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Blog di Grillo: controinformazione, o disinformazione?

15 Gennaio 2015

C’era la storia della pecorella che per burla gridava “al lupo, al lupo” al gregge, finché non lo gridò davvero ma le amiche non le credettero, poco prima di fare tutte una brutta fine. C’era il mito della sacerdotessa anatolica Cassandra, a cui la credibilità non fu neanche mai data e che quindi non ebbe neanche l’occasione di sprecare nulla. Il risultato fu lo stesso: Cassandra non riuscì a salvare i troiani dal cavallo e dalla macchinazione di Ulisse così come la pecora non riuscì a risparmiare il gregge dalla fame del lupo.

D’altronde il “te l’avevo detto io” è sempre frase carica di delusione, che diciamo spesso con la consapevolezza di non essere capiti. Viviamo nell’era del mediattivismo, in cui tutti ci sentiamo principali protagonisti di un processo che invece pare solo passarci davanti, con l’unica differenza che rispetto a prima ci guarda facendo “ciao ciao” con la manina.

Questo non vuole essere un’analisi tecnica di quel grande processo che ha portato la controinformazione degli anni Settanta a convogliarsi dapprima in Indymedia, sotto la pioggia di Seattle,  per poi deflagrare con l’avvento dei social network: il dibattito su bufale, informazione e censura in rete del resto è aperto da anni e coinvolge esperti del settore che monitorano costantemente lo stato di questa grande piazza a cielo chiuso chiamata web.

Giusto però è rimarcare come pur cambiando scenari e modalità d’uso, la comunicazione abbia assunto nuove forme in cui la censura non resta certo quell’austera e bacchettona signora da Novecento, ma offre nuove e interessanti prospettive di dinamica imbavagliante, quella per intenderci in cui ti imbavagli da solo.

Basandosi infatti sull’immaginario e aumentando la dicotomia nella metonimia tra contenitore e contenuto, ormai sembra che la controcultura sia relegata nel seminterrato, nell’ufficio vicino al cesso.  Per intenderci, non che questo tipo di informazione abbia mai goduto di canali preferenziali o di salotti comodi, però la questione sembra riguardi la qualità, più che la frequenza o la metratura del loft a disposizione.

Durante gli anni Settanta la CIA e il Mossad sembravano essere i principali responsabili dell’incendiario mondo: al di là delle facinorose e talvolta illuminanti analisi dei teorici di allora, al di là del “mondialismo” che proprio in quegli anni prese piede -per poi assopirsi negli Ottanta-Novanta e risvegliarsi a Seattle-, si era già compreso quanto le realtà editoriali si fossero già trasformate in agenzie “ti dico quello che voglio io”.

Il risultato appunto fu quello di creare una rete di controinformazione allacciata ad un più vasto movimento di controcultura che abbracciava musica, intrattenimento, lavoro, dignità sociale e umana, rivendicazioni verso il potere. Insomma, il 1968 mondiale e poi quello italiano, quello lungo più di dieci anni e tremendamente frastagliato. Quel decennio infetto su cui ancor oggi è meglio non metter mano.

Tuttavia esaurito quel periodo abbiamo assistito alla progressiva scomparsa della controinformazione e a una sepoltura della controcultura, entrando in un lungo periodo di sonnambulismo in cui pareva davvero che i quotidiani –tutti- avessero improvvisamente riacquistato la credibilità sul tutto, e non più la visione sul pro o sul contro. Pensavamo così, e forse ci siamo sbagliati: a volte – si sa-  è più semplice partire dai propri errori.

Così, quando all’inizio del Millennio la controinformazione ha deciso di alzare la voce per ragioni di forza maggiore, ci siamo trovati tutti impreparati, anchilosati, poco pronti a cogliere l’antifona nel suono apparentemente armonioso. Internet come sapete tutti è quell’universo dove tempo e geografia non riescono a tiranneggiare come fuori, perlopiù in concomitanza con l’avvento di una crisi che ha avvolto ogni stanza dello scibile, infiammando la già suadente insoddisfazione verso i nostri desideri di vita da Eden.

