Immigrazione
La guardia costiera libica… Ma siamo proprio sicuri?
In una società caratterizzata dall’overload dell’informazione non è più necessario, come un tempo, nascondere le notizie scomode. Basta semplicemente metterle tra parentesi, dimenticarle, evitare di parlarne, tanto chi andrà a scavare per far emergere verità che contraddicono la vulgata dei tiggì e dei salotti televisivi?
Uno degli esempi più lampanti di ciò è rappresentato dall’attuale polemica della coppia Salvini-Toninelli nei confronti delle ONG, accusate di violare le regole internazionali andando a recuperare i migranti in acque libiche e impedendo alla guardia costiera libica di ‘salvarli’ lei, ma anche dalla speculare e stucchevole polemica degli oppositori di Salvini e Toninelli. Qui la manipolazione della realtà da ambo le parti consiste semplicemente nell’omesso uso delle opportune virgolette quando si parla delle istituzioni libiche, così che quando si parla di governo libico, di guardia costiera libica, di hotspot libici a una mente un po’ distratta o forse non troppo disposta a ‘scavare’ potrebbe sembrare che quelle parole possano essere interpretate, come si suol dire, nell’accezione comune del termine. A ciò si oppone il fatto che la Libia è un paese con una cultura e una struttura sociale in larga parte tribale, straziata ormai da anni da una guerra civile che viene combattuta spesso tra bande criminali per cui politica e religione sono una semplice copertura per fare affari, un paese fuori controllo in cui imperversano il doppio e triplogiochismo e in cui spesso i protagonisti sul campo combattono per sé ma anche a beneficio di personaggi che ne osservano le imprese dai propri civilissimi uffici in una qualche metropoli europea, magari sorseggiando un bourbon d’annata.
Sabratha, splendida città fenicia e poi romana a 70 chilometri da Tripoli, a metà strada tra la capitale del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Sarraj e il confine con la Tunisia, è notoriamente uno dei principali punti di partenza dei migranti che lasciano la Libia per attraversare il Mediterraneo. A migliaia vengono tenuti rinchiusi in centri di detenzione, ufficiali o fai da te, in condizioni non troppo dissimili tra loro. Scrive Amnesty International nel Rapporto Annuale 2017-2018 sulla Libia: ‘Queste persone sono state trattenute in drammatiche condizioni di sovraffollamento, senza accesso a cure mediche e a un’adeguata alimentazione ed erano sistematicamente sottoposte a tortura e ad altri maltrattamenti, compresa la violenza sessuale, duri pestaggi ed estorsioni’. Testimonianze di questo tenore sui campi profughi in Libia ne arrivano ormai da ogni dove e da fonti talmente eterogenee che è difficile pensare a una montatura internazionale (in ogni caso bisognerebbe dimostrarlo). D’altra parte, diciamoci la verità, se doveste anche solo essere operati di appendicite, vi fareste ricoverare in un ospedale a Sabratha, Libia? Oppure iscrivereste i vostri figli a un asilo di Sabratha, Libia? No. Figuriamoci i ‘campi profughi’…
Gli accordi tra Minniti e gli (ex?) trafficanti
Sabratha è un luogo strategico per chi voglia bloccare i flussi di migranti verso le coste italiane ed è per questo che l’anno scorso Marco Minniti, il ministro degli Interni del PD che però riscuote il plauso persino dell’arcigno Marco Travaglio, consapevole del fatto che il ‘legittimo’ governo di Fayez al Sarraj conta come il due di picche, ha deciso di trovare una soluzione trattando anche direttamente con chi conta.
Lo scorso 21 settembre una nota della Reuters riferiva che ‘Un potente gruppo armato, coinvolto nel traffico di esseri umani dalla Libia, sta cercando di legittimarsi e di ottenere impieghi di Stato nel settore della sicurezza dal governo di Tripoli in cambio del blocco alle partenze dei barconi dalle coste di Sabratha verso l’Italia. Lo rivela un componente di alto livello dell’organizzazione’. La stessa nota riporta che, secondo fonti locali, tale gruppo, la brigata al Dabbashi, avrebbe incontrato più volte emissari del Governo libico, che le sarebbe stata offerta un’amnistia per i traffici passati e che ‘per mostrare la propria capacità di sostenere un accordo con Tripoli il gruppo, composto da centinaia di uomini, ha imposto con l’aiuto della guardia costiera un giro di vite sulle partenze che il mese scorso ha portato a un crollo dell’80% degli arrivi di migranti in Italia’. La stessa fonte ha dichiarato alla Reuters: ‘Dall’altra parte ci hanno offerto di unirci alla polizia e all’esercito. Se questo piano andasse avanti e il governo (di Tripoli) stesse dicendo la verità… in sei mesi tutto questo battaglione diventerebbe normale polizia’.
