Ambiente
Il presepe dello scandalo
Il naufragio presepiale della sacra famiglia in scena ad Acquaviva delle Fonti, nel barese, ha fatto parlare parecchio di sé e, spesso, in termini non lusinghieri. Niente stalla, mangiatoia, asino e bue. Al loro posto, un mare di bottiglie di plastica dal quale emergono Giuseppe, Maria, un piccolo Gesù nero cullato da un salvagente e la mano di un affogato.
Sostituzioni e ricontestualizzazioni adocchiate in un baleno dai puristi del presepe accorsi da ogni latitudine. Indignatisi a turno per la presunta bruttezza, per l’intrinseca blasfemia, per l’ambientazione marina o per le forzature ecologiste. Uno strombazzamento inquisitorio in piena regola, garantiamo, dal profumo antico, irresistibile. La Gioconda baffuta, in confronto, produsse meno chiasso.
Eppure, la presepiologia specialistica ci sembrava una disciplina dormiente, non incline alle palpitazioni, tollerante: fiumi in carta d’alluminio, muschio finto o assente, pastori non in scala, comete scolorite, cieli stellati spartani, re magi dispersi, lucine fulminate, pochezza compositiva e altri vezzi da principianti, non hanno mai scaldato gli animi. Anzi, pare che qualche eterodosso del settore abbia addirittura interpretato tali abusi di rudimentalità come il simbolo del candore natalizio originario e non come la traccia di una disincantata sciatteria.
Ma l’eventuale pigrizia, un sospetto spirito minimal o la scarsa creatività nell’allestimento non hanno comunque nulla da spartire con una radicale rivisitazione che, almeno in superficie, molto in superficie, incredibilmente in superficie, sa di sfida, di eresia, di profanazione, di banalizzazione, di caduta nella mera cronaca. Per di più, in uno spazio pubblico, alla portata di tutti. Ecco perché la natività di Acquaviva delle Fonti ha faticato a trovare asilo, ironia del fato, tra i tradizionalisti di professione.
Nemmeno le recenti licenze teologiche di Cristiano Ceresani (capo di gabinetto del ministero per la famiglia e la disabilità) sul legame tra cambiamenti climatici e dietrologie sulfuree sono riuscite a scardinare l’impressione negativa suscitata dal presepe pugliese. Sensibilità ambientale e sentimento religioso devono continuare ad alloggiare, da consuetudine, in camere separate. La tradizione va difesa, non va contaminata, il divenire va messo in quarantena.
Ma siamo sicuri che attenzione per il prossimo in difficoltà e sentimento religioso siano concetti che non debbano rivolgersi la parola in un’ottica cristiana? Non è anche questo il senso del messaggio del presepe di Acquaviva, del messaggio evangelico? Dove sarebbe, in fondo, l’eresia?
Al momento, solo i presepiologi amatoriali, soverchiati dall’altrui pionierismo e non di rado atei, hanno fatto trapelare entusiasmo e apertura. Tra i loro ranghi, il sindaco del comune del barese Davide Carlucci: “Il bambino nasce nel mare, dove con Giuseppe e Maria, profughi, non accolti da nessuno, vive l’esperienza che molti migranti affrontano nel nostro Mar Mediterraneo”. E chiosa: “Quando l’arte fa scandalo, e quando anche il messaggio religioso è, per dirla con don Tonino Bello ‘scandaloso’, vuol dire che l’obiettivo è stato raggiunto”.
Epifania conclusiva su ciò che disturba: che il presepe, anziché fungere da mero feticcione folk o da oggetto d’arredamento natalizio, possa destrutturarsi, ristrutturarsi e tessere, per dirla con Benjamin, un’immagine dialettica, un’immagine in cui “passato e futuro si illuminano a vicenda a partire dal presente”; che una dimensione religiosa accomodante, borghese, lontana dall’emergenza umanitaria, lontana dalla propria storia, sia costretta a ricordarsi di quell’etica iperbolica, eversiva, scandalosa, dell’accoglienza indiscriminata e dell’amore per il nemico, con cui non vuol proprio fare i conti; che il mare sia diventato il vero luogo del sacro, nell’accezione primordiale del vocabolo, ossia il luogo in cui galleggia ciò che la comunità umana espelle, respinge, in cui galleggia il materiale di scarto.
In una battuta: presepi di governo, presepi di lotta.
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