Immigrazione
Il martirologio di Mimmo Lucano è dannoso alla nobiltà della sua causa
“Bisogna avere maggiore considerazione di quello che avviene a livello territoriale, maggiore fiducia e non introdurre sistemi di controllo e polizia che non servono a niente” (Mimmo Lucano)
L’indignazione ormai tracima.
“Reato di umanità”, “aberrazione giuridica”, “calcolo della pena mostruoso”, “giustizia rovesciata”.
Eppure sarebbe stato utile almeno riavvolgere il nastro e rileggere la relazione prodotta nel 2018 dagli ispettori del servizio centrale del ministero degli interni. Le criticità accertate «risultano aver compromesso le finalità di accoglienza integrata proprie del progetto per i profili di inefficienza amministrativa programmatica e gestionale, con i conseguenti riflessi negativi sia sulla presa in carico dei soggetti accolti sia riguardo al non corretto impiego delle risorse pubbliche erogate».
Ispettori che per altro, al processo, hanno ribadito i gravi problemi emersi a Riace con la gestione Lucano.
Sono spariti dei soldi e non pochi. E l’accoglienza era compromessa da problemi gestionali gravi.
C’è chi sostiene non senza ragione che la condanna sia tutt’altro che sproporzionata https://www.open.online/2021/10/01/mimmo-lucano-condanna-perche/ .
Goffredo Buccini sul Corriere ha elencato alcune affermazioni del Lucano pensiero: «Se la legge è questa, io non le obbedisco». «Tra legalità e giustizia preferisco la seconda». «Anche nei lager di Hitler c’era legalità». «Sono un fuorilegge!».
Esaurita la fase emotivo sentimentale, mi auguro venga presto una riflessione più pacata e matura su quanto avvenuto a Riace.
Anche per scollegare una nobile causa dal destino di chi non si è dimostrato all’altezza di guidarla.
Una terra senza popolo per un popolo senza terra, è davvero qualcosa che ci dovrebbe mobilitare alla lotta.
Ecco il sogno di Lucano: «Qui a Riace non esistono linee di demarcazione, fili spinati, gabbie. C’è semplicemente un’integrazione diffusa dove aborriamo ogni forma di nazionalismo che è alla base dei fallimenti dell’Europa in tema di processi migratori. Pochi credevano che un borgo semideserto si potesse davvero rianimare, che le botteghe artigiane della tessitura della ginestra o della lavorazione della ceramica potessero davvero riaprire, che a Riace si potesse davvero organizzare asili e scuole multilingue per far crescere i figli dei migranti senza bandiere e barriere nazionali, etniche e religiose. A Riace si parla calabrese, ma anche curdo e tigrino. E palestinese, amerindo…».
Di questo sogno oggi sono rimaste solo le macerie.
Per ricostruire occorre tornare a sognare che le mura della fortezza Europa possano crollare come sono crollate quelle di Gerico all’arrivo di Israele guidato da Giosuè.
Sono mura che oggi producono un costo altissimo in termini di vite umane e sofferenza.
Mura che hanno resto il Mediterraneo il più grande cimitero d’Europa e la sua frontiera più pericolosa.
E prodotto file interminabili di poveri e miserabili sulle strade della rotta balcanica.
Con il suo contorno orrendo: la smisurata crescita di mafie transnazionali che lucrano sui viaggi investendo i profitti in armi e droga.
In gioco, in un globale ripensamento dell’uso dei confini, non c’è solo un progresso dell’emergenza immigratoria, ma lo stesso destino della pace.
«Le “patrie” che gli stati-nazione hanno costruito per i popoli si sono rivelate trappole senza uscita. E dalla fine della prima guerra mondiale è evidente che gli stati nazione sono andati esaurendo il loro compito. Si dovrebbe allora, in nome di una liberazione nazionale, promuovere un altro stato-nazione, laddove è evidente l’ostilità che caratterizza lo “stato” come tale, nemico di chi è fuori e guardiano dei propri confini?
Per realizzare un’equità, che si pretende concreta, ed è invece astratta, si rimarcano le frontiere, si asseconda quel fronteggiarsi tra stato e stato che appartiene alla strategia della belligeranza. Sono ormai in molti, e da parti diverse, a dubitare che sia questa la road map per la pace» (Donatella Di Cesare).
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