Immigrazione
La giungla di Calais, migranti in fuga per la felicità
Sono molto ravvicinate buona parte delle inquadrature di L’Héroïque lande. La frontière brûle, il film di Nicolas Klotz ed Elisabeth Perceval, presentato in anteprima italiana lo scorso 6 dicembre al Filmmaker Festival di Milano, dedicato alla giungla di Calais, l’accampamento nei pressi della città francese in cui da gennaio del 2015 a ottobre del 2016, data dello sgombero, si sono radunati migliaia – fino a 7mila, secondo i censimenti ufficiali – di migranti eritrei, etiopi, turchi, siriani e di altre nazionalità. Primissimi piani che parrebbero essere sul punto di trasformarsi da un momento all’altro in dettagli, in inquadrature ancora più strette, senza però diventarlo. I registi sembrano voler andare così più vicino possibile alla materia del racconto, senza però perdere il senso della storia narrata e della sua drammaticità. Immagini che a tratti risultano quasi violente per la loro prossimità, per la loro vicinanza alle persone che riprendono e alla storia che raccontano. E che per lo stesso motivo riescono a essere cariche di accoglienza e di compassione. Le riprese, durate circa un anno ed effettuate con piccole videocamere tascabili, adatte a essere usate in ambienti di pochi metri quadrati, come le tende, le baracche e i container in cui vivevano i migranti, in altri momenti si fanno più ampie e corali, senza però allargare troppo il campo. Nella scena finale lo sguardo finalmente si libera nel campo lunghissimo in cui viene ripreso uno dei protagonisti, l’etiope Zeid, sulla spiaggia di Calais.
Ogni scena è stata ripresa per almeno tre minuti. E anche qui si vede come i registi abbiano voluto fare una scelta creativa rispettosa della durata e della verità dell’esperienza rappresentata, cercando di attenuare, se non di eludere, i limiti e la frammentazione, inevitabilmente anti-realistici, connaturati al montaggio cinematografico. Ci sembra una scelta felice. Così come risulta del tutto naturale, a partire da questa visione d’autore e dal contesto in cui si è sviluppata, la durata del film, pari a 225 minuti.
Le vicende della giungla di Calais sono emblematiche di come le nostre regole, le leggi e gli accordi stabiliti tra le nazioni europee – e forse tutte le leggi, tout court – siano inadatte ad affrontare l’imponente fenomeno migratorio che caratterizza questo tempo – come molti altri della storia del mondo – e le tensioni, le aspirazioni profonde dei suoi attori.
Il campo è stato l’esito del Trattato di Le Touquet, siglato nel 2003 tra l’allora ministro dell’interno francese Nicolas Sarkozy e il governo britannico, in quel periodo guidato da Tony Blair, in base a cui si stabilisce il blocco dell’immigrazione clandestina dalla Francia alla Gran Bretagna e si consente alla polizia di frontiera britannica di effettuare controlli sul territorio francese.
La conseguenza di questa decisione sono state migliaia di persone – ancora oggi circa 600 persone si trovano nell’area e si nascondono alla polizia – ammassate nei dintorni di Calais che non volevano restare in Francia, come gli accordi prevedevano, ma che volevano andare in Gran Bretagna per ricongiungersi con amici e parenti. Gran Bretagna che ufficialmente, stando ai trattati, non voleva queste persone, e che molte di loro hanno raggiunto con mezzi di fortuna, anche a rischio della vita, così come del resto avevano fatto per arrivare in Francia.
Il film mostra il dolore e la sofferenza che gli abitanti del campo hanno patito e patiscono. Zeid, 18enne etiope, racconta il suo viaggio avventuroso attraverso il Sudan e il periodo passato nelle prigioni libiche, dove è stato condotto senza motivo da una polizia di banditi senza regole di uno stato che, nei fatti, non c’è e dove alcuni suoi amici sono morti per le percosse subite e le condizioni disumane della detenzione. E, ancora, della difficoltà di vivere tra le baracche di Calais, dove si sente ancora una volta prigioniero, indesiderato per gli abitanti del posto e guardato a vista dalla polizia francese in attesa che i migranti commettano qualche errore, che reagiscano alle provocazioni, creando così i presupposti per una espulsione rapida.
Il film, però, mostra anche altro. Mostra come in un campo di fango sia sorta una città multietnica, una città mutante, in continua trasformazione, che forse più di altre identifica il tempo che stiamo attraversando. E così le riprese indugiano su una partita di cricket fatta con guantoni, palle e mazze improvvisate. E poi sul canto e sulla danza notturna in un container. E ancora il film mostra la vitalità, spesso gioiosa dei suoi giovani protagonisti, la loro tensione verso il futuro, la purezza insopprimibile della loro aspirazione alla felicità, che va oltre ogni legge, ogni trattato, ogni idea astratta e irreale del mondo e dei suoi abitanti.
In copertina un fotogramma da L’Héroïque lande. La frontière brûle.
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