Immigrazione

A Milano c’è chi semina paura e chi semina umanità

3 Maggio 2017

Alì, 31 anni, è preoccupato, il basilico ha foglie nere e smangiate. Dove ha sempre vissuto lui il basilico non c’è, e non sa che cosa deve fare. È arrivato a Milano quasi un anno fa dal Senegal, dove era contadino. Ha lasciato al suo villaggio moglie e figlio e ora vive nel centro di accoglienza straordinaria in via Corelli dove aspetta di avere una risposta alla sua richiesta di asilo. Nel frattempo va a scuola di italiano, lui che a scuola non è mai andato, e piano piano sta imparando a leggere, a scrivere e a parlare la nostra lingua. In aula è timido, la maestra gli mette soggezione. Davanti alla lavagna, tiene una mano dietro la schiena e con l’altra scrive lettere incerte e lente. Ma quando si occupa dell’orto diventa un altro uomo: è lui che sa che cosa si deve fare, è lui che insegna alla maestra. E muovendosi tra le aiuole coltivate, Alì ritrova se stesso e la sua dignità.

Sekou, invece, ha 24 anni ed è maliano. Ha lasciato la scuola e una guerra che nessuno ha formalmente dichiarato, ma che fa vittime ogni giorno. Viva a Milano da sei mesi, anche lui nel centro di via Corelli, e aspetta. È un ragazzo in gamba ed è stato scelto come responsabile del progetto OrtoGiardino, il primo orto urbano creato in un centro di accoglienza per migranti milanese. È molto felice: “Noi veniamo qui pieni di speranze. Piantare un orto, prendersene cura è come guardare le nostre speranze farsi promesse, è come avere dei figli: li vedi crescere e la vita prende senso”. E così, tra piantine di pomodoro e menta, tra insalata riccia e gentile, tra cipolline e arachidi, i ragazzi si danno un gran daffare.

Il progetto nasce da un’idea di alcuni volontari che insegnano italiano nella Scuola Aperta del centro ed è promosso dalle associazioni NoWalls e Acuarinto. L’idea iniziale era di coinvolgere cinque o sei ragazzi, ma in un mese i candidati sono diventati una ventina e le aiuole da piantare si sono moltiplicate. “Magari così impariamo a fare i giardinieri e possiamo trovare lavoro”, spiega Sekou. Il loro entusiasmo ha contagiato anche Orticola, istituzione che promuove la conoscenza delle piante e dell’arte dei giardini e che ogni anno organizza nel parco di via Palestro a Milano una mostra che ospita la più importante vetrina per il vivaismo di ricerca italiano, dove si ammirano veri capolavori dell’arte botanica. Famosa per essere l’esposizione più chic di Milano, quest’anno Orticola ha invitato il 5 maggio i ragazzi dell’orto di via Corelli, che passeggeranno tra iris e orchidee, tra dalie e peonie, accanto alle gran “sciure” della zona 1 della città, abbellite, come in una sfilata, da cappelli e gioielli che sono sculture di fiori.
Sarà un interessante incontro di culture, botaniche ma non solo. “Nell’orto di Corelli, insieme ai semi piantiamo umanità”, mi dice Giancarlo Scialanga, uno degli ideatori del progetto. Quest’incontro di umanità tra i contadini africani, gli artisti del giardino e il bel mondo milanese suona come uno dei primi preziosi raccolti. Certamente più efficace, in termine di integrazione, dello spettacolare blitz messo in scena ieri a suon di elicotteri e camionette della polizia davanti alla Stazione Centrale di Milano. Dove si è raccolto poco e niente (un totale di 10 grammi di marijuana in mano a tre persone su 52 stranieri accompagnati in questura) e, con grande frastuono, si è seminato tanta ulteriore e inutile paura. Ma, come disse il saggio, fa più rumore un albero che cade di una foresta (o un orto) che cresce.

 

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