Geopolitica

Trent’anni di cambiamento: alla fine ritorna il Vicerè Orlando

4 Gennaio 2019

Entro i confini europei, il Mare Nostrum  segna il solco del divario politico e ne diventa protagonista inconsapevole. Come inconsapevoli vittime di demagogia politica sono i migranti, costretti a essere tali per i cambiamenti climatici, la povertà e per sfuggire alle guerre che evocano quegli stessi che dicono di combatterle.

E così nel Mare Nostrum confluiscono e si intrecciano le beghe europee, quelle italiche e quelle più viciniori al palcoscenico politico attuale. Un filo, tanto invisibile quanto d’acciaio della storia, lega tutte queste vicende in unico statu.

Il filo origina da Visḝgrad, città-castello ungherese dove il 15 febbraio 1991 si riunirono 4 Paesi dell’Est appena ex-sovietico: Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, poi sdoppiata in Rep. Ceka e Slovacchia. Era appena concluso il ciclo sovietico durato 75 anni e questi paesi uscivano da un tormento economico di vassallaggio malgrado le loro alte potenzialità. Entrate in Europa e nel ciclo produttivo dell’euro, assistono impotenti, malgrado le prime timide richieste all’Europa tradizionale, all’ascesa resistibile di Valdimir Putin che trasforma la potenza militare sovietica in potenza economica, attraverso il motore del “mondo degli affari”. I vari Potanin, Deripaska, Alexei Miller, Igor Sechin si incaricano dello sfruttamento intensivo degli enormi giacimenti di gas & oil. Nascono così Gazprom, Rosneft, Transneft mentre in Eurasia Nursultan Nazarbayev estrae dal sottosuolo kazako gas che esporta in tutto il mondo. E si arriva alla scoperta dell’enorme giacimento di Shah-Deniz in Azerbaijan che inonda di gas l’Europa Meridionale mediante la TANAP e la TAP. Melendugno è storia dei giorni nostri.

I 4 di Visḝgrad non si fermano, protestano e cooptano i Paesi Baltici, la Romania, la Croazia, costituendo l’Intermarium, un fronte di Paesi che va dal Mar Baltico all’Adriatico. E’ il primo atto dell’Europa a due velocità: da un lato l’Europa tradizionale Francia, Germania, Belgio, Olanda e dall’altro i Paesi dell’Intermarium apertamente schierati contro Putin e i suoi propositi “gasati”.

Se questo è lo scenario, la politica di accoglienza dei migranti subisce un primo contraccolpo proprio da questi Paesi. Nell’ambito dei quali i contrasti non mancano, basti pensare allo scontro epico tra Tusk, Presidente del Consiglio Europeo e la Premier del suo paese, la Polonia, Beata Szylo, che ha preceduto l’attuale premier Mateusz Morawiecki. Discende da qui poi Orban, la sua politica oltranzista in contrapposizione alla politica dell’accoglienza, il muro tra Ungheria e Romania è quanto di polemica attuale.

Dunque la politica dei migranti può essere vista come la foglia di fico, lo scontro di facciata che sotto il quale invece cova il problema altrettanto serio dell’approvvigionamento energetico. La decisione di derogare le regole europee circa gli accordi commerciali tra un paese membro e uno non appartenente, unitamente alla elusione dell’embargo nei confronti della Russia, porta direttamente alla costruzione del North Stream che unisce Vyborg, in Russia, con Greiswald, in Germania, solcando il Mar Baltico. E’ la risposta a Visḝgrad, uno scavallamento netto dei Paesi Baltici e dell’intero Intermarium.

Approvvigionamento di gas, politica dei migranti e riposizione strategica dei Paesi ex-sovietici in area Euro sono fattori che non possono non essere considerati alla base dell’ondata populista che naviga in Europa.

E da cui l’Italia non è estranea con un Governo populista che non per nulla trova in questa corrente il collante tra due movimenti antipodici. E da dove derivano?

