Italia

Finché c’è guerra c’è speranza

Un fabbricante d’armi italiano tra un mercenario trumpiano e un trafficante legato a oligarchi russi, affaristi e legali maltesi, società del Delaware ed emiratine. Affari sporchi dell’imperialismo straccione italiano emersi dall’Atlante di The Weapon Watch.

21 Marzo 2025

L’industria bellica italiana riproduce abbastanza fedelmente la geografia del settore manifatturiero nazionale: pochi grandi gruppi pubblici e privati italiani e stranieri (Leonardo, la parte militare di Fincantieri, Avio Aero, Alenia, i veicoli militari Iveco, Beretta, le filiali italiane di Rheinmetall e Tales), insieme il 90% del fatturato. Accanto una pletora di aziende e aziendine, molte imprese familiari – alcune hanno ceduto le quote, del tutto o in parte – a fondi perlopiù stranieri e i vecchi proprietari sono rimasti in azienda come dirigenti e start up, spesso fondate da ex militari, a volte con un pugno di dipendenti ma fatturati milionari, che operano nell’indotto dei grandi o forniscono direttamente beni e servizi a forze armate italiane e straniere. Insomma un ginepraio in cui è difficile orientarsi, figuriamoci esercitarvi un controllo. Tanto più è meritorio il lavoro dei curatori dell’Atlante di The Weapon Watch – uno è Carlo Tombola che abbiamo intervistato su GliStatiGenerali (18 marzo 2025) – un archivio al momento accessibile solo agli studiosi dell’industria bellica italiana divisa per settori e delle basi militari sul suolo italiano.

Saltabeccando un po’ a casaccio tra le schede, leggendo le informazioni sulle aziende, seguendo i link e usando i motori di ricerca per approfondire i casi, si trovano storie che ci spiegano più di tanti inutili dibattiti televisivi per quale ragione, ad esempio, il governo Meloni ha rispedito frettolosamente Almasri in Libia e l’opposizione lo ha criticato più nel metodo che nel merito. Quella che segue è una di quelle storie, ma chissà quante altre se ne potrebbero ricavare studiando a fondo l’Atlante.

Dalle forze speciali russe al bresciano

Tra le aziende presenti all’EOS Show 2025 di Verona, la fiera delle armi di recente al centro delle polemiche per le immagini di minorenni che impugnavano alcune armi esposte, c’era anche Arsenal Firearms Srl, azienda di Concesio, nel bresciano, fondata nel 2010 dall’italiano Nicola Bandini insieme al russo-israeliano Dmitri Strechinski.

Bandini, come si può leggere sulla bio (non aggiornata) pubblicata da Lahab Light Ammunition, produttore di munizioni degli Emirati Arabi (Gruppo Edge), di cui almeno fino agli inizi del 2024 risultava essere amministratore delegato, ex ufficiale in un’unità missilistica italiana, è un giornalista specializzato in armi da fuoco e questioni militari, consulente delle forze armate italiane, perito balistico, consulente balistico giudiziario e direttore della comunicazione di un altro gruppo della difesa emiratina, CARACAL (che, secondo il sito di un’altra sua azienda, avrebbe cofondato).

Nel 2010 fonda Arsenal Firearms, che produce, tra l’altro la pistola semiautomatica AF-1 Strike One. Secondo un istruttore di tiro russo l’arma “è stata sviluppata in Russia, ma non è mai diventata un’arma standard nelle forze armate russe o nelle unità delle forze dell’ordine per ragioni politiche legate al complesso militar-industriale russo”. “All’inizio del 2014”, precisa l’esperto, “ho saputo che il fondatore dell’azienda ha dovuto lasciare la Russia, per non farvi più ritorno. So perché è successo, ma il buon senso mi dice che non è ancora il momento di raccontarlo. Posso solo dire che non aveva nulla a che fare con le caratteristiche tecniche o le prestazioni dell’arma”. Il racconto, pubblicato su thefirearmblog, contiene una foto di Dmitri Medvedev che spara con una Strike One, video dell’autore e di Dmitri Strechinski che testano la pistola e un altro dell’esperto d’armi americano Larry Vickers, che la fa testare a uomini incappucciati presentati come agenti del Team Alpha dell’FSB.

