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Mondo
Nostalgia canaglia
Oggi vi parlerò di Patria, perché ciò che sta succedendo intorno a noi necessita di alcune riflessioni. L’ho già fatto in altre occasioni ma in questo momento di guerre e di cambiamenti comportamentali può essere utile per chiarirsi un po’ meglio le idee. E affronterò anche il vastissimo argomento della nostalgia, alla Patria strettamente correlata.
E forse sarà felice Giorgia di sentirne parlare perché la Patria è per lei uno degli elementi fondamentali della triade che ha urlato fino alla nausea, svuotandoli inconsapevolmente di significato, nella sua campagna elettorale, salvo dimenticarsene immediatamente dopo.
Già, la Patria. Allonsanfantdelapatrì.
La Giorgia nazionale, che non ne parla più, forse perché occupata da altre patrie di altre persone o, forse, perché le hanno ribaltato il concetto di Patria da oltremare, perché non capisce più se considerare l’Alleanza ancora valida e quindi se è difesa o no, o, forse, perché è confusa pure lei su quale sia da considerare oggi Patria (forse la Garbatella?), all’inizio della sua carriera voleva comunicare un concetto risorgimentale, da sussidiario delle elementari. Un concetto semplice che in altri tempi è risultato vincente. Il concetto deriva direttamente dalla formazione degli stati nazionali, che interessò l’Europa dopo il Medioevo, e che fu ripresa, insieme al Medioevo stesso, alla fine del Settecento, per gli stati nazionali che non si erano ancora formati, come l’Italia, con gran profluvio di opere letterarie, musicali, artistiche per supportare il concetto.
Adesso, parlare d’Italia nel Settecento era una cosa per viaggiatori raffinati, anche snob, come potevano essere Goethe, Brydone, gli architetti portati con sé da Napoleone, come Vivant Denon, e così via. Il Grand Tour era il viaggio che segnava la personalità dell’artista o del viaggiatore, specialmente quello, come Goethe, che ricercava la purezza del classicismo tra le rovine. Oggi, forse, il sommo poeta vomiterebbe e prenderebbe Salvini per trafiggerlo con una penna di fagiano, quelle più dure, inserendogliela in un orecchio per farla uscire dall’altro. L’Italia era tutta un’altra cosa e considerarla Patria, nelle condizioni in cui era, sarebbe stato, come minimo, improprio.
La costruzione della Patria, magnificata nei cori verdiani, agognata nel Nabucco, nei Lombardi alla Prima Crociata, nel Macbeth e altrove, è un’operazione tipicamente romantica, con tutte le conseguenze del caso perché per ogni Patria che si rispetti ci sono sempre i nemici di quella Patria.
La Patria a cui si riferiscono Giorgia e il suo vice Salvini, è una Patria di cartapesta, una Patria che non esiste, perché la Patria dovrebbe essere il luogo dove ognuno si riconosce, e, anche, dove il forestiero può mettere radici ricreandosene una, nel caso l’abbia perduta per catastrofi, guerre, carestie e sia emigrato. Sarebbe interessante indagare e scoprire come un cittadino italiano possa considerare Patria uno stato che ti vessa, la cui assistenza sanitaria non funziona, anzi, spesso ti lascia morire dopo che magari hai versato le tue tasse per tutta la vita, dove per cercare di sopravvivere devi fare i salti mortali, uno stato che non ti difende se qualcuno ti fa un’angheria, che ti spolpa con balzelli, con regole assurde, che ti considera semplicemente un servo, uno schiavo, che ogni giorno ti toglie qualcosa anziché dartela. Cioè: io non sento questo Stato come la mia Patria per tutte le cose che mi ha negato. Dovrei morire per difenderla, e poi, da chi? Proprio non ci penso nemmeno. Dovrei difenderla, forse, da chi ci governa attualmente, che ha dimostrato di saper distruggere quel poco che ancora funzionava, che ha sputato sulle minoranze, che non ne fa una giusta per salvaguardare il territorio. Ma questo è un altro aspetto.
Il concetto principale è: chi si può riconoscere in un luogo che non conosce senza farlo proprio? E questo è ciò che probabilmente capita a chi emigra verso l’Europa, dove non c’è nulla di più lontano dagli ambienti familiari di un tempo. La lacerazione della nostalgia di casa (homesickness, quindi una vera malattia che riprende il significato primario di nostalgia, letteralmente dolore del ritorno a casa), per chi emigra dev’essere terribile.
