Cinema
Il tanfo felice della Mostra del Cinema di Venezia
Ci sono dei giorni in cui la puzza a Venezia è insopportabile, succede per il caldo, per l’umidità, per i canali stagnanti e per il vento che porta in laguna gli spiriti chimici di Marghera. Ci sono dei giorni in cui la puzza arriva fino al lido e succede che quei giorni coincidano con gli odierni della Mostra del Cinema. Quest’anno la puzza copre ogni cosa e il suo epicentro è il Palazzo del Cinema.
È ormai quasi una settimana che i quotidiani mettono in prima pagina immagini sempre più scabrose e titoli sempre più gravi con a fianco foto sempre più luccicanti e sorridenti di star internazionali, intellettuali in tuta e attori ben pensanti. Da una parte la tragedia globale dei migranti e dall’altra l’allegra scampagnata della Mostra del Cinema.
Ma di chi sono questi volti? In generale di artisti si sarebbe detto una volta, non burloni quindi. Persone che hanno deciso di dedicarsi a qualcosa che valesse e andasse ben oltre i confini miserrimi di un mestiere fatto di ore lavoro e compensi. Registi, attori, sceneggiatori e scrittori: uomini di successo o magari ancora in cerca dell’ultima consacrazione, ma in linea di massima donne e uomini abituati al pensiero e ai suoi contesti. Donne e uomini abituati a cedere alle proprie nevrosi in nome di un’arte non sempre facilmente identificabile e quasi mai esatta, ma tale perché fatta della conoscenza e dell’ingegno, della forza emotiva e dal coraggio di quello che (sempre una volta) si sarebbe definito spirito.
Ora, proprio a nessuno di loro stona vedersi così sorridenti e vagamente stupidi rispetto alla realtà circostante? A nessuno di loro viene il dubbio che la ricompensa per la loro (ormai presunta) arte sia qualcosa di diverso da una passerella, da un leone in metallo e dalle urla di qualche inutile idiota? Andrea Segrè, bontà sua, vagheggia una marcia degli scalzi l’undici di settembre: un modo per sostenere i migranti, dice. Bene, qualche anno fa per molto, ma per molto meno il Festival di Cannes venne interrotto perché pareva inammissibile proseguire a mostrare film mentre fuori la polizia arrestava e picchiava studenti ed operai.
È vero, il tempo che passa non torna più, ma non è certamente obbligatorio essere così naïf. Davvero la visibilità e la messa in scena deve averla vinta su tutto? Sarebbe forse il caso di fare un po’ di ordine nelle priorità che ci diamo come umani, come donne e uomini, sarebbe forse il caso di restituire a noi stessi un ruolo che non sia così miserabilmente supino anche se farlo può significare confliggere e magari perdere per delle idee così dure, da piegarsi sempre inevitabilmente un po’ male.
Se non si è in grado di fermarsi, di bloccare, di occupare e di opporsi allora nulla vale e ancor meno vale se quel nulla è fatto di immagini e di storie. A nulla vale in tal caso la recita così come nessuna recita in tal caso sarà mai bella e credibile.
Il tanfo della Mostra del Cinema di Venezia è quello dei miserabili ormai abituati al proprio odore credendo che sia quello buono (se non il migliore), quello dei primi della classe o peggio ancora di quelli che ambiscono a diventarlo. Forse il tanfo viene da quel buco che proprio fuori dal Palazzo del Cinema fa sua bella mostra da qualche anno. Una buca non coperta, una buca sufficientemente grande per accogliere lo splendore inutile di artisti ormai privi di ogni pensiero umano e di bellezza.
Non è il caso di fare appelli, non è nemmeno il caso di tirare in ballo i perenni precari di qualsiasi cosa sia, è semplicemente la constatazione di una generazione di professionisti (è questa la definizione migliore) incapace di esprimere un semplice moto di reazione ad una situazione in verità soffocante e inaccettabile.
Non si tratta nemmeno di salvare le sorti progressive dell’umanità e in fondo nemmeno quelle dei migranti in fuga, ma l’identità dei nostri cuori contro la reputazione delle nostre firme. Si tratterebbe di opporre il proprio corpo alle proprie ambizioni, la propria testa ai propri desideri e tornare finalmente a essere umani di stracci (se serve, certo, mica siamo qui a farne una questione di gusto) e di dignità.
Auguri cari miserabili, auguri cari incapaci malvissuti e cortigiani buffoni. Buon giro di giostra appassite comparse che sarà ancora festa stasera, che sarà ancora un’alba in spiaggia domani e che sarà ancora sabbia tra le dita dei piedi.
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