Immigrazione

Altro che “difesa dall’invasione”: ci serve, piuttosto, una democrazia matura

11 Novembre 2016

Nel mondo, ogni minuto, ventiquattro persone sono costrette a lasciare la propria casa per scappare da situazioni di bisogno assoluto o per evitare il pericolo di morte o di privazione della libertà. C’è, credo, un po’ di Mosè in ogni individuo che cerca di fuggire per vivere meglio altrove nell’interesse delle generazioni future.

Con questo spirito – antitetico ai populismi che per raccogliere consenso giocano con la paura e spargono menzogne a piene mani – va letto il Dossier Statistico immigrazione 2016. Anche questa nuova edizione è stata curata dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e, per il secondo anno, in collaborazione con la rivista interreligiosa Confronti e con il sostegno dei fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese.

Lo scopo è semplice: leggere il fenomeno migratorio in Italia e in Europa alla luce di dati statistici inconfutabili. Ovvero interpretare l’andamento dei flussi, la consistenza e la distribuzione di residenti e soggiornanti, la prevalenza dei motivi familiari su quelli lavorativi, il boom delle acquisizioni di cittadinanza, le caratteristiche dell’inserimento lavorativo e sociale nella lunga fase di crisi, la persistenza delle discriminazioni, le difficoltà frapposte alla convivenza interreligiosa, l’analisi dei costi e dei benefici.

Cominciamo col dire che gli stranieri residenti in Italia nel 2015 sono 5 milioni e 26mila contro i 5 milioni e 200mila italiani che, in base ai dati delle anagrafi consolari, risiedono fuori dalla madrepatria. Nel 2014, gli italiani all’estero e gli stranieri in Italia si equivalevano. Il Dossier però tiene anche conto delle presenze effettive, cioè di chi pur avendo un permesso di soggiorno non ha preso la residenza: con questo criterio, gli immigrati regolari nel nostro Paese sfiorano i 5 milioni e mezzo, ai quali vanno aggiunti 1.150.000 che hanno già acquisito la cittadinanza italiana. Insomma cinque milioni e mezzo di “nuovi italiani”.

Nessuna “invasione” dunque. E tanto meno “invasione islamica”. La popolazione immigrata è per più di metà di provenienza culturale cristiana, la cui maggioranza è rappresentata dagli ortodossi (1.5 milioni, 30,6% del totale), accanto a cristiani cattolici romani (circa 900 mila, 18,1%), a protestanti ed evangelici (circa 250 mila 5,1%), e poi induisti (149 mila, 3%) e buddhisti (111 mila, 2,2%), atei o agnostici (227 mila 4,5%). I musulmani sono stimati essere 1,6 milioni, quindi il 32%.

Non solo: l’apporto dei “nuovi italiani” è «funzionale dal punto di vista demografico». Da anni infatti la popolazione in Italia è in diminuzione. «Questa tendenza peggiorerà, trovando tuttavia un parziale temperamento nei flussi degli immigrati; l’Istat ha ipotizzato, a partire dal 2011, una media di ingressi netti dall’estero superiore alle 300mila unità annue (livello finora non raggiunto), per discendere sotto le 250mila unità dopo il 2020, fino a un livello di 175mila unità nel 2065».

Il Dossier ci parla poi di pensioni, salari, flussi di denaro e molto altro ancora. E ha ragione Claudio Paravati, direttore di Confronti, quando ci dice che interpretare la stratificata realtà migratoria attraverso i dati è la miglior via per capire. Specifica Paravati: «Non siamo di fronte né a “ondate” né tantomeno a “invasioni”: al contrario i numeri di profughi e richiedenti asilo ci confermano che con politiche ben costruite è possibile rispondere a dovere al bisogno di accoglienza. Le azioni sono però da cambiare, anche a livello europeo: non servono “hotspot” isolati, veri e propri “non-luoghi” di violenza bio-politica. Semmai funziona l’accoglienza diffusa dello Sprar, un modello d’eccellenza “made in Italy”, che è, però, da implementare. Come anche l’unico esperimento in Europa, quello condotto dall’Italia con i “corridoi umanitari”, azione ecumenica tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Sant’Egidio, e la Tavola valdese».

Morale: basta raccontare balle e fomentare paure. L’Italia è “anche” quella delle religioni che oggi vivono nel Paese con rinnovata vitalità. Una pluralità solo in parte nuova, ma che ha bisogno, questo sì, di un rinnovato riconoscimento giuridico, di accoglienza e di piena cittadinanza (diritti e doveri). Insomma, di democrazia matura.

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