Immigrazione
Quel giorno che ti chiamarono scimmia
Scrivo a voi che in queste ore siete lì a discutere sulla dinamica della rissa che ha provocato la morte Emmanuel Chidi Namdi, arrivato in ospedale con il cranio spaccato e in condizioni disperate per i colpi sferrati da Amedeo Mancini, “uno che se vede un negro gli tira le noccioline, ma lo fa per scherzare”, a detta di suo fratello. Vi scrivo mentre siete lì, davanti al vostro laptop o al vostro smartphone a improvvisarvi investigatori della scientifica, come i personaggi di quei telefilm che vi piacciono tanto, anche se in fondo sapete che sono tutte storie inventate che servono solo a farvi staccare il cervello per qualche ora. Ecco, ora provate ad attaccarlo, il cervello, per seguire questa breve storia.
So che è difficile, ma cercate di immedesimarvi in Emmanuel o nella sua compagna Chinyery (consiglio di confermare il vostro sesso nella scelta). E se vi fa schifo l’idea di ritrovarvi la pelle di un negro, lasciatevi pure il vostro colore, vorrà dire che invertiremo le razze. Non ci crederete ma è più semplice di quanto pensiate. Siete arrivati poco meno di un anno fa in un paese straniero, lontano anni luce dal mondo che vi siete lasciati alle spalle. Quel mondo così violento che vi ha strappato una figlia e i vostri parenti più stretti, ammazzati come bestie da macello da bande di assassini. Il loro ricordo vi perseguita, soprattutto quello di vostra figlia, come è normale che sia in ogni angolo del pianeta Terra. Per raggiungere questo paese così lontano avete affrontato un viaggio lunghissimo, aggrappati l’uno all’altra. Per fuggire da quell’orrore avete attraversato il mare su uno dei famigerati barconi di disperati, subendo umiliazioni e violenze dai trafficanti di esseri umani che si arricchiscono con la disperazione. In quel viaggio avete perso un altro figlio, abortito in mezzo al mare, su quella gabbia galleggiante dove eravate stretti come sardine insieme a quelli come voi.
Il posto dove avete vissuto in questi dieci mesi è molto più tranquillo, siete stati accolti da una comunità di brave persone, state imparando una lingua nuova, un prete vi ha fatto celebrare persino una promessa di matrimonio, una cerimonia simbolica perché ci sarebbero voluti anni per avere i documenti necessari a sposarvi sul serio. Ma ciò che è davvero importante è che siete rimasti voi, quelli che hanno perso tutto e hanno attraversato il mare per ricominciare. E siete ancora voi, uniti da qualcosa di più forte di tutto e di eterno. Siete l’uno e l’altra, siete inseparabili.
Tra le parole che avete imparato della nuova lingua c’è “scimmia”, l’animale da cui nasce l’essere umano, qualunque sia il colore della sua pelle. Alcuni, in questo paese così ricco che vi ospita, la utilizzano per insultare quelli come voi perché vi considerano “invasori”, ma sotto sotto è una scusa come un’altra per disprezzarvi. Purtroppo è sempre stato così. Quando le fasce più deboli e meno evolute dei popoli vedono il venir meno di uno stato di benessere, si sfogano contro chi è ancora più debole, soprattutto se ha la pelle di colore diverso. E voi siete debolissimi, siete quelli che per fuggire dall’orrore avete viaggiato e attraversato il mare stretti in un abbraccio disperato. Ma siete ancora voi. Siete l’uno e l’altra, siete inseparabili.
Fino a quel giorno, quando su quel marciapiede qualcuno ha gridato “scimmia africana”. Quello che è accaduto dopo è un ricordo confuso. E c’è di nuovo violenza, c’è di nuovo sangue. Ma questa volta è successo ciò che sembrava impossibile: non siete più l’uno e l’altra, vi hanno separato per sempre, non ci siete più. Come in un flashback vi devono essere passati davanti i vostri parenti, vostra figlia, il mare, quel figlio ridotto a mestruo su un barcone, la promessa di matrimonio.
Questo è tutto, il racconto finisce qui. Ora lasciate perdere la dinamica di quegli ultimi momenti, a quella penseranno gli investigatori, quelli veri. Pensate solo a quanto poteva valere ciò che è stato spezzato per sempre e a quanto valga poco chi lo ha spezzato, per il solo fatto di aver dato della scimmia a un suo simile, magari semplicemente per gioco. La verità è che gli uomini non sono tutti uguali e non sono tutti sullo stesso livello. E sì, c’è qualcuno che forse è più scimmia di altri. Ma questo non dipende dal colore della sua pelle.
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