Immigrazione
I migranti e lo stato del giornalismo in Italia
Qual è lo stato del giornalismo in Italia? Non dei migliori, si direbbe. Il mercato è asfittico, il modello di business è fallimentare, la qualità è sempre più scadente – schiacciata sulle esigenze dell’online, che pretende velocità e quantità –. E poi c’è l’enorme esercito di riserva dei freelance, costretti a elemosinare 5, 10, 15, 20 euro anche per articoli di approfondimento o reportage.
Oppure c’è un altro modo di rispondere a questa domanda. Si potrebbe assumere una prospettiva diversa e concentrarsi su un argomento di discussione. Uno a caso: i migranti. Si scoprirebbe così che esistono programmi televisivi come Dalla Vostra Parte, imperdibile appuntamento in prima serata su Rete4, capace nel miracolo di moltiplicare i pani e i pesci pur parlando sempre dello stesso tema: lo straniero cattivo che approfitta della pazienza degli italiani brava gente. Quello che è Dalla Vostra Parte l’ha espresso con chiarezza su Facebook Christian Raimo, che ha avuto il fegato di parteciparvi come ospite: “(si tratta di) una trasmissione orripilante, che si compone essenzialmente di servizi, girati con i piedi, su neri che stuprano, neri che rubano, neri che minacciano bambini, neri che occupano le case degli italiani, neri che sono troppi, neri che se ne dovrebbero andare, neri che è già tanto che li sopportiamo e non li facciamo annegare”.
Per quanto riguarda la carta stampata, si muovono nello stesso solco Il Giornale di Sallusti, Libero di Feltri, La Verità di Belpietro. Quotidiano quest’ultimo che ci ha regalato il 20 agosto in prima pagina una perla da annali della storia della stampa: “Vogliono drogarci con l’ossitocina per farci accogliere chi ci uccide”. Titolo corredato da un sommario esplicativo: “Lo studio, pubblicato su una rivista scientifica statunitense, dimostra che la somministrazione dell’ormone, unita a un po’ d’indottrinamento, toglie la diffidenza verso gli immigrati: ≤È la soluzione contro la xenofobia≥”. Il giornalismo è anche questo. Giornalismo che – con profondo senso del mestiere e professionalità deontologica – usa come sinonimi interscambiabili “immigrati” e “chi ci uccide”. C’è da aggiungere altro?
Ebbene sì, c’è da aggiungere altro. Non si tratta di titoli grossolani, di servizi girati con i piedi, di giornali e trasmissioni nostalgici degli anni ’30 del Novecento e che hanno l’esigenza di comunicare la loro “paura del nero”. Si tratta dei giornali italiani più importanti e delle voci più autorevoli del giornalismo italiano.
Repubblica dà spesso voce a un’ansia securitaria, smorzata solo dalla scrittura di Roberto Saviano e Massimo Giannini. Anche Il Fatto Quotidiano si trova in mezzo al guado. Ma pure in questo caso la dissonanza (rappresentata da Antonio Padellaro e Furio Colombo) è una deviazione appena percettibile rispetto al suono predominante generato dai corsivi di Marco Travaglio. L’ansia securitaria di Repubblica, venata di un leggero senso di colpa nei confronti degli ultimi disperati della terra, diventa legalismo duro e puro nelle parole di Marco Travaglio. Così le Ong sono tassisti del mare pronti a fare accordi con gli scafisti. E Minniti è il tutore della Legge capace di porre fine al disordine e all’illegalità vigenti nel “Mar West del Mediterraneo”. “Ne va della legalità, dell’equità”, dice Travaglio nel suo editoriale del 2 agosto. Come se legalità ed equità fossero la stessa cosa e non fossero invece, in certi casi, due pianeti distanti come la Terra e Urano. Fatto sta che le presunte intese con i criminali libici non destano lo stesso scandalo quando al posto delle Ong ci sono aziende di interesse strategico. Come scrive Enrico Piovesana – sempre su Il Fatto Quotidiano – ci sono “da una parte la complicità indiretta dell’Eni con uno dei due principali trafficanti libici di esseri umani, dall’altra la collaborazione italiana con la Guardia costiera libica che questo traffico lo gestisce invece di contrastarlo”.
