Immigrazione

Il timballo di immigrazione clandestina

9 Gennaio 2016

“Un leader vero i sondaggi non li commenta, li cambia”, così Matteo Renzi alla Leopolda. Un’ottima frase a effetto, un soundbite dei suoi, di quelli che infiammano le platee e accendono i pubblici davanti alla TV o ai display di smartphone e tablet sempre connessi.

A giudicare dal dietrofront sull’abolizione del reato di clandestinità, però, pare che il “leader vero” gli ultimi sondaggi li abbia guardati e commentati con attenzione. Tuttavia, la scelta di non procedere con l’abolizione forse servirà anche a cambiarli, o quantomeno a non cambiarli in peggio.

La vicenda del reato di clandestinità è lo specchio della politica di oggi, la politica degli annunci, figlia della società dell’immagine e della comunicazione. Tutto diventa un simbolo, a uso psicologico prima che “reale”: l’introduzione del reato di clandestinità nel 2009 è servito al centrodestra per rassicurare i propri elettori; l’abolizione annunciata del governo Renzi nell’aprile 2014 è servita all’attuale maggioranza per mostrare il suo pedigree di sinistra; la mancata approvazione del decreto legislativo, e dunque la mancata abolizione reale del reato di clandestinità, serve oggi a rassicurare tutti, da destra a sinistra, in preda alla psicosi da attentati e “stupri di massa”.

La cosa “sorprendente” (per chi ancora si sorprende) è che questo infinito dibattito è esclusivamente a uso interno ed esclusivamente psicologico. Tradotto: il reato di immigrazione clandestina non ha affatto ridotto gli sbarchi come si sostiene a destra (il 2011 fu un anno record), non ha affatto sovraffollato le carceri come si sostiene a sinistra (dal 2009 il numero di detenuti totali e di detenuti stranieri è diminuito), ma probabilmente ha cambiato i sondaggi, come direbbe Renzi. E perché li ha cambiati? Perché agisce sulle psicosi collettive, appunto.

Un classico caso di “politica simbolica”: non genera effetti reali sul problema collettivo che intende risolvere (l’arrivo di migranti irregolari), ma genera effetti indiretti sull’opinione (o meglio emozione) pubblica. Interviene, cioè, sulla percezione del problema, non sul problema stesso.

Che questa sia una politica simbolica è evidente anche se consideriamo il suo iter legis. La legge 67/2014 (approvata ad aprile di 2 anni fa…) delegava il governo ad abolire il reato di immigrazione clandestina. In quei giorni, politici e mass media annunciavano e titolavano: “abolito il reato di immigrazione clandestina”! Dopo due anni, il decreto legislativo tanto atteso è sparito, e oggi i bookmakers quoterebbero a 100 la sua approvazione. Politica reale, zero. Politica simbolica, mille.

Il problema delle politiche simboliche è ben esplicitato dall’etimologia. “Simbolo” deriva da sun-ballo (o meglio, συν-βαλλω), che vuol dire “mettere tutto insieme”, ciò che è racchiuso e rappresentato da un simbolo, appunto. Curiosamente però, secondo alcuni etimologi, anche “timballo” deriva da sun-ballo. E mi pare che il timballo sia un simbolo appropriato dei nostri tempi…

Ovviamente, da timballo a frittata il passo è breve.

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