Italia

La storia di Teresa. Un figlio con DSA

Storia minima di chi regge tutto e non viene mai visto

13 Aprile 2025

Quando è entrata nell’ufficio comunale non ha salutato. Ha preso il numero, si è seduta, ha aspettato. Sessantadue. Era il suo. Si è alzata. Ha detto: “Buongiorno”.
Dall’altra parte del vetro, una donna bionda con gli occhiali grandi ha risposto: “Mi dica”.
Teresa ha tirato fuori un foglio stropicciato. “È per la richiesta di contributo. Mio figlio è disabile. Siamo in attesa della legge 104 da mesi. Intanto il centro non lo accoglie.”
La donna bionda ha abbassato gli occhi. Ha guardato il modulo. Ha digitato qualcosa. Poi ha detto: “Serve la relazione del neuropsichiatra.”
Teresa ha fatto un gesto lieve, come chi sa già. “Ce l’ho.”
L’ha tirata fuori, piegata in quattro. Gliel’ha passata sotto il vetro. La donna ha letto a mezza voce: Disturbo dello spettro autistico con gravi difficoltà relazionali e comportamentali’. Poi ha stampato un altro modulo, ha indicato una croce da apporre, e ha detto: “Firmi qui.”

Nessuno ha pronunciato il nome del bambino.
Nessuno ha chiesto quanti anni ha, come sta, se dorme la notte, se riesce a mangiare, se a scuola lo capiscono, se Teresa regge. Nessuno.

Quando è uscita dall’ufficio, ha guardato il modulo, poi la strada, poi il cellulare. Niente messaggi. Ha pensato che non avesse voglia di tornare a casa. Poi ha pensato che non potesse non farlo. C’era da preparare il pranzo. Nel tragitto ha attraversato tre parole stampate su tre manifesti: inclusione, fragilità, aiuto. Ha sorriso. Ma era un sorriso chiuso, come quelli che si fanno per non bestemmiare.
All’incrocio c’era un padre con il figlio sulle spalle. Lei li ha guardati solo un secondo. Poi ha stretto la cartellina tra le mani. E ha attraversato.

In fondo alla via, la porta di casa era chiusa. Ma la chiave, come sempre, era sotto il vaso.
Ha pensato che suo figlio non avrebbe mai potuto trovarla.
E si è chiesta, per la prima volta, se anche lei un giorno avrebbe smesso di cercarla.

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