Immigrazione
Hot spot in Albania, una coperta che non copre l’assenza di politiche attive
La “campagna d’Albania” è (ri)iniziata e male ma si cerca un recupero. Eppure le imprese italiane cercano 450mila persone da inserire nelle aziende. Non mancano solo alcune competenze ma mancano ormai anche le persone e il tasso di riproduzione delle donne è il più basso non solo in Europa ma tra i paesi OCSE con giovani sfavoriti sui mercati del lavoro. Un invecchiamento della popolazione che mette a rischio il sistema pensionistico di fronte alla “bomba demografica” e 1000 euro per nato non bastano. Per questo serve un decreto flussi che dovrebbe indicare e segnalare i nostri fabbisogni di immigrati regolari che sarebbero molto utili per avviarli su mercati del lavoro in sofferenza. Abbiamo un tasso di natalità che è la metà del tasso utile alla sopravvivenza della specie. L’ Italia – allora – ha bisogno di “nuovi italiani” e presto con la governance ordinata di una migrazione regolare e di qualità evitando la “segregazione” al basso prezzo attuale per campi e pomodori o al soldo della criminalità. Ma tutto questo processo si fa con il contagocce e cercando vie traverse continuando a fare “pura propaganda ideologica”. Infatti, cominciamo con il dire che il “modello albanese” se utile lo sarà comunque per piccoli numeri non come soluzione su grande scala.
Tenere lontano “da occhi e cuore” non può essere la soluzione “finale e strutturale” per governare un processo complesso, multifattoriale e globale. L’ “effetto deterrenza” si conferma “debole” tanto che gli arrivi a Lampedusa sono costanti, ma va detto – peraltro – che chi potrà arrivare in Albania è solo chi verrà salvato in acque internazionali e non per chi sbarca a Lampedusa o su altre nostre spiagge. Va ribadito che non possiamo regolare noi “in solitudine” chi può o non può arrivare sui confini europei alla luce del diritto internazionale e umanitario. Certo serve una concertazione condivisa sia nella redistribuzione a breve e sia negli aiuti a crescere a medio termine nei paesi di provenienza, guidando e selezionando dunque anche l’accesso legale da quei paesi. Significa innanzitutto – allora – rivedere il Trattato di Dublino che impone accoglienza nei porti di approdo. Accoglienza e redistribuzione che dunque devono essere condivise e perciò “oltre” Dublino. Dopo che i magistrati del Tribunale di Roma hanno “bocciato” i 16 trasferimenti perché incompatibili con le regole europee e italiane e con i paesi di destinazione verso i quali andrebbero rispediti perché ritenuti “non affidabili” dal punto di vista della sicurezza e affidabilità/certezza dal lato dei diritti, anche sulla base di “risoluzioni e leggi europee” che hanno distinto i paesi in base al loro grado di affidabilità (Corte di Giustizia Europea). Tra i primi 21 paesi c’era anche l’Egitto e che è rimasto tra i 19 ora ri-selezionati con un decreto del Governo. Nel frattempo a Lampedusa arrivavano una quarantina di barche con sbarchi di circa 1700 persone segnalando che il sistema di accoglienza deve essere un’altro e che non può realizzarsi una selezione in alto mare sulle navi italiane, ma prima vanno salvati, accolti e poi riconosciuti trovando i canali e le modalità di accoglienza e di redistribuzione in luoghi di protezione adatti e sicuri. Una redistribuzione che dovrebbe avvenire entro i confini europei e non ” fuori” dall’UE. Forse incauta – o mal interpretata – allora la dichiarazione di U. Von der Leyen di qualche giorno fa che offriva la propria “attenzione” all’iniziativa meloniana in Albania.
E ora? Innanzitutto, nonostante la “superficialita’” dell’agire d’istinto si impari dagli errori per comprendere che le migrazioni sono un fenomeno serissimo e complesso che va governato con attenzione e non si presta né a troppo facili soluzioni né ad usi “propagandistici” se non con rischi elevati di boomerang comunicativi e fallimenti umanitari. Non deve succedere che le persone vengano imbarcate, trasferite, sbarcate e reimbarcate per essere ritrasferite in Italia per motivi umanitari e di sicurezza in 24 ore. Se c’è uno “scontro” tra governo e magistrati si spera vinca comunque lo Stato di Diritto e si richiede cautela al Governo per la “gaffe globale” che si è materializzata in Albania e che si prova a “superare” con un Decreto Legge per superare l’impasse sui paesi sicuri con un nuovo elenco di 19 paesi di rimpatrio che sblocchi la situazione, ma che non deve entrare in conflitto con la legislazione europea che è sovraordinata. Dovendo comunque evitare processi di delegittimazione della magistratura che farebbe molto male alla democrazia e all’immagine dell’Italia perché le leggi si interpretano prima di essere applicate come funzione diretta della fisiologia dei sistemi democratici e anatomia della divisione dei poteri. Provando a fuoriuscire dal conflitto tra “governamentalisti” (dominio del Governo in carica e della maggioranza eletta) e “garantisti” ( dominio delle regole e della divisione dei poteri). Tenendo comunque conto che la nostra Costituzione è “parlametarista” e che difende con equilibrio e lungimiranza la logica “checks and balances” e la divisione dei poteri e che se si volesse cambiare questo assetto si dovrebbe cambiare la Costituzione e farlo con le regole (previste) della stessa e della democrazia evitando esondazioni di “dominio della maggioranza” i cui esiti disastrosi abbiamo già conosciuto nella metà del ‘900.
