Italia
Esporre il dolore
Quando la morte sparisce, ma il dolore diventa pubblico
C’è un dolore che va detto. E uno che va custodito. Ma oggi, nella retorica del lutto condiviso, del trauma socializzato, della sofferenza da like, anche la morte diventa contenuto.
C’è chi scrive post strazianti mezz’ora dopo la notizia. Chi racconta in diretta l’agonia della madre. Chi pubblica la bara, i fiori, il vuoto. Il lutto, per diventare reale, deve essere dichiarato. Mostrato. Condiviso. Non più elaborato in silenzio, ma offerto al pubblico. Come se il dolore, per essere autentico, dovesse diventare visibile.
Viviamo una contraddizione feroce. La morte è stata rimossa dal discorso collettivo. Non la si elabora più, la si espelle. Non si muore, si va via. Si delega a una formula, a un messaggio breve, come se bastasse un codice per contenere l’incontenibile. Ma il lutto non è un messaggio. È una ferita che ha bisogno di attraversamento. Invece il dolore viene subito esposto, reso pubblico, mostrato. Come se, privati di un’elaborazione interiore, potessimo compensare con la condivisione. Come se bastasse la visibilità a salvarci dall’assenza. E così la morte sparisce, ma il dolore si mette in vetrina. La rimozione si allea con l’esibizione. È il paradosso perfetto della nostra epoca. Ciò che non si riesce più a pensare, lo si ostenta. Senza più tempo. Senza più simboli. Senza più silenzio.
Abbiamo trasformato il mistero in algoritmo. Il silenzio in notifica. E l’intimità più profonda in didascalia.
Ma il dolore vero non sempre sa parlare. A volte resta fermo. Muto. Si ritrae, come un animale ferito. E ha bisogno di buio, di distanza, di voci basse. Non di reazioni, commenti, emoji in pianto.
E poi c’è una nuova forma di comunicazione postuma. C’è chi parla con il caro defunto. Come se i social fossero diventati il nuovo Paradiso. O l’Inferno, o il Purgatorio. Come se proprio lì, su quella bacheca, la sua anima potesse ringraziare.
Il post prenderà centinaia di like. Commenti affettuosi. Cuori. Abbracci virtuali. Ne mancherà solo uno. Il più importante. Quello del caro defunto.
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