Immigrazione

La Brexit nell’Inghilterra post covid

8 Settembre 2021

“Ecco quello che mi preoccupa… Questo grande spazio vuoto è niente. Quando si demolisce uno stabilimento e spariscono tanti posti di lavoro, se non c’è la fabbrica, come fa la gente a trovare i soldi da spendere nei negozi? Come mette da parte i soldi per comprare le case? Non ha senso.” (J.Coe)

Una pessima gestione della pandemia e delle sue conseguenze economiche, lo spettro di una Brexit senza accordo e le aspre lotte nella cerchia del primo ministro non hanno minato la popolarità del governo Johnson.

Durante la fase in cui il focolaio pandemico ha raggiunto il picco, il Regno era sempre meno unito: le decisioni assunte in Inghilterra non venivano interamente condivise da Scozia e Galles in merito ad esempio alle diverse restrizioni imposte per chi risiedeva dentro e fuori la nazione.

Circa trecento anni fa proprio in Inghilterra fu sperimentata la prima vaccinazione contro il vaiolo, questo lavoro pioneristico fu realizzato dall’aristocratica Mary Wortley Montagu. Moglie di un ambasciatore britannico, adoperò la conoscenza medica acquisita in Turchia all’inizio del diciassettesimo secolo: assunse la decisione coraggiosa di iniettare del siero a sua figlia che aveva contratto l’epidemia di vaiolo. L’esperimento rischioso che si rivelò vincente precedette di settantacinque anni quello del fisico britannico Edward Jenner, padre dell’immunizzazione, che creò il primo vaccino contro il vaiolo.

La situazione presente per chi ha lasciato la Gran Bretagna durante la fase pandemica, è davvero pesante. Finita la libera circolazione delle persone perché nel frattempo è entrata in vigore la Brexit, per venire a lavorare qui occorre avere un contratto già pronto o uno sponsor locale, un salario corrispondente almeno a 30.000 euro all’anno, un compenso molto lontano da quello di un cuoco o di un lavapiatti. I camionisti cercano di non viaggiare oltre Manica per evitare le lungaggini dei controlli doganali con un paese ormai fuori dal mercato unico europeo. Intanto, indicatore che fa riflettere, gli scaffali dei supermercati sono mezzi vuoti. Il post covid comincia con una robusta ripresa economica che mette, però, in evidenza i problemi della brexit: drasticamente crescente il numero dei posti vacanti, drastico il calo degli studenti europei nelle università inglesi causato dall’aumento delle rette, neppure l’accordo sul nord Irlanda sembra funzionare. È stata rinviata per la terza volta l’applicazione delle nuove norme sui commerci con l’Ulster.

Secondo i fautori del “Leave”, la Brexit avrebbe liberato la finanza britannica da molti vincoli burocratici. “Red tape”, è il termine con cui nel Regno Unito si indica la serie apparentemente infinita di lacci burocratici che impediscono agli “animal spirits” del mercato di dar libero sfogo al loro istinto creativo.

Per i fautori della Brexit, il “red tape” è il peccato capitale dell’Unione Europea: una regolamentazione smisurata e una rigida conformità a regole formali, considerate ripetitive e spesso fine a sé stesse, che ostacolano l’azione e il processo decisionale in ambito economico e non solo. Non a caso, durante la campagna referendaria per l’uscita dall’Ue, la Brexit è stata simbolicamente presentata agli elettori come un’occasione irripetibile di alimentare con un falò di nastri rossi la crescita dell’economia britannica.

Questa estate gli spiriti animali hanno lavorato con solerzia, spesso rinunciando alle vacanze, soprattutto nei piani alti della City. Purtroppo però quello che li sta impegnando non sembra tanto l’agognato falò, quanto un groviglio di nuovi nastri rossi. L’annullamento delle ferie estive è la conseguenza del carico di lavoro generato da una serie di riforme progettate dal governo britannico per garantire che la City resti un importante polo finanziario globale anche dopo il divorzio da Bruxelles.
Tra le riforme proposte dal governo di Boris Johnson, di particolare rilevanza per la City, è quella di rivedere il regime delle commissioni favorendo gli investimenti dei fondi pensionistici in fondi di private equity e venture capital a sostegno di start-up innovative.

A mio avviso, in un tempo di globalizzazione le piccole patrie non possono sopravvivere, vengono fagocitate dalle grandi patrie. Anziché isolarsi bisogna allearsi pur mantenendo la propria identità. Chiudersi, ancorandosi alle proprie tradizioni, ai propri rituali, è quanto di più antistorico possa esistere: la propria identità ne esce rafforzata quanto più ci si confronta con altre culture.

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