Giustizia
La complicata giurisprudenza tedesca sui rifugiati
Le cronache tedesche consegnano ripetute ispezioni e fermi di ex combattenti vuoi di Jabhat al-Nusra, vuoi dei Taliban, od ancora dell’IS. Il 9 maggio ad esempio sono stati tratti in arresto il 30enne Abdumalk A. ed il 23enne Mousa H. A., entrambi siriani, rispettivamente a Berlino ed in Sassonia-Anhalt perché si erano uniti nel 2012 a Jabhat al-Nusra. Il primo come comandante di un’unità vicino alla città di Tabka avrebbe costretto un tiratore siriano a scavarsi la tomba per poi sgozzarlo. A metà del 2013 poi presso Deir Ezzor si unì all’IS e dopo aver preso parte a combattimenti ottenne l’incarico di amministrare la diga sull’Eufrate vicino a Tabka. Il giorno dopo sono state effettuate delle perquisizioni anti IS in 4 Länder tedeschi: Baviera, Berlino, Sassonia e Sassonia-Anhalt. Per i media tedeschi le misure interessarono immobili a Lipsia, Volkmarsdorf, Mockau e Connewitz. Le misure hanno preso di mira gli alloggi di Abd Arahman A.K. ed Ahmad A. A. entrambi già fermati rispettivamente nel giugno 2016 e nel maggio 2017 con l’accusa di essere membri delle milizie dello stato islamico e di aver contravvenuto alla legislazione tedesca sugli armamenti, così come di una terza persona considerata anch’essa un fiancheggiatore dell’IS, nonché altri nel loro entourage. La settimana prima a Wachau, presso Lipsia, era già stato arrestato un sospetto appartenente allo Stato Islamico.
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Con questo retroscena sono apparse a titolo diverso controverse due decisioni giudiziarie emesse recentemente nei confronti di fuggiaschi siriani di tendenze diametralmente opposte.
Il primo caso è quello del 32enne Ali R, condannato il 27 aprile dalla corte d’appello di Monaco a 3 anni di reclusione dopo 28 udienze, per essersi unito all’IS ed aver partecipato alla preparazione di un grave attentato. In questo caso è valso il principio che avere combattuto, anche se costretto da circostanze esterne di cui si dirà, per lo Stato Islamico è sanzionato penalmente.
Alla fine di novembre 2014 la moglie dell’imputato, convertitasi alla religione musulmana e diventata profondamente radicale, dopo avere più volte manifestato l’intenzione di unirsi allo IS, mise in atto il suo piano ed emigrò con i 3 figli minori a Raqqa in Siria senza coinvolgere il marito, ma lasciandogli solo una notizia che per rivederli doveva unirsi anche lui alla guerra. L’uomo per riprendere i figli abbandonò a sua volta la Germania nel dicembre dello stesso anno e si adoprò per entrare, grazie a dei passatori, in Siria. Aderì allo ISIG (Stato Islamico Irak e Grande Siria) per individuare dove fosse la famiglia. Inizialmente fu impiegato nell’apparato amministrativo e nel ricevimento delle nuove reclute, ottenendo parallelamente istruzioni nell’uso delle armi. Dal maggio 2015 fu coinvolto nella fabbricazione di spolette. In buona sostanza i suoi superiori gli posero l’alternativa tra l’andare a combattere, addestrarsi come attentatore suicida, o lavorare nella fabbrica ed Ali R. optò per quest’ultima ipotesi aiutando a fabbricare bombe che causarono presumibilmente diversi morti. Riunitosi nel frattempo alla famiglia, quando ebbe l’occasione di stare con i figli anche in assenza della madre, ne approfittò per scappare. Al più grandicello gli istruttori dello Stato Islamico avevano già insegnato che si sarebbe guadagnato il paradiso uccidendo gli infedeli facendo l’attentatore suicida. Con l’aiuto dei servizi di intelligence tedesca, ai quali poi Ali R. fornì informazioni sull’ISIG, riuscì alla fine di ottobre a rientrare in Germania con i 3 minori e fi lasciò arrestare il 6 novembre allo sbarco dall’aereo.
Il procuratore generale aveva chiesto 4 anni e mezzo, la difesa l’assoluzione. I giudici della ottava sezione penale hanno contenuto la soglia della pena in virtù del fatto che Ali R. era incensurato, aveva ammesso le sue responsabilità, aveva collaborato ed in buona sostanza non aveva aderito all’IS se non per riottenere i figli. Nondimeno era stato membro dell’organizzazione terroristica ed aveva contribuito a costruire bombe. La difesa ha preannunciato subito di voler ricorrere in appello.
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Discriminante per la condanna è comunque stato il fatto che, quand’anche se sotto una costrizione morale, il cittadino siriano ha partecipato alla guerra. Di senso diametralmente opposto la decisione del tribunale superiore amministrativo di Münster (Nord Reno-Vestfalia) del 4 maggio 2017 (registro 14 A 2023/16.A decidendo su Düsseldorf 13 K 9495/16.A) che ha negato la possibilità di ottenere asilo ad un cittadino siriano ventenne che è scappato per non fare il servizio armato e partecipare alla guerra.
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Ricevuta la chiamata alle armi nell’esercito di Assad e presentarsi alla leva il 19 marzo 2015 il 20enne scappò nel dicembre 2014 attraverso la Turchia ed attraverso il passaggio nei Balcani giunse fino alla Germania. L’ufficio federale tedesco per l’immigrazione ed i rifugiati (BAMF) gli riconobbe la sola tutela sussidiaria per i rifugiati che non ammette i ricongiungimenti familiari, dietro ricorso invece il tribunale amministrativo di Düsseldorf gli aveva riconosciuta l’aspettativa al diritto d’asilo; invece cancellata dai giudici di Münster.