Solo così si spiegano, almeno in parte, atti inconsulti e follie di afgani che si buttano coll’auto sulla folla innocente, o di islamici che vedono nella vendetta verso la corruzione (dal punto di vista coranico) dell’Occidente una rivincita verso l’aver perso la propria Patria. Sono persone esasperate, che non hanno più il controllo di sé stessi, perché non riescono a fare i conti, probabilmente anche perché non aiutati abbastanza, con realtà nuove, distanti anni luce dalle abitudini che hanno dovuto cambiare, tragedie interiori che noi possiamo immaginare solo in parte. Ciò non toglie che gli atti estremi siano orrendi e che vadano puniti, ma la cosa più interessante sarebbe andarne a ricercare le cause, per capire dov’è avvenuto l’intoppo.
L’afgano che, dopo avergli fatto assaggiare il dolce sapore di una maggiore libertà, andando oltre un passato di cui lui non sente minimamente nostalgia, si vede ripiombare in quel passato orribile per una scelta del paese più ipocrita del mondo, ossia gli USA di Trump, che ha fatto l’accordo coi talebani, viene sopraffatto da un’altra nostalgia, quella del ventennio di occupazione NATO, dove le donne avevano cominciato a venir fuori dall’ombra e dall’invisibilità e le persone potevano ambire a un barlume di normalità, almeno solo un barlume. Ripiombando di botto in quel passato arcaico nonostante i talebani avessero promesso aperture a quell’altro cinico e bugiardo di Trump, ciò, come volevasi dimostrare, non è avvenuto. E il poveretto fugge altrove, che altro può fare per scampare all’inferno? Si può immaginare lo sconvolgimento emotivo e lo smarrimento a cui quelle persone possano essere soggette? E si può immaginare le persone, soprattutto le donne che vi sono rimaste che cosa stiano vivendo adesso? Aiutiamoli a casa loro, bell’aiuto, complimenti. Ipocriti. Servirebbe comprenderlo per cercare di individuare ed evitare questi eccessi che poi distruggono tutti e fanno del male a persone che non c’entrano niente.
Stessa cosa per i palestinesi di Gaza, dove tutto è stato azzerato, che cosa ci sarà nei loro cervelli, che sentimenti albergheranno in chi ha visto distruggere tutto ciò che aveva, ha visto morire i congiunti, i figli, i genitori senza averne colpa? O in quelli delle famiglie di quegli ebrei sterminati da Hamas il 7 ottobre? O dei sopravvissuti ai lager nazisti? O degli ucraini che hanno perso in un attimo ogni cosa sotto i colpi dell’aggressione russa?
Il disagio va compreso, studiato, curato e, possibilmente, risolto. La superficialità, l’ipocrisia e l’egoismo dei nostri governi non lo consente e si preferisce la classificazione come atto di un folle, oltre alla superficialità con cui tutto viene trattato. È rassicurante per la maggior parte dei cittadini, che sono già stati preparati dalla propaganda al ragionamento che i migranti sono la causa di tutti i problemi.
E cosa fanno i governi per capire e arginare? Costruiscono prigioni in Albania dove rinchiudere i migranti come animali, senza possibilità di cambiare la vita che coloro avrebbero desiderato con una richiesta d’asilo. Un atto piccolo piccolo che avrebbe dato una chance a una persona e, magari, alla sua famiglia, di creare un nucleo nuovo in un posto nuovo, con un lavoro, con delle speranze, con un nuovo entusiasmo costruttivo per ricominciare. Per capire meglio quei problemi bisognerebbe fare uno sforzo d’immedesimazione e provare a mettersi al loro posto e pensare come ci si sentirebbe. Per far capire a chi governa e spara le sue minchiate sui migranti come Salvini ha sempre fatto e fa, bisognerebbe fargli provare le stesse cose e ricordare, visto che colui è solito baciare i rosari in Parlamento, le parole del vangelo secondo Matteo: 7:12 Gesù disse: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge ed i profeti.” Non sono solito citare le Scritture perché non m’interessano più di tanto però mi piace ricordarle a chi invece si riempie la bocca di diopatriaeffamiglia, senza osservare i precetti cristiani.
