posizioni con una rapidità sorprendente». Le parole di Domenico Quirico, giornalista de “La Stampa” a lungo ostaggio nelle mani dei terroristi in Siria, sono il necessario punto di partenza per un’analisi su quanto è avvenuto in Tunisia.
La cronaca è, purtroppo, nota: un commando di uomini armati ha assaltato il Museo Bardo, nel cuore della capitale tunisina, lasciando sul campo altre vittime innocenti di una guerra anomala che sarà più lunga di quanto si possa pensare. Si ‘combatterà’ ogni giorno, anche quando taceranno i rumori delle bombe e degli attentati: è l’evoluzione della guerra asimmetrica di cui si parlava dopo l’11 settembre, in uno schema totalmente nuovo anche rispetto alle Istituzioni internazionali. Esiste senza le sirene che annunciano l’attacco tipico di un conflitto tradizionale.
Non basterà sconfiggere militarmente l’Isis a Derna, in Libia, o anche a Mosul, in Iraq; né tantomeno sarà risolutivo eliminare l’autoproclamato Califfo al Baghdadi. Il conflitto sarà logorante perché combattuto contro un nemico multiforme e caratterizzato da una presenza diffusa, grazie alla capacità di apparire e scomparire di scena in ogni momento tipica del terrorismo. Con l’aggravante che ci sono più basi logistiche, nel territorio attualmente occupato dal sedicente Stato islamico, per l’indottrinamento e l’addestramento. Sarà una guerra ‘disarmata’ per molti di noi, cittadini comuni, costretti a “convivere” con l’ideologia estremista, che ha fatto proseliti anche in Paesi sinora apparentemente immuni al fenomeno, come era considerata la stessa Tunisia.
Dalla nostra postazione occidentale, infatti, abbiamo sempre considerato Tunisi come un modello da seguire. Il “laboratorio dell’Islam moderato”, hanno detto e scritto gli osservatori in molte occasioni. Tuttavia, dietro a questa etichetta c’è un’altra verità: un Paese senza prospettive, deluso dall’esito della Primavera araba e – come spiega Quirico – con una forte crescita della spinta jihadista. Tale verità è stata raccontata dai cronisti che hanno scritto i reportage sul posto. Ma in Occidente abbiamo privilegiato l’agiografia della recente storia tunisina, esaltando gli elementi per noi più consolatori.
Anche la deputata tunisina del partito islamico Ennahda, Imen Ben Mohamed, in un’intervista aveva affermato:
La Tunisia è riuscita a fare grandi passi democratici. È l’unica candela della Primavera araba ancora accesa. Abbiamo approvato una Costituzione con un consenso di 200 voti su un totale di 217. Grazie al dialogo tra tutte le fazioni politiche, abbiamo superato ogni crisi creando grandi riforme in materia elettorale, politica e di diritti. Spero che si dia continuità a questo processo.
In parte è vero, ma questa esaltazione ha nascosto i problemi, economici e sociali, del Paese. Così da italiani ci troviamo a piangere le prime vittime mietute dalla follia dei miliziani dell’Isis. Uno degli aspetti più atroci è quello di una morte che ha colto in un momento di relax, all’interno di una vacanza, con un obiettivo culturale: il museo. In realtà lo scopo terrorista reale è quello di paralizzare l’economia del Paese, già fiacca, che vede nel turismo una fonte fondamentale di introiti.
Si tratta di una tragica conferma che la nuova strategia del terrorismo islamico punta a colpire indistintamente anche i luoghi teoricamente considerati al riparo da azioni del genere. Se prima i mezzi pubblici – come metro, treni e aerei – potevano essere obiettivi sensibili, adesso il mirino degli assassini punta ovunque. Bar, ristoranti, redazioni di giornale e ora anche musei. Nulla è escluso, purché si crei terrore.
Voglio chiudere come ho aperto questo articolo, ossia con le parole di Domenico Quirico che riecheggiano come un monito: «La formazione del Califfato islamico avviene su più fronti. E non è solo la Libia che interessa noi».
Devi fare login per commentare
Accedi