Non dimenticando mai che una governance ordinata, democratica e lungimirante delle migrazioni è essenziale per il futuro dell’umanità come lo è sempre stato in passato per le radici rizomatiche e ibridanti dell’umano migrante (e non) che costruisce reti sopra e sotto il suolo rigenerativo della sua storia per alimentare una sopravvivenza giusta e condivisa della specie nell’incontro virtuoso delle diversità, di salvaguardia di socio e biodiversità dato che quando minacciate i migranti sono i primi a pagarne le conseguenze. E’ infatti noto che il clima cambiando destruttura i tempi delle migrazioni mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie portandole all’estinzione come continua ad avvenire e compresi i rischi per l’uomo. Infatti, nel concetto di One Health ritroviamo che un impoverimento dell’ambiente minaccia la nostra salute e che abbiamo visto con le pandemie recenti di Covid, dove abbiamo sperimentato per l’ennesima volta come la migrazione delle specie vegetali e animali ha da una parte diffuso le malattie pandemiche. Dall’altra tuttavia, la migrazione di animali o insetti (ma non delle persone come erroneamente si sostiene su vari canali social e media di massa) ci protegge dalle malattie rimescolando i geni e rinvigorendo le popolazioni biologiche. La gestione della diversità peraltro conduce a creatività e innovazione condivise e oltre il conflitto che è la nostra mission umana nella convivenza dato che con questo la specie dell’umano assieme agli altri viventi (come piante e animali) cambia se stessa diventando adattativa e resiliente.
Non dimentichiamo due dati fondamentali che – da una parte – entro il 2050 oltre 200 milioni di persone lasceranno i loro luoghi di nascita e/o di vita per necessità e costretti da innalzamento degli oceani, mancanza d’acqua, siccità carestie e deforestazione. Mentre, dall’altra parte, alcuni studi ci segnalano che se abbattessimo frontiere e confini che molti si sforzano di proteggere e difendere a tutti i costi avremmo una crescita del PIL mondiale del 150% in pochi anni. Ecco perché dobbiamo abbandonare parole di odio e discriminatorie a favore di un linguaggio accogliente, di pace e di speranza, perché se non possiamo “accogliere tutti” certo possiamo e dobbiamo saper “accogliere meglio” per gli effetti positivi sul benessere di tutti (fisico, economico e sociale oltre che emotivo). Il lato propagandistico del “Piano Albania” – costoso e giuridicamente insostenibile e dunque (forse) irrealizzabile – è segnaletico di una incapacità a proporre un disegno di sviluppo in una visione di lungo termine e generata dai problemi storici e atavici dell’Italia che l’hanno portata al peso enorme del suo debito pubblico attuale che ne frena le potenzialità di crescita da 30-40 anni limitando produttività e riforme strutturali. Si può anche cambiare la Costituzione – se si volesse e se in modo condiviso per le maggioranze “forti” richieste – ma questo richiederebbe tempi lunghi e con esiti improbabili per quelle messe in campo (dal Premierato, alla Giustizia, all’Autonomia differenziata), tempi che forse non abbiamo e perché le priorità sono altre. Infatti, tra ” il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, e intanto – allora servirebbe più realisticamente – una Riforma del Testo Unico della Immigrazione partendo da almeno tre obiettivi di fondo. In primo luogo, cambiare sistema e modalità d’ingresso per lavoro aprendo a nuovi canali diversificati e flessibili sia per incontrare le domande produttive di un paese manifatturiero e di servizi (se vogliamo che rimanga tale ancora per molto come va ripetendo da tempo anche Confindustria) e sia per evitare l’”aggancio” a trafficanti di esseri umani e rischi per la loro vita. In secondo luogo, favorire la regolarizzazione (anche con permessi di lavoro temporanei e su base individuale) e la partecipazione delle persone residenti in Italia, presenti da tempo ma rimaste senza documenti evitando lo scivolamento verso irregolarità e criminalità, contrastando sfruttamento e marginalità sociale, proponendo programmi specifici per il lavoro delle donne e servizi adeguati alla conciliazione familiare di un lavoro capacitato in un contesto di sicurezza.
In terzo luogo, dotarsi di politiche formative per alfabetizzare alla nostra lingua e alle nostre leggi per favorire un equilibrato inserimento educativo e lavorativo oltre che civico, capaci di ridurre i conflitti culturali e sociali verso una pacifica convivenza delle diversità a beneficio della valorizzazione dei loro potenziali di sviluppo. Una linea di intervento e azione che riuscirebbe finalmente a trasformare un processo migratorio da fenomeno straordinario da gestire nell’emergenza e con modalità contingenti verso una visione più strutturata e solida come peraltro avvenuto (e avviene) in Francia, in Germania o in Olanda da decenni o come avvenuto in USA o in Australia da almeno un secolo. Riaccoppiando anche immigrazione e migrazione visti i 120mila giovani che regaliamo ogni anno ai nostri partner in UE e USA. Riusciremo, ne avremo il coraggio e la forza oltre che l’ispirazione nella riscoperta del nostro senso spirituale di una pacifica e virtuosa convivenza umana e di tutti i viventi?
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