Italia

5 APRILE Pace? No, campo largo

Se qualcuno pensava di manifestare per la pace i messaggi lanciati sabato dal palco suonano come una rettifica: la piazza dei 5 Stelle ha usato il richiamo del no al riarmo, certo, ma per costruire la coalizione elettorale scaccia Meloni con chi il riarmo lo ha votato: il Partito

9 Aprile 2025

Alla manifestazione di sabato Giuseppe Conte e i leader politici presenti hanno dato un saggio esemplare di cosa significhi “non saper tenere un cecio in bocca”. Di fronte al popolo 5 Stelle, con una folta adesione di sigle della sinistra, dell’associazionismo e di personaggi come Giorgio Parisi, Alessandro Barbero e Jeffrey Sachs (più i soliti Santoro, Vauro ecc.), accorsi pensando di dire no alla guerra, infatti, non sono riusciti a resistere neanche qualche ora senza lasciar intendere che quella manifestazione, sì, era contro il riarmo, ma soprattutto per costruire un’alternativa di governo ovvero la nuova coalizione elettorale “progressista” che dovrà dare l’assalto al centrodestra della Meloni.

“Perché mai?”, obietterà qualcuno, “L’alternativa al riarmo non può passare attraverso la creazione di un’alleanza contro la guerra e contro la destra?”. Il problema è che il messaggio lanciato da Conte – i plateali abbracci con Francesco Boccia e la soddisfazione espressa per la “presenza in piazza delle principali forze dell’opposizione” – alludono ad altro. Perché lo schleiniano Boccia è il capo delegazione di un PD reduce dal voto europeo a favore alla “guerra fino alla vittoria sulla Russia”, contro cui, invece, ha votato un pezzo di maggioranza della Meloni (Strumentalmente? Certo, ma allora il processo alle intenzioni va fatto a tutti). Un PD in cui, per inciso, gli schleiniani hanno confermato una legge della storia, cioè che sulla guerra se inizi astenendoti, finisci per votare a favore.

Gli altri leader confermano col loro mettere le mani avanti. Boccia dice: “Sono più le cose su cui siamo d’accordo e su quelle su cui invece non siamo d’accordo ci affideremo alla politica”. Fratoianni precisa che la piazza del 5 aprile è un “passaggio obbligato per la costruzione dell’alternativa di governo”. Tradotto: non c’è posto per Renzi e Calenda e il PD non può pretendere di comandare, visto che oggi è qui con una semplice delegazione. Acerbo inizia con una frecciata a Fratoianni, spiegando “Noi siamo qui perché non eravamo a Piazza del Popolo il 15 marzo”, come Fratoianni appunto. E così via. Insomma un mercato delle vacche sulle spalle di decine di migliaia di persone, almeno il doppio di Piazza del Popolo, perlopiù accorsi in buona fede per dire no alla guerra.

Morale: Conte, leader di un partito che nella sua breve storia ha detto e fatto tutto e il contrario di tutto su qualunque argomento, guerra inclusa, oggi fa sapere di esser pronto a replicare, cavalcando un diffuso sentimento contro la guerra, imbarcando con sé i rottami della sinistra e facendo pesare entrambi in una trattativa “programmatica” col PD, che inevitabilmente si impernierà in disquisizioni da Azzeccagarbugli su “Rearm Europe o difesa comune”, in cui tutti alla fine potranno dire di aver vinto. Del resto i sondaggi dicono che il bacino elettorale del no alla guerra è una prateria. L’ultimo, “Combatteresti per il tuo paese?” (Torcha), dice che gli italiani pronti a immolarsi sono il 14%, il dato più basso in Europa, davanti a Olanda (15%) e Belgio (19%) e che in Francia, Germania e Spagna sono rispettivamente al 29%, 23% e 29%.

Questo è l’unico dato positivo e anche l’unico punto di forza per una battaglia contro il nemico in casa nostra, l’imperialismo guerrafondaio europeo di Ursula von der Leyen, sostenuta con qualche distinguo qua e là da liberali, conservatori, reazionari, democristiani, verdi e “socialisti” europei, persino pezzi di “sinistra”. Se si producono più armi, infatti, poi ci vuole chi le imbracci, perché la prossima sarà, molto probabilmente, una guerra convenzionale, come in Ucraina, con campi di battaglia solcati dai carri armati, trincee, pile di morti accatastati lungo le strade, insomma più simile alla Prima guerra mondiale che alla guerra high-tech teorizzata fino a pochi anni fa anche dai militari.

La società odierna, però, non è quella di 110 anni fa: è una società che ha rimosso l’idea stessa della guerra, dove non ci sono più masse di contadini e di sottoproletari semianalfabeti a cui far credere qualunque cosa, magari facendo balenare ai loro occhi una ricompensa economica, rassegnati a obbedire a un pugno di ufficiali della classe media, mentre i lavoratori e i giovani si mobilitano per la patria per difendere le conquiste sociali strappate con la lotta ma che la patria stessa ha finito per garantire loro (e che oggi invece sono in fase di demolizione). Persino molti anziani manifestanti di Piazza del Popolo manderebbero al diavolo Serra, Vecchioni e Repubblica se dicessero loro che i nipoti devono arruolarsi e sparare contro russi e cinesi.

La condizione per poter sfruttare questo tallone d’Achille dell’imperialismo italiano ed europeo, tuttavia, è rompere politicamente col partito della guerra e, allo stesso tempo, con chi sfrutta l’avversione popolare alla guerra per lucrare in modo cinico e meschino qualche poltrona ministeriale. Da oggi bisogna prender atto che essere “divisivi” non è un difetto, è una necessità.

Editoriale tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info dell’8 aprile.

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