Bandini possiede anche Decima Divisione Balistica (XDB) – logo ispirato alla X Mas – e PBM Italia, qui nel logo c’è la croce di ferro della Wehrmacht, entrambe con sede a Poggibonsi, Siena, che sul profilo Linkedin di Bandini risultano entrambe fondate nel 2017 e hanno filiali a Malta e in Canada. Cofondatore di PBM è Erik Prince, a capo della famigerata Blackwater, responsabile del massacro di Piazza Nisour a Baghdad (2007): 17 vittime civili, tra cui un bambino di nove anni, e 20 feriti durante un servizio di scorta a personale diplomatico USA. Prince è un sostenitore di Trump, che nel 2020 ha concesso la grazia ai responsabili del massacro in Iraq. Qualche settimana fa ha dichiarato che per espellere 12 milioni di immigrati illegali ci sarà bisogno del settore privato, previsione che suona come un’autocandidatura

Gli affari coi russi…

Le aziende fondate da Bandini finiscono più volte al centro di scandali e polemiche. Nel 2017 Giorgio Beretta di OPAL (Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere) in un articolo su Unimondo rivela che l’anno prima il ministro degli Esteri del governo Renzi, Paolo Gentiloni, ha autorizzato l’esportazione di 10.000 AF-1 Strike One (7 milioni di euro il valore della commessa) destinate alle forze di sicurezza di Maduro in Venezuela, un paese che l’anno dopo, da presidente del consiglio lo stesso Gentiloni definisce “al limite della dittatura”. L’autorizzazione viene revocata quando 1.550 esemplari (valore: 750.000 euro) sono già stati consegnati.

Nel 2022 un’inchiesta di Gianni Rosini sul Fatto Quotidiano cita un articolo di ABC News secondo cui il socio di Bandini in Arsenal Firearms, Strechinski, oltre che un collezionista di armi in miniatura e un venditore di armi sarebbe anche un ex membro delle forze speciali russe, coinvolto insieme a Prince nelle presunte interferenze russe nelle presidenziali americane del 2016. Rosino ricorda anche che Strechinski nei primi anni 2000 è stato arrestato grazie a una dritta dei servizi di sicurezza ucraini e processato a Torino per traffico illegale di armi (mitra e missili ucraini ufficialmente diretti nei Balcani, ma vendute a Egitto, Sudan e Marocco) e condannato in primo grado.

Imputati insieme a lui sono il mercante d’armi greco Kostantinos Dufernos, gli oligarchi russi Alexander Zhukov (all’epoca suocero di Roman Abramovich) e Leonid Lebedev, il banchiere inglese Mark Garber e l’ex primo ministro e capo dei servizi di sicurezza dell’Ucraina Evgeni Marchuk, alla fine assolti tutti per difetto di giurisdizione. Il capitano del cargo maltese che trasportava le armi ed era stato fermato dalla marina militare italiana nel Canale di Otranto, infatti, in aula dichiara che dal Porto di Odessa stava puntando direttamente sulla Croazia, senza scali intermedi in Italia, dunque è un traffico estero su estero, fuori dalle competenze dei giudici italiani.

Ancora il Fatto afferma che Pampina Votsi, avvocatessa dello studio legale Christodoulos G Vassiliades & Co LLC di Malta, legato a oligarchi russi vicini a Putin, è stata nel board dell’impresa bresciana. Al Fatto replica una diffida inviata dai legali di Arsenal Firearms, secondo cui, “La società è dal 2017 di proprietà di un soggetto della Repubblica ceca” e “nemmeno conosce” Pampina Votsi. Per Rosini e altre fonti il ceco è Dmitri Kosickin, dirigente della Arsenal Collection SRO di Carlsbad, in cui è socio di Strechinski e della moglie di quest’ultimo. Effettivamente pare confermato che nell’agosto 2017 Baldini e Strechinski abbiano ceduto le loro quote societarie a un uomo legato al russo e che Baldini sia tornato in Toscana per aprire altre due società, PBM e XDB.

…e con gli americani

Anche la reputazione di PBM, tuttavia, non è immacolata. Consultando gli archivi dell’ICIJ, infatti, leggiamo che nella controllata maltese PBM Limited, registrata il 2 dicembre 2016 a La Valletta, Baldini è socio al 50% di Unified Global Services Ltd e affiancato come rappresentante legale da James Fenech. Trafficante d’armi maltese legato anche lui a Erik Prince, Fenech e altri quattro uomini nel 2020 vengono indagati dalla magistratura di Malta, per aver violato l’embargo UE e ONU sulle forniture di armi alla Libia. Secondo i giudici nel 2018-2019 i cinque avrebbero trasportato su due motoscafi contractor militari privati di una compagnia emiratina da Bengasi a Malta spacciandoli per tecnici inviati in Libia per effettuare dei sondaggi in cerca di gas e petrolio. Nel 2022 vengono prosciolti perché “l’accusa non è riuscita a provare che i motoscafi a chiglia rigida gonfiabile e i motori fuori bordo montati su di essi siano nella lista degli articoli che necessitano di autorizzazione per essere esportati in Libia”, scrive il Times of Malta.

