Costume
Per Pasqua, vi prego, sgomberate l’Isola dei famosi…
Mi è successo, è accaduto: ho visto una puntata di L’isola dei famosi. Era lo scorso 27 marzo, pochi giorni fa. Ero a casa, e ipnotizzato dalle graziose pose di Alessia Marcuzzi, mi sono soffermato sul canale che dedica ampio spazio a simili trasmissioni. Ho fatto conoscenza con persone che si chiamano Jonathan, Simone, Daniele, Elena, Francesca, Franco. Tra loro si conoscono tutti, io non li conoscevo. Eppure dovrebbero essere famosi, così almeno dice il titolo della trasmissione. Famosi per chi? Per cosa? Cosa hanno fatto per essere famosi? Non è dato sapere.
Nel clima equatoriale che tutti avvolge, arrivano ondate di silicone che traboccano da bikini ridottissimi, coroncine di fiori e rughe, addominali e paillettes, abbronzatura e finte torce.
La trasmissione, come è a molti noto, si basa sui commenti di quel che accade in una specie di isola, deserta di tutto tranne che di telecamere. La discussione, nella puntata cui ho assistito, si infiamma subito: chi lava la pentola? Il problema, come diceva Flaiano, è grave ma non è serio.
La famosa Mara Venier, in studio è l’Autorità indiscussa, il venerato maestro della diatriba: la sua parola è definitiva.
Siete logorati da Simone? Chiede Daniele. Chi siano Daniele e Simone che tutti chiamano per nome non mi è dato capire.
A un certo punto tutti cantano “Felicità”, famoso brano dei famosi Al Bano e Romina, segnando inesorabilmente l’orizzonte di riferimento culturale della trasmissione. I tatutati in studio applaudono felici.
L’italiano è un’opinione, i congiuntivi sono delle opzioni ormai scartate dalla conversazione.«Stanno in situazioni difficili. Sono consumati» chiosa qualcuno.
Un signore che si chiama Nino, mi par di ricordare fosse forse un ex comico, è il saggio del gruppo sull’isola.
Sopraffatto dalla visione, mi resta però qualche domanda. La metafora principe, il paradigma assoluto della trasmissione, è chiamare “naufraghi” i presupposti famosi che stanno nell’isola. La cosa potrebbe essere valutata meglio, no? Soprattutto quando la rigogliosa Valeria Marini viene presentata come “naufraga”: mi chiedo quanto possa essere opportuna una simile definizione.
Scriveva l’Agenzia Ansa solo cinque mesi fa: «Oltre 3mila migranti e rifugiati sono morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2017 mentre tentavano di raggiungere l’Europa via mare: lo ha riferito oggi l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) rendendo note le “ultime tragiche statistiche”. La media dal primo gennaio del 2017 (al 26 novembre) è di quasi 10 morti al giorno, ha sottolineato a Ginevra l’agenzia dell’Onu per la migrazione precisando che si tratta del quarto anno consecutivo durante il quale la soglia dei decessi è stata superata».
Possibile che non si rendano conto, i raffinati autori di L’isola dei famosi, che la metafora è lievemente inopportuna? Paragonare la Marini a una naufraga non suona stonato, fuori luogo? Ma non si vergognano nemmeno un po’?
E poi, su quell’isola full optional, in quella spiaggia da cinepanettone, succede anche qualcosa di curioso: che, semplicemente, si può eliminare qualcuno. Farlo fuori dal gioco. Magari perché antipatico, pigro, pettegolo. Per restare in metafora: si può far fuori il naufrago dall’isola. Ovvero non accoglierlo, non soccorrerlo. All’isola, si insegna come i “famosi” selezionano la specie: preferiscono loro stessi, gli altri si arrangino. Il contest, la gara, il dover vincere a scapito degli altri: qui è una piccola élite a far le scelte, invitando il popolo a partecipare all’eliminazione e plaudente.
Ecco, allora come il Capitale impone in modo suadente i propri principi, le proprie visioni del mondo: concorrenza, selezione, arrivismo sono introiettati anche attraverso certe trasmissioni tv. Bella pedagogia dall’isola dei naufraghi.
C’è poi un altro tema che mi sembra irrisolto, nonostante il clima di attenzione creata dal movimento #metoo: quale ruolo delle donne? Con quel silicone che tracima, con quei bikini minimal, con quelle diatribe di piccolo cabotaggio, che immaginario del femminile viene fuori?
Ma la puntata riserva un’altra sorpresa. A un certo punto si parla di una “prova” da superare. Una concorrente dovrebbe non mangiare, e nel caso avrà come premio – cito testuale – la «presenza del papà». Al di là della importanza data alla autorevole figura paterna su cui pure ci sarebbe da dire (ne parlavo anche qua), si dà per presupposto che “vedere il padre” sia per una donna un premio da meritare, e resta il fatto che un simile ricongiungimento familiare a molti veri naufraghi è negato. Ci si può scherzare sopra? Farne una prova a base di digiuno?
Non so. Mi sembra tanto, troppo, inopportuno, al limite di una volgarità che va ben oltre il botulino o la grammatica precaria. Capisco bene che l’intrattenimento televisivo abbia le sue regole, che forzano o cozzano contro le maglie della realtà. Non so quante puntate siano state girate, quante ne manchino a fine trasmissione ma, vista la situazione, mi pare proprio non sia più tempo per una simile pagliacciata. Allora vi prego, per Pasqua, con l’Uovo, fate un bel gesto: avete sgomberato il centro Baobab di Roma, che dava accoglienza e pasti a dei naufraghi, adesso per favore sgomberate quell’isola di famosi.
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