Un mese dopo il sito Formiche.net, in un articolo del 9 ottobre, precisava che ‘la famiglia Dabbashi era quella che dal 2015 garantiva la sicurezza dell’impianto ENI di Mellitah, secondo un accordo tra privati stretto dalla società italiana e dal gruppo libico’ e aggiunge che ‘la brigata del Martire Anas al Dabbashi (questo il nome completo) è una delle due milizie (l’altra si chiama Brigata 48) con cui il Ministero dell’Interno di Roma ha chiuso ad agosto l’intesa per il controllo del traffico di migranti, che vede a Sabratha un rubinetto nevralgico per le rotte mediterranee; con i vertici dell’unità armata si sarebbero incontrati uomini dell’intelligence italiana per preparare i dettagli operativi del piano’ e che ‘fonti locali di un’inchiesta dell’Associated Press definiscono gli al Dabbashi “i re dei migranti a Sabratha” (questo genere di intrecci non è una rarità in Libia: per esempio, un report dell’ONU uscito pochi mesi fa dice che l’attuale capo dei miliziani riciclati come guardia costiera libica non è altro che un ex capo clan che un tempo faceva il trafficante). Sempre sui Dabbashi: secondo Daniele Raineri del Foglio, un ex membro della famiglia che controllava Sabratha era anche diventato il capo dello Stato islamico locale con il kunya “Abu Maria” – ossia fu colui che, baghdadista discreto come erano quelli di Sabratha, guidò le operazioni di sequestro dei quattro tecnici italiani, di cui due rimasero uccisi a marzo dello scorso anno durante le fasi di liberazione e spostamento’.
Sempre a ottobre un articolo sul sito alaraby.co.uk riferiva che ‘un accordo tra l’Italia e le due importanti milizie nella città libica di Sabratha per fermare l’emigrazione verso l’Europa ha innescato scontri mortali nella città perché le bande armate rivali cercano di mantenere la loro influenza sul territorio. (…) In estate l’Italia ha iniziato a fornire denaro e supporto logistico alla brigata Anas al Dabbashi e alla brigata 48 grazie a un accordo stretto col governo di unità nazionale sponsorizzato dall’ONU’. Secondo il sito gli scontri avrebbero provocato 93 morti a le fuga di numerose persone dalla città, oltre che la cacciata degli al Dabbashi.
Le milizie rivali del clan al Dabbashi sarebbero legate all’antagonista di Al Sarraj, il generale Haftar, capo del governo della Cirenaica. Secondo l’Espresso190917 ‘La causa scatenante, quattro giorni fa è stato il passaggio di un veicolo con i vetri oscurati vicino al quartier generale dell’Operation Room anti ISIS, la forza militare che contrasta la presenza di fondamentalisti in Libia. Il veicolo appartenente alla milizia Anas Dabashi, non si sarebbe fermato al check point, provocando uno scontro a fuoco tra i militari dell’Operation Room e la potentissima milizia, che controlla il traffico di uomini della zona e anche il traffico di carburante’. L’Operation Room e la brigata salafita al Wadi, sua alleata, sono legate ad Haftar, mentre la presenza dell’ISIS in città – scrive L’Espresso – ‘come ha sottolineato anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata facilitata dalla stessa milizia Dabashi’. Una fonte locale raccolta da L’Espresso spiega anche che la brigata 48, alleata dei Dabashi, ‘è una milizia di militari corrotti, i Dabashi ci sono dentro dall’inizio, con lo zio di Al Ammu, Hussein Dabashi. Hanno creato la milizia proprio per controllare la città e proteggere Ammu e i suoi affari, sapendo che stava per iniziare una fase politica di lotta al contrabbando. Il fratello di Ammu, Emhedem, comanda la brigata e protegge i traffici del clan. Si sono accreditati con il governo per ricevere un incarico formale, ma di fatto continuano a proteggere non la sicurezza di Sabratha, ma gli affari di famiglia. Hanno solo cambiato uniformi, ma sono sempre loro che hanno in mano la zona. Prima partecipavano ai traffici, ora fingono di combatterli’.
L’HuffingtonPost091018 riferisce le accuse rivolte all’Italia da varie parti (tra cui il Times200817), di aver pagato 5, qualcuno dice 10 milioni, agli al Dabbashi per convertirsi alla lotta contro il traffico di migranti, ma anche la smentita di Al Sarraj: ‘C’è un accordo con l’Italia per aiutare le municipalità libiche del nord e del sud a sviluppare l’economia e creare occupazione. Ma non c’è un accordo del tipo di quello di cui parlate, vale a dire sostenere un gruppo armato’. Il premier di Tripoli si riferisce all’incontro avvenuto il 26 agosto 2017 al Viminale tra Marco Minniti, il presidente dell’ANCI, il segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore italiano a Tripoli e rappresentanti dell’UE coi ‘sindaci delle comunità libiche’. Tra questi anche il sindaco di Sabratha, che, sempre secondo l’Huffpost è un uomo degli al Dabbashi. Insomma l’Italia non darebbe soldi alle milizie, ma ai sindaci messi al loro posto dalle milizie.
