Immigrazione
Il muro di Dublino
“Ho capito che in Europa hanno paura di noi” dice Mamadou, uno dei naufraghi tratti in salvo dalla Sea Watch.
Il giovane migrante ha ragione: la paranoia xenofoba si è diffusa nel Vecchio Continente e per tutto l’Occidente. Rischiamo l’invasione, si ripete da una parte all’altra dell’Atlantico; fermiamoli, non possiamo accoglierli tutti (argomento surreale, che suona un po’ come un chiudiamo i Pronto Soccorso, non possiamo curarli tutti…). Così, mentre il presidente Trump si batte per costruire il suo muro al confine con il Messico, l’Europa continentale si è trincerata dietro un’altra barriera, non fisica ma legale: si potrebbe chiamarla il muro di Dublino.
Ormai da anni per chi proviene dall’Africa è praticamente impossibile immigrare nell’UE in modo regolare: i corridoi umanitari dalle aree di crisi sono quasi inesistenti, mentre i flussi di ingresso per i cosiddetti migranti economici sono ridotti ai minimi termini. L’unica via è affidarsi ai trafficanti per attraversare il Mediterraneo e, una volta sbarcati, fare richiesta di asilo, sperando – se lo si ha – che il proprio diritto alla protezione internazionale venga riconosciuto o – se non lo si ha – di riuscire comunque a integrarsi. Ma nel territorio dell’Unione vige il regolamento di Dublino, secondo il quale la richiesta di asilo va fatta nel Paese di primo accesso: è in base a questo criterio che gli Stati di confine (cioè Italia, Spagna, Grecia e Malta) sono tenuti a identificare i migranti appena arrivati così che, se provano a spostarsi e a fare domanda d’asilo in un Paese diverso, verranno rimandati indietro. Un muro invisibile separa insomma gli Stati europei più esposti agli sbarchi dal resto del continente, lasciando quasi solo ai primi il compito di gestire l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa.
La situazione è tanto insensata quanto insostenibile: concentrare tutti gli arrivi in pochi Paesi significa trasformare un fenomeno del tutto gestibile in un serio problema. Il Parlamento europeo si è occupato della questione e ha approvato una saggia riforma del regolamento di Dublino, che prevede la ricollocazione automatica dei richiedenti asilo in tutto il territorio dell’Unione: ma il Consiglio europeo l’ha respinta, perché è prevalsa la volontà egoista degli Stati meno esposti di non collaborare.
Paradossalmente, la riforma non è stata sostenuta neppure dall’Italia: il nuovo governo ha scelto infatti di allinearsi ai Paesi dell’Europa centrale nel sostenere il diritto di ogni nazione a chiudere le sue frontiere all’immigrazione. La logica sovranista ed essenzialmente xenofoba dei nostri partiti di maggioranza si oppone alla riforma sia nel merito che nel metodo: essa rifiuta infatti sia l’idea che l’Italia sia tenuta ad accogliere un certo numero – anche minimo – di richiedenti asilo, sia la scelta di sottostare a un meccanismo di redistribuzione concordato a livello sovranazionale. L’obiettivo è invece sostituire il muro di Dublino con un nuovo “muro”, che protegga l’Italia dagli arrivi indesiderati: si tratta, in concreto, di impedire ai migranti di sbarcare sul nostro suolo e, se ci riescono, di negargli la protezione internazionale e ogni forma di possibile integrazione. Vanno in questa direzione sia gli accordi con la cosiddetta guardia costiera libica perché operi il respingimento in mare dei barconi (un’iniziativa presa, in realtà, già dal governo precedente), sia la chiusura dei porti (cioè la mancata autorizzazione all’approdo delle navi delle ong) e alcune misure del Decreto Sicurezza (come la riduzione della protezione umanitaria e lo smantellamento del sistema Sprar di accoglienza per i richiedenti asilo).
Su questo progetto il governo gialloverde sta cercando – e trovando – consenso in tutta Europa e c’è da scommettere che la campagna elettorale per le prossime Europee sarà centrata proprio sul tema della costruzione del muro: non una barriera di cemento o di acciaio, come quella che ossessiona Trump, ma – per così dire – una “fortificazione legislativa” che autorizzi il presidio e la difesa delle frontiere esterne dell’Unione dalla presunta minaccia di un’invasione di migranti. La sicurezza dei cittadini europei verrà invocata per giustificare la cancellazione de facto del diritto di asilo: è questo l’unico obiettivo politico sul quale possono convergere i vari partiti nazionalisti europei e sul quale può saldarsi un fronte sovranista che, su qualsiasi altro tema, è destinato a schiantarsi in un tutti-contro-tutti permanente (dato che la ragion d’essere dei sovranisti è la difesa dei propri interessi nazionali contro quelli degli altri Paesi). La retorica del muro permetterà alle destre europee di eliminare dal dibattito pubblico ogni altro argomento problematico, come la persistente stagnazione economica, i problemi della sicurezza internazionale o i rischi connessi al cambiamento climatico: del resto, lo straniero è sempre il miglior capro espiatorio da additare alle masse spaventate e rabbiose, come sono oggi i popoli occidentali che affrontano una fase di declino demografico, economico e culturale.
Chiudersi in un recinto è probabilmente illusorio; sicuramente è molto dispendioso ed è un sintomo di decadimento, di paura, di depressione. La società europea, da sempre faro dei diritti, è davvero disposta a rinunciare ai fondamenti della sua cultura giuridica, a negare ai tanti Mamadou il diritto di asilo, o addirittura il diritto universale alla vita e alla dignità? Davvero teme, accogliendo lo straniero, di perdere sé stessa? Voglio sperare che non sia ancora così vecchia e stanca da non ricordare che restare fedeli alla propria civiltà e ai propri valori è, in fondo, l’unico modo per non perdersi.
(fonte del’immagine)
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