Questione islamica

Cosa fa un jihadista nel tempo libero?

20 Dicembre 2015

Che cosa fa un jihadista quando non combatte? Un interrogativo posto da Thomas Hegghammer, esperto di islamismo e consulente in materia per vari governi. Specializzato in tattiche militari, proclami politici, dottrine e leader, Hegghammer ha riconosciuto la necessità di studiare il fenomeno jihadista considerando i prodotti culturali di cui si nutrono i fondamentalisti, nel solco del lavoro svolto da alcuni precursori come Manni Crone, Behnam Said, e Elisabeth Kendall (quest’ultima si è occupata della poesia tra i membri di Al-Qaeda). Si ritiene pertanto necessario comprendere anche come i jihadisti impieghino il proprio tempo libero indagando su alcuni profondi tratti culturali, tra battute goliardiche, poesie composte e recitate, modi di interpretare i propri sogni. Certe attività sembrerebbero costituire parte viva dell’indottrinamento jihadista, in quanto forti mezzi di aggregazione e riconoscimento sociale, tratti identitari indispensabili per poter operare in certi ambienti. I prodotti culturali dell’intelletto umano, quali poesia e musica, sono rimasti sostanzialmente per lungo tempo ai margini della discussione sul fondamentalismo islamico, in favore di un’indagine focalizzata sui tratti ideologici e dottrinari del fenomeno.

I jihadisti non vivono solo di lotta contro l’Occidente, ma si dedicano anche ad altre attività come la preghiera, lo sport, il cibo, la poesia e il cinema, tutti prodotti semanticamente fondamentali per comprenderne il background culturale. Presumibilmente anche il jihadismo vive di un dato emozionale che varia secondo i contesti: è lecito come certe forme espressive influiscono sul mondo jihadista. Ad esempio, come viene percepita la contrapposizione tra sunniti e sciiti dalle comunità jihadiste? Come i fenomeni culturali locali agiscono nella mente dei jihadisti? Fino a che punto questi esprimono il senso di appartenenza ad una comunità? E se la cultura jihadista incide sul comportamento umano dei militanti, in che modo e quali forme scelgono i leader per indottrinare i fedeli, inculcando loro un’ideologia talmente forte da spingerli a commettere atti molto estremi in nome di Allah?

Secondo Hegghammer, i militanti jihadisti spendono molto tempo in attività non militari, la maggior parte delle quali consistono in pratiche ortodosse devozionali, come la preghiera, le invocazioni, l’abluzione, la recitazione del Corano. Sono in molti a sostenere che il jihadismo non abbia nulla a che vedere con la devozione, che l’indottrinamento dell’Isis o di Al-Qaeda dipenda da fattori extra religiosi. Ma questo non è del tutto vero: quando un uomo abbraccia il jihadismo diventa un sincero e meticoloso osservante, entra in un mondo permeato anche da una serie di attività ricreazionali proprio sulla scorta della “vita religiosa”. Tali attività vanno inoltre inquadrate in un contesto sociale e non solo nella sfera individuale. Ascoltare anachid, guardare video, scrivere storie e poesie, interpretare i sogni, fare sport, stare insieme, cucinare ecc., sono parte della vita quotidiana di un jihadista. E non mancano i nickname, gli slogan, gli slang e i codici comportamentali. Molto diffusi sono i lamenti islamici che ricorrono specialmente durante la recitazione del Corano, ma anche discorsi e appelli per le reclute e, occasionalmente, funzioni ordinarie (per esempio la perdita di un amico). Nella subcultura jihadista il lamento è socialmente molto apprezzato quale segno di devozione per Dio e per la causa. Questa, va specificato, non è tuttavia una peculiarità jihadista, bensì parte della tradizione islamica.
Vi sono inoltre varianti geografiche, specialmente tra i jihadisti occidentali, i quali hanno incorporato numerosi elementi della street culture occidentale, e i militanti orientali. Sembra anche che la poesia sia molto popolare, specialmente tra jihadisti della penisola araba. Ad ogni modo molti elementi culturali come gli anachid, i lamenti e le interpretazioni dei sogni sono largamente diffusi in tutto il mondo del fondamentalismo islamico, il che ne farebbe dei tratti caratteristici su scala globale.

Hegghammer individua anche un’evoluzione dal jihadismo del 1980, differenziandolo da quello odierno. I militanti di un tempo si mostravano scettici circa l’utilizzo di prodotti culturali che potessero alimentare l’immaginario collettivo del jihadismo, preferivano invece concentrarsi sulla questione ideologica, Oggi, al contrario, grazie alle moderne tecnologie, tali prodotti sono largamente diffusi. I leader moderni conoscono la natura umana molto meglio dei propri predecessori. La mitizzazione della vita ultraterrena afferisce alla sessualità molto più di quanto potrebbe apparire e i martiri vengono ricordati come figure alla stregua dei santi sufi.

Il pensiero di Hegghammer necessita di ulteriori approfondimenti, eppure partendo da alcune ipotesi parzialmente supportate da testimonianze e studi precedenti, è possibile credere che le sue intuizioni siano veritiere. Il jihadismo è una scelta di vita che comporta delle azioni molto forti, volte a sacrificare la propria vita pur di affermare i propri ideali. I prodotti culturali e la devozione rappresentano un segno di attendibilità del jihadista, in quanto un’attività ad alto rischio necessita di un certo grado di fiducia nelle reclute da parte degli indottrintori. Conoscere determinati mezzi di espressione permette ai jihadisti di fidarsi l’uno nell’altro. Inoltre prodotti culturali come gli anachid non sono facili da imparare, occorre tempo e studio per farli propri ed è per questo che vengono considerati simboli di appartenenza alla comunità. Sarà forse per questa ragione che infiltrarsi nei movimenti jihadisti è notoriamente molto difficile proprio perché apprendere queste sfumature culturali richiede molto tempo, una forte motivazione, nonché dedizione nella causa.
Si ritiene inoltre che tali prodotti culturali e pratiche siano strumenti di persuasione emozionale incredibilmente potenti in grado di incidere dal punto di vista cognitivo. Canti, poesie e storie fanno leva proprio sulle emozioni, sul vissuto, e contribuiscono a rinforzare le convinzioni, la fede e le ragioni della causa abbracciata. Sono molti a credere che il jihadismo si rafforzi maggiormente con video e musica piuttosto che con i trattati ideologici. Questa idea è supportata dall’idea di una strategia suggerita da Abu Hudhayfa ad Osama Bin Laden nel 2000, nel quale si invitava il leader di Al-Qaeda a filmare un matrimonio jihadista ed usarlo per fini propagandistici. Un pensiero simile è avallato anche dal predicatore yemenita americano Anwar al-Awlaki, il quale ha sostenuto che il jihadismo in tempi passati veniva continuamente ispirato attraverso la poesia al fine di scoraggiare i miscredenti; oggi, la stessa funzione, ispiratrice viene svolta attraverso l’utilizzo degli anachid.

Per ulteriori approfondimenti:
http://hegghammer.com/_files/Hegghammer_-_Wilkinson_Memorial_Lecture.pdf

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