Immigrazione

Tito Boeri dice che gli immigrati pagano i contributi e scatena la bufera

22 Luglio 2017

Tito Boeri c’è ricascato: ancora una provocazione. Io l’ho difeso più volte da queste colonne, ma ora non posso più. La misura è colma. Se uno cerca la rissa, la trova. Ma come ti è venuto in mente, Tito, di dire che gli immigrati hanno pagato 17 miliardi di contributi previdenziali, pari a un punto di PIL? Non immaginavi quanto avrebbe potuto essere dirompente questo messaggio? Allora vuoi la guerra, cerchi la polemica per la polemica. Il solito professorone bocconiano.
Tito Boeri, un tecnico, ha detto che gli immigrati ci pagano i contributi. Ma come si permette di intervenire con termini così banali in un dibattito politico così profondo e documentato come quello che infiamma l’Europa tutta? Il Ministro degli esteri austriaco ha detto che se i migranti non ci stanno in Italia, li possiamo tenere tutti a Lampedusa. Avrebbe anche aggiunto che lì possiamo dar loro le brioche, ma non era forte in storia e la citazione non gli è venuta. Pazienza, è giovane. E il nostro ministro degli esteri ha risposto: è naturale, parla così perché ha le elezioni. E per questioni così centrali come la fiducia a un governo noi abbiamo messo in soffitta una quisquiglia come una legge sulla cittadinanza di chi è nato in Italia. Perché quando un politico è sotto elezioni, non devi starlo a sentire: in altri termini, “ha le sue cose”.

Gli immigrati ci pagano un punto di PIL di contributi. Ma con questi discorsi questo Tito Boeri ha bellamente ignorato il dilemma centrale su cui in Italia e in Europa si discetta ad altissimi livelli da anni. Rifugiati, migranti economici o migranti business? Eppure il paradigma scientifico è emerso chiaramente in tutto il dibattito, su tutti i talk show, su tutte le reti, ed è fuori discussione. L’emigrato che scappa dalla guerra è l’unico buono, e degno della nostra compassione e carità. Invece il migrante economico è uno scroccone, che viene per portarci via l’assistenza e poi il lavoro. Se questo è vero, perché lo dicono tutti, non solo Salvini, come può il Professor Boeri venirci a dire che pagano 17 miliardi di contributi? Ma questi sono migranti economici, giusto?

Sembra che questo eretico professore voglia insinuare che esiste immigrazione economica buona. “Ma vive su Marte”? ha chiosato Salvini, il caposcuola della teoria economica nota come “prima gli italiani”. “Prima gli italiani” è una filosofia, una dottrina. Alla base c’è proprio l’assioma che dice che l’immigrato economico ti ruba il lavoro. Avete presente quando voi andate a fare un’intervista di lavoro o un concorso pubblico? Bene, è proprio questo. Se voi avete vinto il posto, avete rubato il lavoro a un italiano. Ora, secondo la summa Salviniana questo diventa un problema se quello che vince è un immigrato economico. Perché? Probabilmente perché Salvini e i discepoli della sua scuola credono in concetti alti come “popolo” o “nazione”. Voi direte che se crede anche nella famiglia dirà che vostro figlio ruba il lavoro al suo. Ma questa è logica, è un’altra dottrina, e poi quel posto non lo vincerete mai.
Tito Boeri ha anche saltato a piè pari la domanda che ha infiammato il dibattito nei circoli più avanzati della cultura e della politica. Li aiutiamo a casa mia, a casa tua, o a casa loro? Ma aiutiamoli a casa loro! Come se fosse la scelta su dove andare a cena. “Aiutiamoli a casa loro” presuppone in principio che l’altro voglia sempre e comunque essere aiutato, un po’ come “un napoletano può solo emigrare” di Massimo Troisi. E invece non è sempre così. Magare vuole solo lavorare, e magari vuole solo avere le tue stesse opportunità. Magare vuole competere. Magari vuole anche pagarti i contributi, come ci dice Boeri. E’ anche vero che ci sono state epoche storiche in cui l’equilibrio del potere militare tra indigeni e immigrati ha consentito ai barbari di prendersi molto più del lavoro. Nessuno avrebbe osato dire: gli Unni e i Vandali aiutiamoli a casa loro.

E invece le due parole e i due numeri di Boeri ci hanno detto che Traci, Unni e Vandali sono già tra di noi, lavorano, pagano i contributi e le tasse. E aprono imprese: ricordo che secondo un dato che risale ormai a qualche anno fa, un terzo delle nuove imprese vengono aperte da stranieri. E ricordo anche un vecchio compagno di scuola che ora studia la questione migrazione chi mi mandò una documentazione su un caso di studio interessante a proposito dell’impatto di “moltiplicatore” del PIL dell’immigrazione in un esperimento fatto nel 2011 in Maremma, nello stesso paese dove mi accingo a passare l’estate.
E allora la dichiarazione di Boeri mi porta ad aprire un vecchio libro di Michael Todaro, famoso per il modello di migrazione Todaro-Harris, su cui ho studiato sviluppo economico a NYU tanto tempo fa, in cui l’immigrazione economica non è rapina o invasione, ma esportazione di un fattore di produzione, il lavoro. E il modello di Todaro-Harris, che riguardava però solo la migrazione dalla campagna alla città, analizzava le motivazioni razionali della migrazione. Sebbene questo modello non era ritenuto estendibile alla migrazione internazionale, da mesi mi chiedo se la decisione di attraversare il mare, aumentando a vent’anni la probabilità di morte a quella di un ottantenne, possa essere giustificato in un modello di comportamento razionale come quello di Todaro-Harris. Certamente non lo potrebbe essere se l’aspettativa fosse quella di farsi aiutare a casa nostra, o godere per qualche tempo dei “fringe benefit” denunciati da Salvini. Se fosse solo per l’aiuto resterebbero a casa loro. No, in una scelta razionale la posta in gioco è la possibilità di una vita, un’impresa, un lavoro, e la possibilità di competere con noi, che invece invochiamo a gran voce, dalla destra alla sinistra, di essere “protetti” da loro. E forse si vogliono anche levare lo sfizio di “aiutarci a casa nostra”, pagandoci i contributi. Grazie, Tito Boeri, di avercelo ricordato.

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