Nel volume “ Dai partiti di massa ai sindaci “ fuori dal Comune” che scrivemmo con Pino Nicotri e Felice Besostri, nel 2014 all’alba del Governo Renzi, evidenziammo che la lunga marcia dei partiti di massa, DC, PCI, PSI, filtro tra istituzioni e istanze del paese, tra paese legale e paese reale come si diceva allora, si era arrestata. Anzi era stata “arrestata” dal 1992, Mani Pulite, Di Pietro etc. E come scrisse Gianfranco Pasquino nella prefazione di quel libro “La storia dei partiti italiani è lunga e nient’affatto tutta criticabile. E’ anche una storia di leader”.

Appunto. Leader che hanno trasformato i partiti facendoli a propria immagine

Il Partito Monoteista

In principio fu Pannella. La lista Pannella inaugurò nel 1994 la serie dei partiti nominalistici o monoteisti. Il leader impersonava il riferimento politico e quindi era lui il partito. Poi fu la volta della Lista Casini (2007) cui si è arrivati attraverso un processo, neanche lento ma comunque surrettizio, in cui il partito di riferimento, il CCD, si identificava con il leader carismatico.

Lo stesso dicasi per la Lista Segni, in cui il leader, o quello che sembrava tale, era la personificazione di una politica innovativa, o quella che sembrava tale. Ma il vero artefice del partito “cosa propria” è stato Di Pietro. Sin dalla fondazione a Sansepolcro nel 1998, l’Italia dei Valori era semplicemente il sottotitolo della Lista Di Pietro, denominazione che avvolgeva anche il sito web. Padre-padrone anche agli effetti giuridici, essendo l’Associazione Italia dei Valori la depositaria di ogni diritto e di ogni esclusiva, compresa quella finanziaria.

Anche la Lega Nord aveva un suo capo carismatico Umberto Bossi ma ha sempre conservato la denominazione originaria, sia pure con qualche variante. Dapprima Lega Nord, poi con la fusione della Liga Veneta, Lega Nord per l’Indipendenza della Padania. Il riferimento a Bossi era nelle cose politiche ma mai nella denominazione.

Nel 2010, dopo il celebre dissidio con Berlusconi, nasce la Lista Fini che non nasconde modalità di genesi e di riferimento politico all’allora Presidente della Camera. La denominazione Futuro e Libertà per l’Italia, FLI è un riferimento neanche occulto al cognome del suo presidente e fondatore.

Persino una roccaforte apparentemente inossidabile come il centro montiano sembrava sfuggire a quest’evoluzione. Grazie all’avvento del Governo Monti, provò a nutrire ambizioni da Terzo polo, poi sepolte dalle elezioni del 2013.

I partiti Monoteisti sono dunque parte di una fase involutiva della politica italiana che porta direttamente alla loro sepoltura. Finisce l’apparato, finiscono i collegi e le clientele, la politica diventa “villaggio globale”, si perde la rappresentatività del deputato che è espresso dalla sua popolazione. Siamo all’epoca dei nominati, che vanno in albergo nel collegio di destinazione, vi soggiornano l’indispensabile, pagano il conto e se ne vanno. Il principio della democrazia rappresentativa, espresso negli artt.dal 55 al 69  della Costituzione, Parte Seconda, è già cassato.

La ventata populista si raccoglie nei Meetup, nelle piazze divenute novelle Agorà, e si esprime a furor di popolo. Populista e sovranista diventano leit-motiv dal basso, una piattaforma che non per niente si rifà a Rousseau, al 1789 e dintorni. Politica dal basso, populismo universale in contrapposizione alla politica populistica verticistica , come quella della  Lega per Salvini Premier.

