
Italia
Italia e il Pluralismo Religioso: Grazie Presidente Mattarella
31 Marzo 2025
Da diversi anni, il Presidente della Repubblica italiana si rivolge ai cittadini di fede musulmana in occasione della fine del Ramadan, un gesto che rientra nella normalità delle democrazie occidentali. Tuttavia, in Italia assume i toni di un’eccezione, poiché nessun Presidente del Consiglio negli ultimi vent’anni ha espresso un augurio simile per le festività ebraiche o musulmane, come invece fanno regolarmente i leader europei.
Questa assenza non è solo una peculiarità della destra, spesso arroccata su posizioni identitarie rigide, ma anche della sinistra, che dovrebbe essere più aperta al dialogo. In realtà, entrambe le parti politiche sembrano essere due facce della stessa medaglia, mostrando una sostanziale indifferenza verso il riconoscimento delle minoranze religiose. Perfino le festività ortodosse, quando non coincidono con quelle cattoliche, non ricevono attenzione ufficiale.
Questa mancanza di apertura riflette una mentalità obsoleta, per certi versi reazionaria, che non riconosce la pluralità religiosa dell’Italia. Eppure, nei primi anni dell’Unità, il Paese ha avuto quattro Presidenti del Consiglio di fede ebraica. Con l’avvento della Repubblica, nessun Capo del Governo è stato cattolico praticante, segno di una lunga tradizione di pluralismo religioso. L’Italia è stata storicamente un crocevia di culture: cristiana riformata, cattolica, ortodossa, con un’importante presenza ebraica. Eppure, nei programmi scolastici, la storia dell’ebraismo in Italia è pressoché assente, mentre in paesi come il Marocco l’ebraismo viene riconosciuto come elemento fondamentale della cultura nazionale nella Costituzione.
Lo stesso vale per altre figure storiche rilevanti, come Federico II e il suo rapporto con l’Islam, spesso trascurati nei percorsi di studio. Questa carenza culturale riflette un modello etnico-nazionalista che ha radici nel fascismo più reazionario e che, nel secondo dopoguerra, non è stato del tutto superato.
Il problema della mancata valorizzazione del pluralismo religioso in Italia non riguarda solo le dichiarazioni pubbliche, ma si estende anche alle istituzioni e alle politiche educative. La scuola, che dovrebbe essere il primo luogo di formazione alla diversità culturale e religiosa, continua a trasmettere una visione della storia fortemente centrata sul cattolicesimo, ignorando o minimizzando il contributo di altre confessioni. La cultura ebraica, ad esempio, ha avuto un ruolo fondamentale nella storia italiana, eppure viene trattata quasi esclusivamente in relazione alla Shoah, senza una contestualizzazione più ampia del suo apporto alla società.
Anche il contributo della cultura islamica viene spesso ignorato, nonostante la presenza di comunità musulmane in Italia sia ormai una realtà consolidata. Figure come Federico II di Svevia, che nel XIII secolo aveva una visione illuminata del rapporto tra culture e religioni diverse, sono marginalizzate nei programmi scolastici. Eppure, Federico II è stato un esempio di dialogo e integrazione: parlava arabo, aveva consiglieri musulmani e promosse lo scambio culturale tra Oriente e Occidente. La sua esperienza di governo dimostra che il pluralismo non è un concetto moderno, ma una realtà che ha radici profonde nella storia italiana.
La mancata attenzione al pluralismo religioso in Italia affonda le sue radici anche nella storia del XX secolo. Durante il fascismo, il regime promosse un’idea di nazione fortemente legata all’identità cattolica e romana, escludendo altre componenti culturali e religiose. Questa visione monolitica della società è sopravvissuta anche dopo la caduta del fascismo, influenzando la cultura politica italiana per decenni.
Negli altri paesi europei, la laicità dello Stato si è tradotta in un riconoscimento ufficiale delle diverse comunità religiose e in una maggiore apertura verso il pluralismo. In Francia, Regno Unito e Germania, i leader politici non esitano a rivolgere auguri per le principali festività religiose non cristiane, riconoscendo il valore della diversità. In Italia, invece, la politica sembra ancora legata a una concezione antiquata dell’identità nazionale, che esclude o marginalizza le minoranze religiose.
In questo contesto, l’unica figura istituzionale che si distingue per una visione più inclusiva è il Presidente della Repubblica. Ogni anno, il Capo dello Stato rivolge messaggi di auguri per le festività delle diverse comunità religiose presenti in Italia, sottolineando l’importanza del rispetto e della convivenza. Questo gesto, per quanto simbolico, rappresenta un’importante presa di posizione in un Paese dove il pluralismo religioso fatica a trovare riconoscimento.
Il fatto che il Presidente della Repubblica sia un cattolico praticante rende questo atteggiamento ancora più significativo. Dimostra che il rispetto delle diversità non è in contrasto con la fede personale, ma anzi ne è una naturale conseguenza. Il messaggio che ne deriva è chiaro: la laicità dello Stato non significa negare le religioni, ma garantire a tutte pari dignità e visibilità.
L’Italia ha bisogno di un cambio di paradigma culturale, che riconosca che il pluralismo religioso è sempre stato elemento fondamentale della sua identità nazionale. Questo cambiamento deve partire dalle istituzioni, ma coinvolgere anche la scuola, i media e la società civile.
Per superare l’eredità di un modello etnico-nazionalista, è necessario introdurre nei programmi scolastici una narrazione più inclusiva della storia italiana, che valorizzi il contributo di tutte le comunità religiose. Occorre inoltre promuovere politiche che favoriscano il dialogo interreligioso e il riconoscimento delle festività delle diverse confessioni.
In un mondo sempre più globalizzato, l’Italia non può permettersi di restare ancorata a un’idea di nazione che non rispecchia più la realtà. Riconoscere e valorizzare la diversità religiosa non è solo una questione di giustizia, ma anche una necessità per costruire una società più coesa e inclusiva.
Il primo passo è quello di rompere il silenzio: la politica deve assumersi la responsabilità di dare visibilità a tutte le comunità religiose, non solo con parole, ma con azioni concrete. Solo così l’Italia potrà davvero definirsi un Paese democratico e pluralista.
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