La logica dei magistrati è stata che il servizio di leva è un obbligo e che se anche chi rifiuta la leva in Siria rischia la tortura ed altro, non si tratterebbe di una persecuzione politica perché la Siria è un’entità statuale ed ha interesse mantenere intatta la forza di ingaggio del proprio esercito. Per i giudici di Münster neppure per i civili innocenti che fuggono il conflitto si può automaticamente ipotizzare che siano perseguitati politici e ciò sarebbe tanto più vero per i renitenti alla leva che scappano in realtà per sfuggire ai rischi di essere dispiegati in guerra. Anche in Germania l’abbandono dagli obblighi nelle forze armate sarebbe sanzionato -sia esso perseguito attraverso un’auto-menomazione, disobbedienza agli ordini, od abbandono del campo- ed è compito del militare resistere alla paura del rischio personale.
I magistrati amministrativi hanno ritenuto sia una speculazione ritenere che chi si sottrae dal servizio militare per lo Stato siriano sia anche contestualmente favorevole all’opposizione, come avrebbero invece ammesso sia il Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, così come in precedenza il tribunale amministrativo del Land Baviera. I magistrati di Münster sono anche andati oltre, hanno negato che l’esercito siriano conduca nel suo insieme una guerra contro il diritto internazionale e violi i diritti umani. Giacché la legge altrimenti ammette il diritto di asilo di chi per sottrarsi a tali crimini sia renitente alle armi. Il ventenne non ha rifiutato di eseguire un odine contrario ai diritti umani, è invece fuggito alla chiamata. Per i magistrati non era detto che il ventenne aderendo all’obbligo di leva si sarebbe automaticamente trovato coinvolto in dei crimini contro l’umanità, perché non tutti i reparti dell’esercito siriano sono stati coinvolti in tali violazioni. Il tribunale non ha negato che ci siano state e si sia fatto finanche l’uso di gas, ma le ha attribuite a singole unità dell’esercito nelle quali il fuggiasco, dopo l’addestramento, avrebbe potuto non finire. Idea questa respinta dallo stesso Ministero degli Esteri tedesco, che pur non commentando la decisione, ha chiarito -come ha riportato la ARD– che i rapporti delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative imputano all’esercito siriano nella sua interezza gravissime violazioni del codice di guerra e dei diritti umani.
La decisione del tribunale superiore amministrativo di Münster ha scatenato critiche feroci transpartitiche. È stata paragonata alle sentenze che ancora dopo il 1945 sono state pronunciate contro i disertori tedeschi durante il regime nazionalsocialista e che solo nel 2002 sono state caducate con una piena riabilitazione di tutti coloro che si sottrassero nella seconda guerra mondiale dal prestare servizio nella Wehrmacht. Nonostante dovrebbe essere nell’interesse tedesco, e più in generale europeo, che giovani uomini trovino la via per sottrarsi alla guerra criminale in Siria e disertare dall’esercito di Assad, per il ventenne non c’è più diritto di ricorrere avverso la decisione. Siccome tuttavia si sono avute decisioni dei tribunali amministrativi superiori discordanti la Corte Amministrativa Federale potrebbe ancora essere chiamata a pronunciare una decisione di indirizzo generale. Tanto più che altre discordanze giudiziarie sono altrimenti preannunciate, stante che avanti al tribunale amministrativo superiore del solo Land Nord Reno-Vestfalia di Münster pendono altri 121 procedimenti relativi a fuggiaschi siriani ed innanzi a tutte e sette le istanze amministrative inferiori del singolo Land ben 13.500.
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Un problema diverso ma sempre legato ai rifugiati è stato deciso dal Tribunale Federale Sociale di Kassel con una sentenza draconiana (caso B 7 AY 1/16 R) che ha statuito che l’autorità può tagliare gli aiuti ad un rifugiato che si rifiuti di collaborare. Dovuti restano i buoni per la copertura del minimo esistenziale fisico, cioè per alimenti, vestiario e l’alloggio in un centro di prima accoglienza pari ad un valore di 167 euro al mese; ma invece le seppur limitate somme in contanti di 137 euro mensili che coprono il cosiddetto minimo socio culturale, per pagare i trasporti pubblici, il telefono, od attività ricreativo sociali come andare al cinema od entrare in un museo, possono legittimamente essere rifiutate. La decisione è stata presa rigettando il ricorso di un cittadino del Camerun di 49 anni che era arrivato in Germania senza documenti nel 2002 e per questo gli era stato negato il diritto d’asilo nel 2004 e concesso solo lo status di persona tollerata. L’uomo si è rifiutato per 9 anni dal 2004 all’aprile 2013, incurante di ben 19 richieste, di farsi rilasciare un passaporto affinché si potesse procedere alla sua identificazione ed espulsione. Recandosi avanti all’autorità consolare del suo Paese d’origine rifiutava di parlare perché si potesse accertare la sua identità. Il ricorrente, hanno indicato i magistrati di Kassel, può ottenere in ogni momento i maggiori aiuti sociali se procede attivamente al rilascio dei suoi documenti. La decisione non è vincolante per altri casi, ma fornisce un chiaro precedente di indirizzo per i funzionari. L’uomo potrebbe ancora teoricamente presentare un ricorso alla Corte Costituzionale.
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