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Via del Canto, il primo festival sui temi dell’integrazione di Fano e Pesaro
Si svolgerà dall’1 al 4 novembre Fano e Pesare la I edizione dei Via del Canto, Festival Internazionale delle Musiche del Mondo. Ideato e diretto da Anissa Gouizi e Frida Neri – artiste, cantautrici, interpreti di musiche dal mondo e animatrici culturali attive da anni nel campo dell’integrazione e del multiculturalismo – Via del Canto non si preannuncia come una semplice rassegna di world music ma come una piattaforma progettuale che fa della musica e dell’espressione artistica uno strumento diretto di integrazione reale, coinvolgendo i migranti ospiti dei centri Sprar, i minori non accompagnati e le comunità del territorio nel processo di produzione stesso dell’evento. Molto interessante la lista degli artisti che andranno in scena, tra cui ci saranno Coumba Gawlo, Sheema Kermani, Giovanna Marini, il Coro Africano di Rimini, Devon Miles, Gabriela Mandies, i Sounds of Kolachi, la Banda della Scuola Popolare di Testaccio, gli Iljazi Family Group, Jabel Kanuteh e il Ballet Africa Teranga. Per capire meglio come sia nata questa iniziativa e l’idea che ci sta dietra abbiamo intervistato Frida Neri, una delle due direttrici artistiche del festival.
Il mare è vocazione e vicinanza, così come l’atteggiamento che dovrebbe essere al centro del gesto di accoglienza delle genti che da esso da sempre sono arrivate, questo festival alla sua prima edizione da cosa nasce?
L’anelito prima e l’impresa poi, nascono dall’incontro fra Anissa Gouizi e la sottoscritta: cantanti, cantautrici, amanti delle musiche dal mondo e impegnate entrambe – anche se in modi differenti – nell’ambito sociale. Anissa Gouizi italo-algerina e io, che sono una molisana impiantata nelle Marche, condividiamo progetti musicali e doppie appartenenze. Così, il nostro comune desiderio di animare la comunità intorno al nodo del canto – già di per sé ambivalente in termini artistici e sociali – ha stimolato le realtà circostanti (istituzioni come Sprar, assessorati alle politiche sociali, alla cultura, sindacati, associazioni e cooperative per l’accoglienza) diventando desiderio comune e visione collettiva. Quindi la risposta è forse l’aver intercettato dei bisogni comuni di guardare in altro modo alla migrazione, a tutte le declinazioni del mondo che rappresenta, come un fenomeno profondamente legato allo stesso mondo del canto. Il festival è infatti incentrato sul canto inteso non soltanto come performance, ma come memoria, come espressione degli intimi moti umani così simili sotto le differenze, come traccia di una comunità e delle sue tradizioni.
Partiamo con Capo Verde, Senegal, Albania e Pakistan, saranno queste le aree geografiche al centro delle prima edizione di Via del Canto, c’è una correlazione nella loro scelta?
Ci saranno anche musiche dal Gambia, dal West Africa. La scelta ha tenuto conto della presenza di vecchie e nuove comunità presenti sul territorio di Pesaro e Fano, soprattutto nel caso di Senegal, Albania e Pakistan. Per questo ultimo paese, abbiamo voluto fortemente che ci fosse un focus specifico visto che si tratta di una nuova migrazione praticamente sconosciuta agli occhi dei cittadini delle provincia di Pesaro.
Via del Canto è qualcosa di più che una rassegna di world music, è anche un progetto di formazione culturale e manageriale che passa attraverso l’integrazione dei migranti dei centri Sprar coinvolti, dopo il 4 novembre, quindi dopo la fine della prima edizione, cosa succederà?
Questa è solo una anteprima, una palestra per costruire un progetto che duri, che diventi una buona pratica costante, un momento in cui il territorio riscopre le sue ricchezze nascoste sotto le pieghe della quotidianità e lo fa attraverso l’arte. Questo è solo l’inizio insomma, e cresceremo passo dopo passo per rendere fertile e funzionante il progetto di fare cultura attraverso le culture, di creare servizi di formazione ed eventi insieme ai migranti, insieme alle istituzioni, insieme a chi vorrà unirsi a noi.
Per questa edizione stiamo lavorando così intanto. Abbiamo costruito una rete di collaborazione con lo Sprar tandem di Pesaro e con le altre associazioni e cooperative che si occupano di accoglienza nella nostra provincia. Lo Sprar ha addirittura sostenuto economicamente la costruzione del nostro festival, dando la possibilità ai suoi utenti di partecipare alle attività entrando a pieno titolo nello staff del festival: ognuno secondo le mansioni che gli possono essere affini.Al momento lo staff è composto da una squadra di una ventina di persone fra minori ed adulti che cucinano, traducono, accompagnano gli artisti nei loro seminari, sono runners, figure di riferimento per la logistica, foto reporter, intervistatori, scrittori, interfaccia con il pubblico, o studenti degli stessi seminari. Sicuramente il clima attuale – di fronte al quale questa impresa è nata come reazione prima emotiva e poi costruttiva – non è propedeutico alla semina di una buona pratica come questa. La restrizione effettiva delle misure di accoglienza – dall’aumento di risposte negative di fronte alle richieste di protezione umanitaria fino alla prospettiva di impoverimento e superamento dell’organismo Sprar e del suo modo di assistere il fenomeno migratorio – rende difficile far arrivare agli utenti e di riflesso anche alla cittadinanza tutta, la nostra presenza e il nostro progetto come opportunità di formazione, consapevolezza e condivisone del proprio bagaglio culturale. Ancora più difficile è cercare di assicurare una continuità . Ma questo non ci scoraggia: è tempo di utopie, come diceva Mimmo Lucano. È tempo di cercare e creare altre strade laddove manchino.
Sicuramente il nostro percorso è solo all’inizio ed il panorama si allargherà sicuramente grazie a progettazioni più ampie, cui cominceremo a guardare come ulteriore sostegno dal giorno dopo il festival. C’è da dire però che le istituzioni, gli enti locali, hanno accolto e sostenuto il progetto dal suo primo vagito, proprio in ragione del costruire altre modalità di fare integrazione. C’è anche da aggiungere che la piccola scala è un vantaggio per questa ricerca di escamotages, di nuovi modi. Le piccole realtà riescono a dare vita a soluzioni su misura, che poi si strutturano. Ecco perché qui la piccola provincia può forse osare più della grande città. Ecco perché quindi possiamo dire di essere ancora sulla riga di partenza di fronte alla gestione del progetto e delle criticità in relazione agli accadimenti politici attuali. Nel bene e nel male.
Oltre ai vari concerti in programma il festival ospita anche 13 workshop su canto, strumenti e danze popolari che si terranno nel centro di Fano, è molto interessante questo intreccio di occasioni di ascolto e di formazione, una cosa rara da trovare in festival tipo il vostro, questi workshop non si meriterebbero di diventare permanenti?
Questo è il nostro sogno più grande! Via del Canto è il primo tempo di un progetto che vuole diventare casa, vuole diventare un luogo in cui l’approccio didattico della condivisione – imprescindibile per questo genere di musica – possa accogliere in maniera permanente e costante attività culturali, musicali, performative. Dove la conoscenza passa attraverso la relazione. Sogniamo una officina in cui culture e persone possano essere stimolo per imparare l’antica arte della contaminazione, della conoscenza di se stessi attraverso l’altro.
Per chiudere una domanda cattiva, il Ministro dell’Interno è stato invitato?
Lo faremo!
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