Immigrazione
Noi e loro?
Quando la Bibbia chiede al popolo di Israele di essere accogliente nei confronti dello straniero, aggiunge una motivazione assai interessante: “Quando uno straniero si stabilirà nella vostra terra non opprimetelo, al contrario, trattandolo come se fosse uno dei vostri connazionali, dovete amarlo come voi stessi. Ricordatevi che anche voi siete stati stranieri in Egitto” (Lv 19,33-34).
Ai nostri orecchi suona scontato l’invito: amate lo straniero. Però dobbiamo porre attenzione ala motivazione: anche voi siete stati stranieri.
E’ un tentativo riuscito di decostruire quel muro che l’istinto ci porta ad erigere nei confronti di ogni diverso: noi e loro.
La bibbia dice: un po’ di loro è anche dentro di voi per la vostra storia.
Circola molto oggi in Italia la logica “noi e loro”. Diventa subito “prima noi” e finisce per diventare “noi contro loro”. Perché la competizione è destinata a promuovere il conflitto.
Ho ripensato a tutto questo leggendo il bellissimo libro di Marco Balzano, L’ultimo arrivato, Sellerio, vincitore della 53esima edizione del premio Campiello per la letteratura.
E’ la storia di un piccolo bimbo siciliano che viene spedito dal padre a Milano per lavorare, alla fine degli anni 50. Ne racconta, in prima persona, tutte le vicende fino alla piena maturità.
Una storia simile a quella di molti altri bambini perché il fenomeno dell’immigrazione infantile in quegli anni in Italia era consistente.
Il libro ha toni lievi, talori comici e spesso drammatici.
La cosa che mi ha più colpito è la lunga esplorazione che compie del dolore di Ninetto Giacalone detto “pelleossa”.
Perchè il dolore è una presenza fissa in tutte le svolte dell’esistenza del protagonista.
Un dolore che lui stesso fatica ad ascoltare, che lo rende per lungo tempo muto e privo di sentimenti. Spesso deve ammettere di non sapere da dove venga la sua infelicità.
L’intuizione giusta potrebbe essere quella che arriva un giorno, quando conosce la suocera che gli chiede di chiamarla “mamma”.
“A me questa cosa riuscì una violenza bella e buona perché più la chiamavo mamma più mi cadeva addosso una sensazione di orfanità” (p. 136).
Emigrare è perdere molte cose. A me piace molto questa definizione: sensazione di orfanità.
E’ il nome del dolore di Nino Giacalone.
Un giorno, da grande e dopo molte disavventure, diventerà amico del gestore cinese del bar sotto casa (siamo arrivati ormai ai nostri giorni nel racconto) e accetta di accompagnarlo a fare la spesa: “Secondo Ninetto è buono questo? E indica un cartone di caramelle o un pacco di pasta o una marca di pane confezionato. Io rispondo per quello che ne capisco e penso che forse questo ragazzo si sente orfano e non trova di meglio che il sottoscritto per raccattare un po’ di affetto paterno” (p. 141).
Anche voi siete stati stranieri in Egitto. La storia del mio dolore è simile a quella del dolore degli altri che ora mi trovo di fronte.
La storia di noi italiani è una lunga storia di emigrazione. Siamo il secondo paese al mondo (proprio dopo la Cina) per emigrati. Vasta è stata anche l’immigrazione dal meridione alle grandi città del nord.
Dobbiamo essere grati a Marco Balzano per il suo romanzo, sapendo bene che non ha mai toni consolatori e rassicuranti.
Appartiene ad un genere letterario, “il mondo dei vinti”, che ha illustri precedenti: I Malavoglia del Verga, Fontamara di Silone.
Io credo che riesca in maniera profonda ad avvicinarci ad una verità tanto importante per i giorni che stiamo vivendo.
Per inoculare un vaccino che rende immuni dal veleno del risentimento, della rabbia, dell’infelicità.
Tutti sentimenti che consumano la vita e ci allontanano dall’intimità e dall’affetto degli altri.
Ascoltare il proprio dolore e comprendere che il dolore degli altri è del tutto simile.
Passa inevitabilmente da qui la via di una possibile umanizzazione per tutti in tempi di confronto con l’immigrazione.
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