E l’ira di quegli sciagurati trattati come spazzatura viene incrementata, lo sconvolgimento mentale di persone, giovani o no, che affrontano viaggi potenzialmente mortali, li porta a conseguenze estreme, tanto non hanno più niente da perdere. Patrie negate, sia da dove si viene sia dove si va.
Ma torniamo alle patrie nostrane e, per esempio, proviamo a capire come siano conosciute e percepite dai nostri cittadini. Provate a chiedere ai giovani dove stiano L’Aquila o Aosta, a fargliele indicare su una carta geografica. Molti non lo sanno. O a chiedere dove siano le Eolie o le Tremiti, o la Sila o le Madonie. Nulla, a che ci serve saperlo? Tanto c’è Google maps. Difficile che ci si possa riconoscere in una terra estranea, dove si parla un dialetto o una lingua, dove si mangiano certe cose perché quel clima favorisce la crescita di particolari ortaggi, tanto abbiamo tutto per tutto l’anno e quindi perché capire come lo strudel venga dalle Alpi e non dalla Sardegna o perché la crema di ricotta più saporita sia fatta in Sicilia. È superfluo, non vale nemmeno la curiosità, tempo perso.
Di che Patria parliamo? Chi la mette in pericolo, poi? Quei migranti di cui parlavo poc’anzi, che fuggono dalla propria perché è o è diventata inabitabile per le cause più diverse e vorrebbero trovarne un’altra? O è messa in pericolo proprio dal cittadino che non la conosce, che non sa capirne il funzionamento, la morfologia, la Storia, le società che la abitano, dando tutto per scontato, come se fosse un prodotto pronto da supermercato?
Partono i bastimenti pe’ terre assai luntane eccetera era la canzone che faceva piangere tutti, a bordo del piroscafo transatlantico e a terra, sia in quella di partenza per chi restava, sia nella terra d’arrivo per chi partiva, e la nostalgia era talmente solida che si poteva spalmare sul pane.
È la nostalgia la chiave di molte attitudini moderne, la nostalgia spesso indotta da cause contingenti o, più spesso, da volontà umane. E, diciamocelo, la nostalgia, meglio se balorda, se poi la metti pure nel titolo, fa vincere il festival di Sanremo.
Bisognerebbe ricordarselo, bisognerebbe parlarne di più, in generale, della sofferenza causata da sradicamenti forzati, cosa provoca nella gente, l’abisso emotivo, lo spaesamento, la ghettizzazione, il totale cambio di abitudini, di lingua, di cultura, perché solo così si possono contrastare i disagi che ne derivano.
Un esempio distruttivo e grottesco di nostalgia è declinato nella follia da Luigi Pirandello in Così è (se vi pare), dove la catastrofe che ha colpito la famiglia Frola Ponza, ha sconvolto le menti dei tre componenti, il signor Ponza, la moglie e la suocera. La nostalgia per un passato distrutto dal terremoto, senza più parenti, senza più oggetti, senza più una casa, provoca un corto circuito dei rapporti interpersonali tra i personaggi che vogliono continuare a credere in identità rassicuranti, che riportano a rapporti preesistenti, sebbene siano falsi, o meglio, veri secondo il proprio punto di vista personale. Tutto condito coll’ipocrisia e crudeltà dei cittadini del nuovo posto dove i profughi sono giunti, i quali sono avidi di sapere l’intimità delle vite dei nuovi arrivati per nutrirsene vampiristicamente, piuttosto che per alleviarne il dolore. Ha più di un secolo quella commedia ma non è invecchiata di un solo giorno. Pirandello, Kafka, Dürrenmatt, autori del profondo, avevano ben chiari i meccanismi contorti della nostalgia.
Per pascere la nostalgia di un’età aurea basti pensare ai programmi televisivi che sono ideati soprattutto per le persone anziane, che compongono la maggioranza del Paese, quelle che ne usufruiscono di più. La canzone più gettonata, riarrangiata, ripulita, ritinteggiata sembra essere Se telefonando (1966). Poi l’intramontabile Battisti, poi Tenco, poi De André e così via. E sfilano le immagini delle Vanoni, Zanicchi, Mina d’epoca, un po’ come fossero le bisnonne che mostrano ai nipotini le foto di quand’erano ragazze.
