Immigrazione

Storie di migranti, da Marcinelle a Lampedusa. Quando gli “invasori” eravamo noi

24 Novembre 2016

Fu un errore umano a provocare l’incendio che l’8 agosto del 1956 uccise 262 dei 274 minatori che lavoravano nella miniera di Marcinelle, in Belgio. Le vittime, che si trovavano nelle anguste gallerie dell’impianto, soffocarono a causa del fumo che si propagò attraverso il condotto principale dell’areazione, una fonte di vita che in pochi minuti si trasformò in un terribile strumento di morte. Oltre la metà di quegli operai, sterminati come formiche nella loro tana, era di nazionalità italiana.

Sono passati sessant’anni da quella tragedia. Sulla carta siamo tutti cittadini europei e il ricordo di quell’Italia che fuggiva dalla povertà e dalla distruzione della guerra cercando un futuro migliore in paesi lontani è sempre più sbiadito se non celato, come una sorta di vergogna da destinare all’oblio. La verità è che in quella miniera (così come in tante altre sparse nel vecchio continente) c’erano così tanti italiani perché i lavori più duri, pericolosi, debilitanti e mal pagati erano destinati a chi da sempre è stato percepito come ospite indesiderato, se non addirittura come invasore. Ma ieri come oggi quell’individuo è semplicemente un migrante, sostantivo che non definisce il colore della sua pelle o la latitudine del suo paese d’origine, ma il suo spostarsi in una terra dove poter costruire un futuro per sé e per la sua famiglia.

Per ricordare storie come quella della miniera di carbone “Bois du Cazier”, attraversando un pezzo di secolo breve e arrivando ai giorni nostri, sconvolti dalle tragedie che periodicamente si consumano al largo delle nostre coste, il Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero, presieduto dal senatore Claudio Micheloni, ha organizzato la manifestazione “Migrazioni, da Marcinelle a Lampedusa”. Undici gli eventi che si svolgeranno fino al 2 dicembre presso la biblioteca Giovanni Spadolini del Senato, accompagnati da mostre fotografiche, presentazioni di romanzi e docufilm. Un viaggio nelle migrazioni di ieri e di oggi, mettendo in relazione le storie degli italiani che nel ‘900 partirono verso paesi più ricchi in cerca di un futuro migliore, con quelle dei nuovi migranti che oggi fuggono dalle guerre e dalla fame cercando un nuovo inizio in Italia e in Europa. Si andrà dai documentari storici come quello proiettato ieri sulla tragedia della miniera belga, alla proiezione di “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi.

«I problemi che nascono dalle migrazioni non si affrontano né con il buonismo né con il populismo dei muri e dei fili spinati. Serve un lavoro difficile di conoscenza e di cambiamento di prospettiva, perché quando noi siamo emigrati siamo cambiati, ma abbiamo cambiato anche i paesi che ci hanno ospitato. Che piaccia o no, questo accadrà anche in Italia e in Europa con i nuovi migranti. Il cambiamento sarà inevitabile, ma bisognerà lavorare perché a beneficiarne possano essere tutti». Queste le parole di Claudio Micheloni, che ha così spiegato il senso dell’iniziativa, riassumendone il significato in una frase: “conoscere per conoscersi”.

La speranza è che in questa Italia di oggi, così incattivita da populismi e mediocrità e dove gli stessi italiani rifiutano spesso ogni forma di dialogo azzuffandosi come galline per un Sì o un No a un referendum, raccontare le storie di quei migranti italiani che soffocarono centinaia di metri sotto terra a Marcinelle e di quelli siriani che oggi soffocano nelle stive dei barconi o affogano a largo di Lampedusa, possa aiutare a far capire che il concetto di accoglienza è assai più naturale di quello di confine. La strada, tuttavia, sembra essere ancora lunga…

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