Cosa si oppone a questo? La mancanza di opposizione è l’altro contraltare, la lamentazione della sinistra alla ricerca di progetti, uomini e strade da percorrere. In mancanza della ristrutturazione di “Casa Sinistra”, riemerge il Forzismo. In principio, fu Lui, il Grande Comunicatore che non per nulla diede nome al suo movimento, Forza Italia. Il principio era quello del partito liquido, quasi inesistente, a dimostrare l’essenzialità del Principe. L’identificazione dell’Uomo con il Partito è indice di forza, di essenzialità politica. Se manca uno, l’altro automaticamente decede. E allora Salvini è più forzista o più populista? Certamente la seconda ipotesi è più suggestiva perché fa leva o forza su masse popolari, anche laddove era inatteso, come Sardegna o Campania.

La contaminazione dipietrista o berlusconiana, del Partito c’est moi non è estranea alla cosidetta sinistra. Un esempio è Orlando. Nei primi anni Novanta esplose il fenomeno di un giovane di lignaggio politico, sindaco democristiano di una grande città, Palermo, postosi in contrapposizione al suo partito, la DC appunto. “Io non cambio partito disse ai tempi del dissidio con Lima e Andreotti. Io cambio “il” partito”. Sembrò una fase di rinnovamento in extremis, e di lì a poco la Dc fu sepolta da mani pulite. Leoluca è Leoluca. La politica la fa lui, i partiti sono strumenti per raccogliere consenso nelle urne. Una storia solitaria con molteplici giravolte tra le folle. Come disse in una cena tra compagni di squola nel 2005, quando era deputato all’ARS e non aveva subìto la contaminazione dipietrista, “ io mi candido a tutto”.

Già deputato Europeo, tra il 1994 e il 1999, Leoluca ha in mente un piano Mediterraneo. Fare di Palermo e della Sicilia, ma lui è più noto a Palermo, il centro del Mediterraneo. E come fare? Da Sindaco di Palermo, trono che gli va sempre più stretto ma sempre più necessario, deve approdare ad una platea più ampia. Quale occasione migliore delle Elezioni Europee per ritornare a Bruxelles e imporre il suo piano di salvaguardia del Mare Nostrum? Quale migliore argomentazione se non quella dei migranti per ergersi a leader della Sinistra Pasionaria, in accordo presente ma in contrapposizione futura con l’alter Sindacus De Magistris. Perché non portare avanti una politica delle Due Sicilie in Europa?  E quale migliore Collegio se non il V° Sicilia-Sardegna per opporsi direttamente allo strapotere salviniano in Sardegna dove raccoglierà forse più dei 90 mila voti del 4 marzo?

Ecco che l’occasione ghiotta si presenta: il rifiuto di adempiere alla Legge sulla Sicurezza lo pone in contrapposizione ai populisti, ne fa un Leader che la sinistra cercava, lo pone al centro del Mediterraneo e lo consacra Leader degli oppressi. Senza considerare che sta per scatenare lo scontro tra istituzioni governative e Magistratura circa la costituzionalità della Legge ispirata da Salvini.

Ma ritorniamo all’incipit. Nel Mediterraneo sta per essere costruito EastMed oleodotto che porterà gas & oil dai giacimenti dell’est mediterraneo, Leviathan, Aphrodite e Zohr. Una mega pipeline che attraverserà il Mediterraneo, lambendo le coste cipriote, turche, greche e poi sfocerà a Otranto. Gli interessi sono formidabili, i giacimenti maxi, in mezzo c’è Malta, sede di traffici finanziari e di contrabbando, la Libia, sempre più tormentata che trova giusto nella città di Palermo la sede istituzionale dei suoi arbitrati.

Insomma un panorama intricato geopoliticamente in cui il  Nostro troverebbe il modo di dipanare queste matasse, esercitando un felice ruolo antagonista delle illegalità soggiacenti e di enorme potere politico che lo riporterebbe alla ribalta da cui è stato lontano per dedicarsi solo alla sua città. Insomma Orlando Furioso alla crociata mediterranea antipopulista! E allora ben venga in questo vuoto politico della sinistra.

 

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