La ‘guardia costiera’ libica
A metà giugno il Giornale130618 a metà giugno ricordava quanto avvenuto a Sabratha lo scorso autunno, ipotizzando che ‘adesso, con l’estate 2018 alle porte, le circostanze si ripetono e sia l’esecutivo di Al Serraj che le milizie tripoline sgomitano per chiedere a Roma il rinnovo del trattato e nuovo riconoscimento politico-economico per contrastare l’immigrazione. Secondo alcuni report dei servizi segreti, sarebbero 50mila i migranti che aspettano di imbarcarsi da Sabrata e da altre località costiere della Libia’. E sottolinea che: ‘il vero nodo in realtà sono le milizie: a Sabrata e lungo le coste della Tripolitania sono questi gruppi armati a dettar legge e per loro l’unica cosa che conta è il guadagno. Se fermare i migranti è più redditizio che farli partire, allora forse si potrà assistere nell’immediato ad una diminuzione dei flussi. Ma è anche vero che se una milizia riceve riconoscimento, altri gruppi saranno pronti a muoverle guerra per prendere il posto ed alzare la posta in palio’. La conclusione logica di un discorso che non fa una grinza è che ‘Il perno del problema dell’immigrazione dalla Libia è sempre lo stesso da quando è caduto Gheddafi: senza uno Stato libico forte, si rischia di poter al massimo solo arginare (a caro prezzo) per qualche settimana il fenomeno. Forse hanno ragione i vertici della piccola e quasi impotente guardia costiera di Tripoli: l’unica soluzione a lungo termine, come hanno dichiarato nelle scorse ore, è quella di bloccare le navi umanitarie ed evitare di far ammassare migliaia di potenziali migranti sulle coste’. E infatti…
A proposito dei vertici della guardia costiera libica poi il Guardian080618 rivela che ‘L’ONU ha imposto sanzioni per il traffico di esseri umani contro personaggi libici strettamente associati alla guardia costiera finanziata dell’UE o all’accordo siglato col precedente governo italiano per rallentare le migrazioni. Tra quanti sono stati colpiti dal blocco patrimoniale deciso dall’ONU c’è un ex leader delle milizie, Abd al Rahman al-Milad, a capo dell’unità territoriale della guardia costiera di Zawiyah, che riceve fondi europei. Le ONG da tempo accusano la guardia costiera di Zawiyah di essere una delle più inclini a usare la violenza per riportare a terra i barconi dei migranti in rotta verso l’Europa. E’ stato ipotizzato che Milad sia protagonista di un doppio gioco in cui, grazie alla copertura da ufficiale della guardia costiera, blocchi gli altri trafficanti ma continui a trafficare esseri umani in proprio’. Insieme ad al Milad l’ONU ha colpito altre cinque persone, tra cui Mohammed Kachlaf, capo della brigata 48, e Ahmad Oumar al Dabbashi (conosciuto come Al Ammu, lo zio), comandante della brigata Anas al Dabbaschi, che secondo l’ONU ‘è una figura di spicco nel campo delle attività illegali legate al traffico di migranti’ ed è accusato di tenere strette relazioni con gruppi terroristi (TheMaritimeExecutive080618). Un profilo dell’ex facchino 28enne si trova in Formiche090917.
Secondo Reuters190618 ci sono testimonianze di migranti ‘che raccontano di essere stati caricati su una delle imbarcazioni usate da Milad e portati in uno dei centri di detenzione dove si dice che siano trattati brutalmente e picchiati’. Al Milad è anche ritratto in un video mentre colpisce un migrante in ginocchi davanti a lui con le mani alzate con un tubo di gomma. Intervistato dalla stessa Reuters in proposito avrebbe risposto: ‘Mi accusano di colpire i migranti. Sì, colpisco i migranti affinché si siedano correttamente e rimangano fermi. C’è sempre un altro migrante seduto vicino e basta il più piccolo movimento per far rovesciare la barca o aprire una falla in cui potrebbero cadere dentro tutti’. Insomma un benefattore incompreso.
Tutto ciò ovviamente potrebbe non significare nulla, essere opera di un complotto giudaico-massonico ordito da giornali di ogni paese e di ogni orientamento politico, dall’ONU, da Amnesty International e dalle ONG al soldo di George Soros, allo scopo di inondare l’Italia e l’Europa di migranti musulmani. Purtuttavia rimangono una domanda e una considerazione. La domanda è: perché le testate di qualunque orientamento politico, i giornalisti benpensanti, magari pure ‘dde sinistra’, che oggi impazzano nei talk show accusando Salvini di essere un barbaro (e Toninelli, implicitamente, uno sprovveduto) e che qualche mese fa scrivevano degli accordi tra Minniti e le milizie libiche, oggi non vi fanno il minimo cenno? La considerazione è che, soprattutto quando in ballo ci sono delle vite umane, prima di mettere da parte tutti i dubbi che le notizie riportate dovrebbero suscitare, bisognerebbe almeno cercare di capire se esse siano vere o false, perché la cosa fa una certa differenza. Sennò in italiano, quando si parla di una cosa che in realtà è anche (o soprattutto) qualcos’altro si usano le virgolette, appunto, ad esempio: l’ONG tedesca ha impedito alla ‘guardia costiera’ libica di effettuare il ‘salvataggio’ di 200 migranti e di ricondurli in un ‘centro di accoglienza’ ‘controllato’ dal ‘governo’ di Tripoli.
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