Questione islamica

Bruxelles non è Raqqa, ve lo raccontiamo noi che ci viviamo

26 Novembre 2015

Sabato scorso il governo belga ha dato il via ad un’imponente operazione di sicurezza che ha visto il coinvolgimento di polizia ed esercito ed ha in sostanza portato alla militarizzazione del centro di Bruxelles. L’obbiettivo di quest’operazione era la cattura di Salah Abdelsalam, implicato nei recenti attacchi terroristici di Parigi.
Dopo quel che i giornali hanno scritto e le televisioni hanno trasmesso in Italia, probabilmente ora pensate che Bruxelles sia diventata una zona di guerra o qualcosa di simile: la situazione è un po’ più complessa e decisamente più paradossale.

Copyright Antonio Amendola
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La settimana scorsa, all’aumentare dei dettagli relativi agli attentati parigini divulgati dagli inquirenti francesi e rilanciati dai media di tutto il mondo, l’attenzione della comunità internazionale si è rapidamente concentrata sul Belgio, in particolare su Bruxelles e su Molenbeek, una delle communes della capitale a più alta concentrazione di cittadini musulmani. Una notizia del genere ovviamente è un invito a nozze per chi, invece di fare informazione, punta a fare intrattenimento, cioè la grande maggioranza del giornalismo, televisivo e non. Ecco allora spuntare i titoli su “Molenbeek capitale del jihad europeo”, “Molenbeek regno del terrore” et cetera.
Fino a mercoledì scorso l’atmosfera in città era di fatto simile a quella precedente ai fatti di Parigi: cordoglio per le vittime, certo, ma anche la consapevolezza di non essere in guerra né di essere sul punto di entrarci.

L’attuale cappa di timore che soffoca Bruxelles è in realtà il prodotto della reazione che il governo ha avuto. Mercoledì è arrivata la decisione di spostare in periferia la storica sfilata studentesca di Saint-Verhaegen, che ogni anno attraversa il centro della città il 20 novembre, anniversario della fondazione dell’Université Libre de Bruxelles. Giovedì la decisione definitiva: il corteo viene annullato, insieme ad altre serate ed altri eventi, a causa di un non meglio precisato “allarme terrorismo”. Sabato il governo conservatore guidato da Charles Michel ha dato il via ad un’operazione anti-terrorismo che interessa la Ville de Bruxelles (il centro storico), Molenbeek e il quartier des casernes ad Etterbeek: sirene, volanti, autocarri e jeep militari, soldati due metri per un metro e mezzo, dove il metro e mezzo è quello del fucile mitragliatore che imbracciano, il tutto condito da misure di sicurezza eccezionali: chiusura della metro, riduzione all’osso del trasporto pubblico, cancellazione di concerti e manifestazioni sportive. A commento di tutto ciò, il primo ministro ha dichiarato: Soyez vigilants et prudents. Mais ne tombez pas dans la panique.
Siate vigili e prudenti, ma non fatevi prendere dal panico. Il risultato è che la maggior parte dei bruxellesi si è fatta prendere dal panico: c’è stato chi non usciva di casa perché “è una cosa seria, non voglio morire”, anche se abita a 3-4 km dal centro, ci sono stati studenti erasmus spagnoli che sono tornati a casa perché la tensione li stava consumando, le strade erano poco frequentate anche fuori dal centro, molti pub hanno chiuso (ma non tutti); una mia amica belga, via sms, mi ha scritto che “l’Europa è in guerra”.
Quest’ondata di paura è stata creata dal governo belga, che ha condotto una maestosa operazione anti-terrorismo della durata di due giorni i cui risultati si conosceranno al termine dell’inchiesta. L’impressione che io e molti altri abbiamo avuto è che il governo volesse dare un segnale di sicurezza e di efficienza, volesse mostrare alla comunità internazionale di avere il controllo della situazione e per questo abbia forse esagerato: scuole, uffici e negozi chiusi per 4 giorni, soldati per strada, blitz con tanto di elicotteri e 37 persone arrestate, di cui 32 rilasciate dopo poche ore. D’altro canto non abbiamo tutte le informazioni di cui dispongono gli inquirenti, dunque è prematuro dare un giudizio complessivo.

Copyright Antonio Amendola
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Più che la condotta governativa, è il modo in cui la popolazione ha reagito che lascia una sensazione di sconforto: in seguito ai fatti di Parigi molti si prendevano la briga di ribadire che “non cambieremo modo di vivere”, “non la daremo vinta ai terroristi”, che l’integralismo islamico non ci avrebbe impedito di vivere liberamente le nostre città.
Pochi giorni dopo tuttavia abbiamo la prova che un’operazione di polizia è capace di terrorizzare una parte consistente degli abitanti al punto da costringerli a chiudersi in casa. Come se prendere una birra al Cimitière d’Ixelles o in Place Flagey, nella zona sud della città, fosse d’intralcio ad un blitz nel centro.
Benjamin Franklin diceva che coloro che sono disposti a fare a meno della propria libertà in cambio della propria sicurezza non meritano né la libertà né la sicurezza. Nei prossimi mesi i governi occidentali cercheranno di affrontare la minaccia terroristica nell’unico modo che conoscono: più polizia, più sorveglianza, meno libertà. È una risposta pericolosa e sbagliata, perché non contrasta il terrorismo ed al contrario corrobora le sue tesi. La differenza tra cittadino e suddito dipende anche dal rapporto di forza tra libertà e sicurezza: purtroppo però sembra che questo rapporto non interessi granché all’opinione pubblica europea.

Le foto qui pubblicate sono riprodotte su gentile concessione di Antonio Amendola.

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