Immigrazione
Un doppio sguardo per l’inclusione sociale
Alunni stranieri con Bisogni Educativi Speciali
Quadro Italiano
Negli anni ’70 la parola d’ordine in Italia era inserimento, alla fine degli anni ’80 si è passati a integrazione. Da pochi anni, grazie alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con Bisogni Educativi Speciali approvata nel 2007, ratificata nel 2009 anche dall’Italia abbiamo assistito ad un nuovo cambio: la nuova parola d’ordine è ora diventata inclusione.
Certamente serve fare un’analisi attenta del nuovo concetto che essa rappresenta.Il nuovo approccio ha permesso di cogliere le potenzialità e la forza di questo cambio di prospettiva: essa riguarda tutte le persone e la condizione umana, la quale a sua volta può presentare variegate difficoltà di vita e anche situazioni di deficit .
Agire per la tutela dei diritti umani delle persone con BES significa considerare il deficit non come un modello medico , ma come un rapporto sociale tra le caratteristiche delle persone e l’ambiente attraverso il modello bio-psico-sociale. Un modo di pensare sancito prima dall’OMS e poi dall’ONU nell’ art. 3 della Convenzione, dove tra i principi generali viene posta “la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società”.
L’articolo sviluppa il tema, ancora molto poco trattato in Italia,della presenza degli alunni stranieri con Bisogni Educativi Speciali nel contesto scolastico Italiano.Il presente lavoro si
sviluppa a partire da riflessioni prevalentemente pedagogiche e educative che assicurano la possibilità d’inclusione sociale.
La scarsità e la non conoscenza delle tematiche correlati alla tale problematica con riferimento
esclusivo alla popolazione scolastica straniera con BES in Italia e specialmente nel territorio Veneziano rappresentano un fattore di rischio che incidono ad una doppia esclusione in quanto alunno straniero “portatore di differenze etniche”,in quanto anche alunno “con disabilità/BES” .Questo insieme di considerazioni chiama in causa anche il piano politico, inteso in termini di politicità del discorso scientifico, in virtù della stretta relazione che intercorre tra “differenze culturale”e”BES”. La disabilità associata alla condizione del alunno straniero oscurano certamente i rapporti sociali . Qui rientra anche un terzo elemento , la famiglia , il contesto della migrazione può creare handicap, anche dove non e presente il deficit personale.Si tratta di svantaggio sociale quindi di handicap, non riconducibile alle peculiarità della persona immigrata (ricordiamoci in quanto anche genitori) , bensì a molti altri fattori relativi all’organizzazione istituzionale e deprivazione socio-economica. Anche all’assenza della mediazione socio culturale formata nelle tematiche dei BES da parte dei servizi socio – sanitari e l’esclusione da parte della scuola del genitore straniero nella partecipazione della vita scolastica del proprio figlio influiscono alla creazione di barriere.. Le famiglie straniere con figli con esigenze specifiche (faccio riferimento alla macro categoria BES) vivono in una condizione di” handicap” che contribuisce a mantenerli in una situazione di estraneità e di lontananza sociale.Qui e da non escludere anche un altro fattore rilevante lo “stato speciale”del genitore del alunno straniero , e quanto quest’ultimo influisce e penalizza il percorso educativo diseguale e favorendo l’impedimento all processo inclusivo.
L’inesistenza di una Linea Guida ,un Protocollo d’accoglienza,un Piano Educativo /Progetto di vita in base al ICF ,Protocolli di valutazione funzionale e diagnostici per questa popolazione rappresentano un fattore che incide sul ben-essere del alunno straniero con BES comportando a grave ripercussione sullo sviluppo emotivo e sociale portando l’alunno e la sua famiglia ad una doppia esclusione sociale.
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