Venne Berlusconi che spadroneggiò mediaticamente finché non arrivò la Resistenza violacea, ma quella nei confronti dell’ex Cavaliere non può essere valutata controinformazione, piuttosto da definire informazione convogliata, nel più classico caso di contrappasso e seguendo l’antico detto “chi di spada ferisce di spada perisce” – anche se a perire continuiamo ad essere noi.

Poi venne il Movimento 5 Stelle, e ci insegnò che la controinformazione si può combattere con altra disinformazione, cioè presunta controinformazione dai toni saccenti e di stampo dozzinale. Dunque via a chi denunciava le collusioni tra Vaticano e dittatura cilena chiamando l’ex presidente “Pino Chet”,  e briglie sciolte per chi dice che ci controllano il cervello con le scie chimiche, per quelli che promuovono il braccialetto elettronico, per quelli che dicono che i vaccini provocano l’autismo con tanto di sostegno giuridico –poi rientrato, per fortuna.

Insomma, il blog di Grillo – ma anche Giulietto Chiesa ad esempio – è come quelle confezioni sgualcite in cui infilare ogni tanto qualche pietra preziosa, solitamente riportata e mai “farina del proprio sacco”. La pietra c’è ma non brilla, perché sugli scaffali le confezioni non colpiscono, anzi a volta maleodorano.

Dunque è tutto “pluto-giudaico-massonico”, è tutto una scia chimica con gli alieni ormai pronti a rapirci, i video sono falsi non per percezione –mai fidarsi della percezione, questa sconosciuta- ma per rigorosa analisi scientifica, costruita con freccette rosse sui fotogrammi del video e con dozzine di punti esclamativi.

Dal Movimento –o meglio dall’ala più esplosiva, perché il Movimento è il contenitore del tutto- abbiamo imparato che la Verità è in mano a qualcuno, e che quel qualcuno molto probabilmente sono loro, quelli di Beppe, e che insomma noi siamo pieni di dubbi, loro pieni di certezze tanto che a me verrebbe da urlare “mammagari!”, non perché voglia avere certezze, ma perché l’auspicio è proprio quello di avere una società ricca di dubbi, quando l’evidenza –ahimé- è ben altra, e l’atteggiamento unito al ruolo del Movimento 5 Stelle non fa altro che avvalorare questa posizione monolitica.

In sostanza, il blog di Grillo è disinformazione che mangia la controinformazione, fa un rutto, e ti dice “tu non hai capito niente”: è la rivoluzione con le forbici a punta tonda dell’asilo, è la punta più conservatrice e moderata di questo paese che è dentro il sistema, gioca a vestirsi da dissidente del sistema, ma è snobbato dal sistema, all’infuori del suo preciso ruolo: buttare tutto alle ortiche.

Ne “L’uomo che non c’era”,  film del 2001 girato dai fratelli Coen, l’attore Tony Shalhoub nei panni dell’avvocato difensore di Crane, tal Freddy Riedenschneider, cita il principio di indeterminazione di Heisenberg con parole molto semplici:

«Il semplice guardare cambia il fatto. […] La scienza la percezione, la realtà il dubbio. Il ragionevole dubbio. […] A volte più guardi e meno conosci: è un fatto, è provato. È un fatto, e comunque è l’unico fatto appurabile»

Certo che se questa è la società “dell’immagine che supera la realtà” come spesso leggo, bisognerebbe forse ricordarsi più spesso di Heisenberg, al di là dell’avvincente trama di Breaking Bad. Perché pare che CIA e Mossad stiano tornando in auge insieme a “USA”, “ebrei” (tutti), “servizi segreti”, e stiano diventando presto gli unici referenti di ciò che non si può spiegare, come una specie di vitello d’oro da adorare.

Una sorta di fede collettiva in cui il blog di Grillo è il Bene o il Male, è Allah, Dio oppure Satana mentre tutto quello che sta in mezzo si comprime, si schiaccia, si smaterializza nella guerra dei due mondi. Proprio perché in questa società –questa millenaria società- , tra informazione di regime e controinformazione, tra asserviti e dissidenti, tra boccaloni e complottisti, il dubbio alla fine non ha mai trovato il biglietto, rimanendo sempre fuori al freddo, mentre gli altri –comunque- continuano a divertirsi.

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