Ma chi va davvero in sollucchero dinanzi alla “svolta antiumanitaria del governo italiano” (parole di Tomaso Montanari) è il Corriere della Sera. Il pensiero unico del quotidiano milanese assume le voci, di volta in volta, di Panebianco, Galli della Loggia, Mieli. Nell’edizione del 29 agosto, per esempio, ci sono ben due interventi sul tema migranti a firma di Franco Venturini e Aldo Cazzullo. Il primo parla di “svolta” nella politica europea sull’immigrazione e definisce “incoraggiante” il netto calo degli arrivi. Non sembra rilevante che il fine sia ottenuto attraverso i mezzi della limitazione delle attività delle Ong e attraverso gli accordi con le tribù libiche. Eppure Venturini sa e nota che c’è il rischio di “un aumento dei morti in mare”, che c’è la certezza “sulle atrocità che le milizie dei trafficanti infliggono ai loro ostaggi” in Libia, che c’è la possibilità che il Paese nordafricano si trasformi in “un enorme campo profughi privo di garanzie umanitarie”.
Nella sua striscia quotidiana sul Corriere Aldo Cazzullo, rispondendo ai lettori, affronta uno degli argomenti che più solletica il suo conservatorismo: ovviamente il tema migranti. Ogni occasione è buona per parlarne e per ribadire le sue idee. “La rotta del Mediterraneo va chiusa”, dice in ossequio alla sua visione di un mondo dalla logica capovolta in cui le cose e i soldi possono muoversi liberamente e gli uomini no. In cui la guerra è (forse) un motivo sufficiente per emigrare e la fame no. In cui i migranti economici possono spostarsi con più o meno facilità in base al luogo di nascita. Qualcosa sta accadendo – afferma Cazzullo – “grazie a Minniti, il miglior ministro dell’Interno dai tempi di Giuseppe Pisanu”. Poco conta che Minniti sia quello che ha permesso un vero e proprio rastrellamento di clandestini in base alla nazionalità. Poco conta che Minniti sia il padre del daspo urbano e l’apostolo del decoro. Ciò che conta è che Minniti abbia un piglio decisionista. Abituati a una classe politica che traccheggia, non riusciamo a credere che ci sia qualcuno in grado di agire con fermezza e disinvoltura. In quest’ottica, la decisione diventa giocoforza qualcosa di positivo. Al di là del suo contenuto.
Tra gli entusiasti di Minniti c’è anche Milena Gabanelli, una delle più grandi giornaliste e autrici di inchieste italiane. Pure Gabanelli, anche se più sporadicamente, scrive sul Corriere della Sera. Nei suoi articoli più recenti parla spesso della gestione del flusso dei migranti e di possibili soluzioni. Anche lei vagheggia soluzioni interne per il dramma africano, un Piano Marshall per il continente nero. Una soluzione di cui sarebbero sicuramente felici anche nigeriani, ghanesi e gambiani, se non fosse che la storia ci ha insegnato qualcosa di diverso sul tipo di rapporto tra mondo occidental-coloniale e Africa. Qualche sospetto sulla visione di Gabanelli era già lecito leggendo i suoi articoli. Sospetti non ce ne sono più dopo l’intervista concessa dalla fondatrice di Report a Radio Cusano Campus.
“Il mio sostegno al Ministro Minniti è totale”, è l’attestazione di fiducia di Milena Gabanelli. Come per Travaglio, la stella polare della giornalista è la legalità, che “come il lavoro, è neutro, non può essere di destra o di sinistra”. C’è bisogno di scomodare Antigone per ricordare che le leggi umane a volte sono odiose e fallaci?
Ma il tocco di classe Gabanelli lo riserva alla fine del suo intervento, quando se la prende con “le anime belle che parlano di frontiere aperte”. Da una parte, il decisionismo di Minniti. Dall’altra, il pensiero nobile ma vuoto delle anime belle. Locuzione che, non a caso, viene usata anche da Cazzullo quando si parla di chi si oppone al pensiero unidirezionale della destra-centro-sinistra italiana. Nel linguaggio non urlato e raffinato di Gabanelli il nemico è l’anima bella. Tradotto in termini populisti e salviniani, il nemico è il buonista. Le parole cambiano, ma il senso rimane immutato. Qual è la differenza tra “I buonisti facciano mea culpa: vanno aiutati, ma a casa loro” e “le anime belle che parlano di frontiere aperte”? È una differenza di forma. L’impressione è che i grandi giornalisti italiani siano solo dei Matteo Salvini meno rozzi. L’informazione italiana non è altro che la continuazione del discorso salviniano con altri mezzi.
Gran parte di questo mondo asseconda la logica della paura. È così che si vengono a creare “le derive populiste” che Gabanelli tanto teme. Se fossero soltanto parole, non ci sarebbe neanche bisogno di discuterne.
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