Per carità, sono classici sempreverdi, e dovrebbero far pensare a quanto sia decaduta la tanto celebrata canzone italiana, con degli artisti, oggi, che più che cantare bofonchiano senza far capire alcunché ma che spopolano soprattutto tra i giovani che si riconoscono in quel bofonchiare perché loro stessi parlano malissimo e nessuno li corregge, né a scuola né in famiglia. Una nuova forma di comunicazione basata sull’incompresibilità e quindi l’incomunicabilità, utilizzata forse dai giovani per impedire al mondo adulto di penetrare il loro. Ma anche lì, nel mondo giovanile, la nostalgia è in agguato, perché se non c’è rete o il telefono è scarico, si ha subito il rimpianto di quel mondo a cui si può accedere solamente attraverso il portale magico che sono i monitor, piccoli o grandi, o si va nel panico ripensando a come non si possa fare a meno dei video micidiali di tiktok o di qualsiasi altro social, e di come le messaggerie, ossia il modo ormai diventato più comune per comunicare, siano momentaneamente irraggiungibili. Anche la nostalgia, nei tempi moderni, segue la rapidità della tecnologia che avanza. Ecco un mezzo di comunicazione che viene utilizzato, oggi, soprattutto per creare dipendenza: il telefono. Molto carino e garbato il film del 2017 di Federico Moccia Non c’è campo, dove una scolaresca in gita approda in una masseria del Salento dove non c’è connessione e si scatena il panico, ma anche si ritrovano le vecchie forme di comunicazione.
Il passato nostalgico è, però, ciò su cui meglio mi vorrei soffermare.
Per il potere, sia politico sia economico, ricreare un mondo che riporta a sapori passati sembra essere vincente, anche se quel mondo era ben diverso da com’è descritto nell’operazione nostalgia. L’inesistente famiglia della pubblicità del Mulino Bianco Barilla è un esempio tipico, ma basta per resuscitare ricordi di colazioni prelibate dai nonni o dagli zii, in campagna, in un mondo dove tutto scorre liscio e le caprette ti fanno ciao.
La mistificazione del passato è molto importante in quest’operazione. I giovani neofascisti e neonazisti non hanno la più pallida idea di cosa siano stati i fascismi e i nazismi europei nel XX secolo ma sono attratti dalla mistica dei fascismi, che sono ripresentati come appetibili dai politici di estrema destra. In Italia come in Germania come negli USA. È il fascismo stesso una nostalgia coatta e artefatta della Patria. Peter Levenda, nel suo saggio Satana e la svastica (2005), analizza i meccanismi dell’adesione al nazismo attraverso il misticismo, soprattutto nei giovani che vagheggerebbero un mondo nuovo (in realtà vecchissimo, problematico e che non ha avuto che esiti negativi).
Un atteggiamento simile, anch’esso legato al misticismo ebraico e al concetto di terra e di sangue, pervade molti coloni israeliani ortodossi e li irrigidisce in posizioni intransigenti verso i palestinesi, perfino nei luoghi che ai palestinesi spetterebbero, come la Cisgiordania. Anche questo è un tipico atteggiamento di stampo fascista, assoluto, intransigente.
Negli USA il misticismo oscuro, soprattutto cristiano, è sempre stato usato in funzione identitaria WASP, e poi gli USA sono il paese delle sette religiose, dove ognuno ha la sua figura di Dio, di Gesù e di Satana, che a volte coincidono, a volte per niente. E la strumentalizzazione di bibbie e vangeli, tirate di qua e di là, prolificano tra gli ignoranti che non conoscono altri testi se non quelli “sacri”, convinti che l’universo fu creato in sette giorni, che Matusalemme, il nonno di Noè aveva novecentosessantanoveanni; per questo negli anni Sessanta si diceva ai quarantenni che erano dei matusa. Vedi la nostalgia che fa? Fa riaffiorare Nino Taranto che cantava Ma tu, ma tu matusa! (1967). Canaglia!
Quando sento Valditara che ripete che la Bibbia è fondamentale nella scuola italiana mi si rizzano i capelli in testa (quelli che restano) perché se ci sono dei problemi nella nostra Storia culturale, dei pregiudizi, delle discriminazioni, vengono proprio da lì.
