Questione islamica
Combattere la violenza educativa, non solo quando si tratta di velo
La faccenda della ragazza originaria del Bangladesh tolta a Bologna ai genitori che l’avevano (o l’avrebbero) rasata a zero perché rifiutava il velo suscita non poco imbarazzo in chi segue, o cerca di seguire, i valori progressisti e liberali, espressione con la quale indico una costellazione di convinzioni che si è venuta formando in Europa, non senza contrasti anche tragici, a partire dall’Umanesimo, e con più decisione dall’epoca illuministica in poi. In questa costellazione rientra il rispetto della diversità etnica e religiosa, che va dalla semplice tolleranza fino al dialogo ed alla contaminazione. Vi rientrano parimenti l’emancipazione femminile, l’uguaglianza e le pari opportunità, ed i diritti delle persone omosessuali. Purtroppo, se questi valori fanno sistema sul piano teorico, non sempre si accordano sul piano pratico. Può succedere che si debba scegliere di difendere un valore al costo di negare l’altro. E’ quello che succede appunto in questo caso. Il principio del rispetto della libertà religiosa ci porterebbe a garantire ai musulmani la piena libertà di seguire la loro cultura, ma che succede quando questa libertà porta poi alla violenza sulle donne? La scelta in questo caso cade, il più delle volte, sulla difesa delle donne, anche per una ragione storica: vero è che la difesa della differenza religiosa è un valore progressista, ma è anche vero che la cultura progressista si è costruita combattendo contro le chiese e i valori religiosi.
Nella costellazione dei valori progressisti rientra anche la critica dell’educazione tradizionale, violenta dal punto di vista fisico e psicologico, e la ricerca di un’educazione che metta al centro il bambino con i suoi bisogni. E’ un percorso che va da Erasmo e Rousseau e Montessori ed oltre, ma che procede forse in modo più accidentato degli altri percorsi del progressismo. Anche questo valore è in ballo nella vicenda di Bologna. Con quel provvedimento si condanna e si contrasta la violenza educativa, che non può né deve essere tollerata. E tuttavia è lecito avere qualche perplessità.
Da pedagogista antiautoritario, mi occupo da anni dei rapporti tra educazione e violenza. Ne discuto con genitori, insegnanti, educatori. Spesso incontrando una aperta ostilità. Quando faccio notare, ad esempio, che lo schiaffo è una violenza inaccettabile e non ha nulla di educativo, vengo sommerso da critiche di genitori per i quali questi principi educativi sono quelli che hanno portato ad una generazione di ragazzi privi di educazione e rispetto e farà ancora più danni in futuro. Come se in Italia davvero lo schiaffo “educativo” non esistesse più da anni, e come se i bambini e ragazzi norvegesi – paese nel quale le punizioni corporali sui bambini sono vietate con estrema severità (anche lì non senza qualche rischio di discriminazione) – fossero tutti maleducatissimi.
Succede non di rado, a scuola, di venire a conoscenza di violenze subite dagli studenti nel loro ambiente familiare. Violenze fisiche, come i pestaggi anche pesanti, ma anche psicologiche, come i genitori che decidono di non far venire più a scuola la figlia di cui hanno scoperto l’omosessualità. Non sono situazioni ipotetiche, ma casi reali. Queste ed altre violenze in ambito scolastico vengono spesso trattate con un atteggiamento protettivo nei confronti delle famiglie. E’ molto difficile che un caso di violenza su un minore venga portato a conoscenza delle forze dell’ordine, se la famiglia nella quale il fatto è avvenuto è una famiglia borghese, appartenente ad un ambiente rispettabile. Penso di poter dire che accade in casi rarissimi. Molto più frequente è che ad essere segnalate siano violenze avvenute in famiglie povere o marginali o in famiglie straniere. Esiste una doppia morale, che porta a considerare gravi e inaccettabili fatti di violenza accaduti in alcuni ambienti, e tollerabili o da trattare con particolare tatto casi riguardanti famiglie perbene o presunte tali.
E’ un’ottima cosa se si combatte e si rifiuta ogni forma di violenza educativa. Si sia conseguenti, però: discutiamo di violenza educativa; condanniamo lo schiaffo “educativo”; condanniamo tutte le forme di violenza su bambini ed adolescenti; interroghiamoci sulla legittimità di tutte le forme di costrizione che esercitiamo su di loro. Mettiamo al centro della discussione pubblica tutte le forme di violenza che esercitiamo in nome dell’educazione. Se non lo facciamo – se non ci interroghiamo sulla violenza nostra, insieme alla violenza dell’altro – la nostra è penosa, pericolosa ipocrisia.
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