Italia

Crepet si sbaglia

Per educare non serve vietare. Serve fidarsi

25 Marzo 2025

Viviamo dentro un analfabetismo di ritorno. Diffuso. Sottile. Colpevole. Una stagione in cui gli adulti hanno fallito nel loro compito educativo. Hanno rinunciato a essere guida e misura. Si sono consegnati alla tirannia della tecnologia e del consenso. In questa analisi, Paolo Crepet ha ragione. Ma quando propone di vietare l’uso dei social fino ai 16 anni, sbaglia. Non sui sintomi, ma sulla cura.

Proibire, limitare, sorvegliare. È la scorciatoia di chi ha smesso di fidarsi. L’altra faccia della paura. Come se i giovani, lasciati liberi, potessero solo autodistruggersi. Ma è proprio questo il punto. La libertà, per essere tale, deve implicare anche la possibilità di sbagliare. E la responsabilità di farlo da soli.

Non si educa togliendo. Si educa restituendo. Autonomia. Scelta. Fiducia. La libertà digitale non è un diritto da reclamare. È un rischio da abitare. Ogni giorno E non possiamo comprenderlo con strumenti e linguaggi obsoleti. I ragazzi abitano un mondo che noi adulti osserviamo da fuori. E troppo spesso lo facciamo con occhi spaventati.

Poi c’è la scuola. Un apparato. Un’istituzione che, nella sua forma attuale, ha perso il passo con il tempo. È rimasta immobile mentre il mondo cambiava. Non ha visto franare l’intera struttura sociale, economica e culturale dell’ultimo mezzo secolo. Invece di fornire strumenti nuovi per leggere la realtà resta appesantita da logiche vecchie. Rischia di perdere persino la sua funzione originaria. Preparare al futuro.

Gli insegnanti vivono passioni tristi. Frustrazione. Delusione. E non è solo questione di stipendi. È questione di senso. Di riconoscimento. Di orizzonte.

E poi c’è una deriva nascosta, ma non secondaria. Il nuovo metodo scolastico che permette ai genitori di monitorare in tempo reale voti, interrogazioni, assenze, finisce per creare una contraddizione educativa profonda. Sarà scorretto dirlo, ma togliere la possibilità di “marinare” è un processo diseducativo. Sì, diseducativo.

Un tempo, chi decideva di non entrare a scuola, sapeva che quella scelta comportava un rischio. Una bugia. Una firma falsificata. Non era un gesto nobile. Ma era un atto che obbligava a misurarsi con le conseguenze. A prendersi la responsabilità delle proprie azioni.

Oggi tutto è tracciato, immediato, sterilizzato. Il giovane non ha più nemmeno la possibilità di sbagliare da solo. E questo non è educare. È ancora una volta sottrarre. Controllare. Incasellare. Anestetizzare.

La sfida, allora, non è introdurre nuovi divieti. Ma costruire una nuova educazione. Capace di lasciare spazio all’errore, alla caduta, alla libertà. Restituire fiducia. Solo così potranno sorprenderci. Non perché siano migliori. Ma perché saranno liberi, di commettere errori. Saremo noi che dovremo essere pronti a non condannare l’errante.

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.