Immigrazione

Passato il dolore per il piccolo Aylan, ‘torniamo cattivi’ contro i profughi

18 Settembre 2015

Il dolore è passato, lo shock è rientrato, l’orrore si è raffreddato. E tutto sta tornando nella normalità, se tale si può definire l’attuale situazione. La foto del piccolo Aylan, riverso privo di vita sulla spiaggia di Bodrum, ha probabilmente trovato un tragico posto nella storia. È un’immagine che ha lasciato tracce per tutto ciò che ha causato anche in termini di confronto sulla sua diffusione. Ma, a distanza di qualche giorno, si conferma un precedente timore: non ha cambiato l’orientamento dei governi, né ha svolto una duratura sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Anzi, alcuni sembrano sempre più indifferenti alle sorti di migliaia di profughi, a partire dall’Ungheria di Viktor Orbán che – come era del resto noto – sta mostrando il suo volto di estremista di destra. Del resto parliamo di un leader che aveva criticato la democrazia liberale come sistema politico. Una presa di posizione che non lasciava presagire a una leadership illuminata. Così in questo scenario di tensione crescente, dal confine tra Ungheria e Serbia arrivano istantanee altrettanto terribili, come quella dei genitori che portano in braccio il figlio, cercando di sfuggire dalle cariche della polizia (ne pubblico una, molto forte, del fotografo Sergey Ponomarev). Uomini che scappano dagli orrori dei loro Paesi di origine e che, nel cuore della civile Europa, devono subire altri violenze. Come se i loro occhi non fossero già pieno delle brutture dell’umanità.

Fa ancora più male che da Budapest ci sia un comportamento di chiusura. Eppure, come ha ricordato l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta in un’intervista ad ‘Avvenire’, nel 1956 l’Europa spalancò le porte ai profughi ungheresi.

Fa impressione notare che il più cattivo tra i leader europei sia proprio il premier ungherese Orban, il quale evidentemente non ricorda che nel 1956, all’alba della Ue, il primo grande slancio di solidarietà europeo fu proprio verso i 200 mila profughi ungheresi che dovettero chiedere ospitalità ad altri Paesi a causa della repressione sovietica

Basta sfogliare qualsiasi gallery sui siti per trovare attimi catturati dai fotografi che raccontano storie di disperazione e di voglia di costruirsi una vita normale. L’orrore, insomma, continua esattamente come le guerre che costringono alla fuga decine di migliaia di persone. Tanto per fare il ‘solito’ esempio, sulla Siria c’è stato un moto iniziale per forzare la via diplomatica. Poi niente: di nuovo stallo. L’unico risultato reale è una riabilitazione ufficiosa del leader del regime di Damasco, Bashar Assad. Grazie all’appoggio della Russia, infatti, l’esercito lealista sembra aver ripreso fiato, bombardando le postazioni dell’Isis. Ma la soluzione non è certo rimettere in sella il dittatore, che resta il grande problema della guerra civile siriana.

E così si tratteggia un quadro chiaro, quanto amaro: passato l’effetto di Aylan, torniamo ad ascoltare con un po’ di indifferenza le notizie che arrivano sui morti in mare. “Un barcone rovesciato, tanti morti di cui x bambini”, “Tragedia al largo delle coste, a bordo donne e bambini”, ascoltiamo quotidianamente al telegiornale o leggiamo sui giornali, sia cartacei che digitali. Così come guardiamo en passant i profughi ammassati al confine dell’Ungheria, mentre vengono caricati con manganelli e gas lacrimogeni. Ma da qualche giorno non si verifica nessun particolare moto di sensibilità, al massimo dedichiamo un sospiro: un segno che dopo aver superato lo shock della foto sulla spiaggia di Bodrum ci si accinge a entrare nella dimensione dell’assuefazione. Che confina con la rassegnazione.

 

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