Unified Global Services Ltd è un’azienda fondata nel 2014 e controllata da un pool di società che operano nel settore della sicurezza, tutte controllate da Fenech, che di fatto risulta il titolare. Nel 2021 finisce nel mirino delle Nazioni Unite perché una lettera di un gruppo di esperti indirizzata al Consiglio di Sicurezza accusa la società di essere coinvolta nel Progetto Opus, finalizzato a fornire alle milizie di Khalifa Haftar, leader militare della Cirenaica, aerei d’assalto ad elica e velivoli per operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR), mezzi per operazioni di interdizione marittima e cybersicurezza, veicoli armati senza pilota. Tra gli obiettivi di Opus anche il rapimento e l’eliminazione di personaggi di alto livello nella realtà libica. Anche qui con la pianificazione, la gestione e il finanziamento dell’operazione affidate tre società con sede negli Emirati Arabi Uniti.

Uno dei velivoli forniti ad Haftar è un aereo leggero per operazioni di ISR LASA T-Bird (Yu-TSH) che il 18 giugno 2019 parte dalla Serbia e dopo aver fatto tappa in Austria, Giordania, Bulgaria, Grecia arriva a Cipro pilotato da uno dei contractor militari che Fenech riporterà a Malta in motoscafo. A Cipro sulla fusoliera viene applicata il logo di Global Geo Survey, inesistente azienda di ricerche petrolifere.

Un successivo rapporto ONU del 2022 ipotizza che Erik Prince controlli almeno una delle aziende emiratine coinvolte nell’Opus Project, la Lancaster 6 DMCC e spiega che il mercenario maschera il proprio ruolo in operazioni come Opus utilizzando proprio la PBM di Bandini:

“Gli esperti del gruppo ora hanno le prove dell’utilizzo di questa tecnica da parte di Erik Prince nel caso di PBM Limited (Malta #C74485), posseduta al 50% dalla Unified Global Services Group Limited (Malta C66387), una società controllata da James Fenech, che è anche il fornitore dei motoscafi a chiglia rigida gonfiabile per il Progetto Opus. Il 1° giugno 2017 Unified Global Services Group Limited ha dato in pegno il 100% della propria partecipazione in PBM Ltd a una società registrata negli Stati Uniti, Phalanx Holding Company LLC (Delaware# 4901076), controllata da Erik Prince, rendendolo di fatto il proprietario effettivo di PBM Ltd. Dopo l’indagine e l’arresto di James Fenech alla fine di aprile 2020 e il congelamento dei beni di Fenech il 24 aprile 2020 da parte del tribunale maltese, Erik Prince si è adoperato per cedere la sua partecipazione in PBM Ltd e interrompere i legami commerciali con James Fenech”.

Il rapporto ONU contiene anche le immagini dei due atti con cui il primo giugno 2017 Fenech e Bandini cedono ciascuno il proprio 50% alla società di Prince, che gliela restituisce il 21 luglio 2020, firmando incautamente l’atto e dunque riconoscendo di aver avuto il controllo della filiale maltese della PBM mentre Opus armava il Lybian National Army di Haftar.

Piccoli fatturati crescono

I fatti, pur complessi, ci consentono di farci un’idea del contesto. La sensazione è che piccoli affaristi italiani, nella Prima Repubblica si usava il termine “faccendieri”, si trovino più facilmente nel ruolo di comparse dentro gli ingranaggi di un gioco più grande di loro, le cui conseguenze, soprattutto quando il gioco si fa duro, siano più pesanti di quanto personaggi di questa tacca possano affrontare. E se i soci più potenti entrano in conflitto tra loro, in che misura l’effetto può abbattersi sui piccoli affaristi italiani e sull’Italia?

D’altra parte si tratta di un ruolo ben retribuito. Come ci racconta l’Atlante di Weapon Watch negli anni in cui si svolgevano i fatti citati le entrate di PMB (8 dipendenti nel 2018 e 9 nel 2023) sono passate da 900.000 euro nel 2019 a 960.000 nel 2020, balzando a 5,67 milioni nel 2021. Risultati analoghi a quelli di Arsenal Firearms (5 dipendenti nel 2019 e 4 nel 2022), che nel 2018 fattura 900.000 euro, l’anno dopo 990.000, quello dopo ancora 1,79 milioni di euro per assestarsi a 1,23 milioni nel 2021. Mentre XDB (5 dipendenti nel 2019) in un anno triplica il suo giro d’affari, pur ridotto, passando da 120.000 euro nel 2019 a 360.000 nel 2020. Del resto, diceva Alberto Sordi nei panni di Pietro Scocchia, il rappresentante di armi di “Finché c’è guerra c’è speranza”: “le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce – e tutti i cazzi che ve se fregano – costano molto!”

L’articolo è tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 18 marzo 2025.

 

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