Immigrazione
Il caso Fatmata: una morte assurda ai confini d’Europa
Qualche giorno fa ascoltavo un mio collega che lavora anch’egli nella migrazione, all’interno del cosiddetto ‘terzo settore’ dire: “manca poco che cominciamo a spararli al confine quando entrano”, sono stato zitto e nel frattempo pensavo “in realtà già lo facciamo”. Il caso più famoso e spaventoso rimane il massacro di Melilla, quando, il 24 giugno 2022, nel paese che segna il confine tra Spagna e Marocco, le due polizie di entrambi i paesi spararono sulla folla di migranti alle porte della fortezza europea, uccidendo 37 persone e ferendone 77, in maggioranza neomaggiorenni o minori provenienti da Chad e Sudan.
Da allora poco è cambiato, parliamo di soli due anni fa. I governi attuali perseguono una politica di delocalizzazione del ‘problema’ migranti. In tal senso va ad esempio il protocollo firmato il 19 aprile scorso tra Italia e Albania. L’accordo prevede l’istituzione di due centri in Albania, uno per la primissima accoglienza (nella località di Shengjin) e l’altro con funzione di hotspot e centro di permanenza e rimpatrio (Cpr), a Gjader. I centri si trovano a circa 20 km l’uno dall’altro, nel nord del paese. Il 6 novembre 2023 è stato, inoltre, firmato a Roma il protocollo Italia-Albania per il “rafforzamento della collaborazione in materia migratoria“, ratificato poi dal parlamento italiano lo scorso febbraio. I dubbi sollevati riguardo tale atteggiamento dei governi (allontanare il problema migranti dando soldi a stati vicini più poveri affinché se ne occupino loro) rimane un miglioramento ovvio e banale rispetto ai respingimenti violenti di coloro che si affacciano al confine, ma è indubbiamente un atteggiamento miope, guidato da interessi elettorali e del tutto privo di sguardo ampio e a lungo termine. Senza addentrarsi nella cecità che guida i governi a considerare la questione migranti ancora un problema, invece che una opportunità (tema che richiederebbe un intero altro articolo), un discorso a parte meriterebbe l’ipocrisia – di certe politiche migratorie di molti dei governi che si dicono contro l’immigrazione e poi la usano, raddoppiando anche le quote quando alla disperata ricerca di lavoratori a basso costo e delocalizzando quasi a caso centinaia di persone quando alla necessità di spot elettorali. Nelle previsioni del governo la gestione dei centri di accoglienza in Albania avrà un costo di 653 milioni di euro in 5 anni. La spesa prevista per la gestione delle strutture ammonta però a 30 milioni, gli oltre 600 milioni rimanenti dunque servono a finanziare altri aspetti dell’operazione. Tra le spese che non sarebbero state sostenute se i centri fossero stati costruiti in Italia si trovano 252 milioni di euro per le trasferte dei funzionari ministeriali. Allontanare il problema costa di più che risolverlo. Molto di più, perché devi pagare l’aereo ai funzionari che vanno lì a far valere il “diritto” dello stato italiano di tenere lontani gli “ospiti indesiderati”. Dall’orrore dello sparare ai migranti siamo passati alla stupidità dello spendere cifre astronomiche, pur di non vederli quando non ci servono.
Altrove, intanto, si continua a sparare. L’11 luglio è arrivata la prima sentenza su un caso singolare e quasi totalmente sconosciuto in italia. Fatmata era una ragazza di 23 anni originaria della Sierra Leone, è stata uccisa al confine tra Macedonia del Nord e Grecia il 19 aprile del 2023. Sparata a sangue freddo, mentre si avvicinava al confine, senza alcuna spiegazione, in situazione di calma, senza resse o intimidazioni. La sua colpa era unicamente essere lì. Igor Markov, il poliziotto macedone che l’ha sparata, è stato assolto lo scorso 11 luglio. Il giorno dell’omicidio entrava in vigore a quel confine la missione di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. In seguito si scoprirà che il poliziotto impiegato in questa missione era stato condannato per corruzione nel 2007, e reintegrato nella polizia nel 2019.
Si attendono le motivazioni del giudice per l’assoluzione, al momento, dal punto di vista legale, Fatmata pare sia stata sparata da una nuvola. Ad Abu Bakar, marito di Fatmata, lì presente con lei, la cui moglie gli è morta tra le braccia, gli venne impedito con l’inganno di seguire la moglie agonizzante, gli venne detto che non c’era posto nell’ambulanza (arrivata dopo ore), e quindi fu costretto a salire sulla volante, che però, invece che in ospedale, lo portò prima in un commissariato e poi in un centro di detenzione. Dopo otto giorni gli venne chiesto di non denunciare. In cambio gli avrebbero fatto passare il territorio nazionale senza conseguenze legali. In pratica: “noi abbiamo sparato e ucciso tua moglie, però tu ora non dici niente e in cambio noi ti concediamo di esistere e di andartene da un’altra parte”. (E questo poliziotto è stato dichiarato innocente, non ci sono parole.) Una piccola Ong di nome Second Tree, fondata tra gli altri, dall’italiano Giovanni Fontana segue da vicino la vicenda, ha contribuito affinché Abu Bakar avesse sostegno legale e psicologico mentre si districava nell’incubo kafkiano di un migrante che fa causa alle forze dell’ordine di un paese estero, del quale non parla la lingua. Finora i ragazzi di Second Tree sono riusciti a coinvolgere in questa battaglia e a far parlare pubblicamente di questa storia orribile l’eurodeputata del Pd Alessandra Moretti, che ha richiesto una interrogazione parlamentare al Parlamento Europeo, tenutasi il 24 maggio 2023 con i seguenti quesiti: cosa sta facendo la Commissione per garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti alle frontiere europee? Qual è l’evoluzione delle relazioni bilaterali con la Macedonia del Nord nell’ambito del processo di gestione della migrazione e la parità di accesso al sistema giudiziario per tutti? Entrambe le domande risultano al momento senza risposta. I ragazzi di Second Tree si ostinano a credere nelle istituzioni, a inseguire un cambiamento, a cercare di perseguire il giusto attraverso le leggi. Questo è il link utile per chiunque voglia sostenerli e cercare di dare una mano in questa battaglia immane. Abu Bakar, durante la sua audizione di fronte al giudice in Macedonia, al termine del suo agghiacciante racconto, ha detto, semplicemente: “spero che in futuro anche noi migranti e rifugiati verremo trattati come esseri umani”. Second Tree ha iniziato la battaglia per il ricorso in appello contro l’assoluzione.
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