Ma la Bibbia, nelle intenzioni dei sovranisti, è usata per combattere gli anticristi dell’Islam e dell’ateismo, e, quindi, per ricreare un passato nostalgico e magico dove esisteva una morale rassicurante, va benissimo. Anche se i primi a disattendere gli insegnamenti biblici ed evangelici sono proprio i politici delle destre, che discriminano, alimentano l’odio, sono piuttosto inclini al furto e alla corruzione, hanno famiglie squinternate e ben poco sante, insomma sarebbero sparpagliati variamente nei cerchi danteschi se solo Dante fosse qui fra noi. Riempirebbero l’Inferno. Per cui sì, certamente uno studio della Bibbia potrebbe servire ma solo se compiuto in funzione totalmente critica. Anche perché la Bibbia è fonte di nostalgie ben precise, prima di tutte la perdita del giardino dell’Eden, fonte del senso di colpa che ci massacra i coglioni fin dall’infanzia.
La nostalgia di qualcosa che non c’è più ma che si vorrebbe che tornasse, nel vuoto di proposte, è più forte nella ricezione popolare. Anche la battaglia per contrastare l’incontrastabile cambiamento climatico viene declinata verso un’idea di quella natura edenica scomparsa, di un’età dell’oro che si è perduta, senza realmente collocarlo temporalmente e, soprattutto, scientificamente nella realtà.
Anche perché nessuno è in grado di dire in quale momento all’indietro nel tempo il cambiamento climatico si dovrebbe riportare: è semplicemente senza senso in quanto il processo è incontrollabile, risultato di una tale quantità di variabili astronomiche ed endogene che il solo pensarlo è profondamente antiscientifico. Serve anche per distrarre, tutto questo trambusto, diventando una nuova religione con sacerdoti e sacerdotesse, meglio se vergini adolescenti, come Giovanne d’Arco colla lancia in resta.
Il millenarismo è un altro aspetto che interseca la nostalgia perché demonizza il futuro e basta, senza un concreto approccio se non quello emotivo, fortissimo, e crea, paradossalmente, anche una nostalgia del futuro, di qualcosa che non si è ancora realizzato. E negli USA millenaristi, profeti, predicatori, si sprecano, con bibbie su cui giurano i presidenti, chiese degli Ultimi Giorni, orologi dell’apocalisse, penitenziagite e contrizioni. Gli USA sono infaticabili fabbricanti di millenarismi e nostalgie, anche perché hanno a disposizione l’industria cinematografica più potente della Terra e hanno visto che il prodotto filmico tira e condiziona le menti. L’arma più potente, secondo Mussolini, era proprio la cinematografia.
In tutto questo s’inserisce la squinternata visione utopistica di Elon Musk, che del passato farebbe un falò senza pensarci due volte e che diventa, al pari del movimento ecologista di ultima generazione, un surrogato di nostalgia per un mondo che potrebbe esserci e non c’è ancora, andando in cortocircuito. La visione dell’artificialità, dall’intelligenza al viaggio interplanetario, senza ostacoli burocratici ma con sacrifici umani necessari (secondo Musk), può provocare, nei più suscettibili alle nostalgie, un senso di nuova Patria virtuale, senza considerare il mondo che abbiamo, che è l’unica Patria che ci possiamo permettere.
Mi viene da pensare a Jean-Luc Picard, capitano dell’Enterprise in Star Trek, che probabilmente considerava l’astronave stessa come la sua Patria. Tutto l’equipaggio non soffriva di nostalgia perché, forse, era quella l’unica Patria possibile.
Le nostalgie moderne si avvicendano ad alta velocità perché l’attualità è governata da dinamismi sempre più elevati. Il metabolismo umano non ce la fa, chissà se anche l’Intelligenza Artificiale, un giorno, soffrirà di nostalgia e ripenserà con tenerezza, autoassolvendosi, a tutti gli errori di sintassi e d’informazione che faceva quand’era ancora in fase di apprendimento: com’ero sciocchina e ignorante all’epoca, ma ora è tutta un’altra cosa, mi sono anche laureata in tutte le materie dell’Università. Magari era poi la Scuola Radio Elettra.
Ciò che non può adeguarsi alle alte velocità è il nostro corpo, saldamente ancorato al suolo per la forza di gravità. La bilancia ce lo ricorda continuamente, screanzata. Mi veniva in mente poco fa l’aria di Falstaff, Quand’ero paggio del duca di Norfolk, ero sottile, sottile sottile. Non ero così sottile ma un bel po’ di chilogrammi non esistevano. Nostalgia canaglia!
Comunque, ecco che arriva il momento del viatico: state attenti alla nostalgia, corteggiatela con misura, ma soprattutto evitate i nostalgici di quelle età auree del secondo ventennio del Novecento. Non portano niente di buono, mai.
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