Immigrazione

Ho incontrato Caròla Rackete e non ha mai detto “Io”

22 Novembre 2019

Caròla Rackete, mercoledì sera, alla Fondazione Feltrinelli, invitata dall’eurodeputato Pierfrancesco Majorino con rete People e Casa Comune, parla davanti a circa duecento volontari e rappresentanti della società civile. A fare in qualche modo gli onori di casa è Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch Italia. C’era di mezzo anche la presentazione del libro racketiano “Il mondo che vogliamo” (Garzanti).

Un incontro densissimo, importante. Con alcune caratteristiche che non esito a definire straordinarie – almeno per come siamo abituati noi, poco importa se di sinistra o di destra; in questo siamo davvero simili.

Sorveglianza strettissima, assoluta riservatezza sull’evento. Digos e agenti numerosi e puntigliosissimi nelle bonifiche e nei controlli. Un po’ aria di tensione. Gira voce che l’ambasciata tedesca abbia chiesto un’attenzione alta. Insomma, riflettori puntati su questa donna con il viso da bambina e le idee ben chiare in testa sul proprio impegno contro la cosiddetta emergenza climatica (“emergenza” di cui la scienza parla da decenni) e per la difesa dei diritti umani.

Quasi due ore di incontro. Bene, praticamente neppure una parola sui giorni della vergogna (nostra) e dell’eroismo (suo e del team di SeaWatch3). Credo non abbia mai nominato Matteo Salvini né il governo italiano. Non è di sé che vuole parlare. Né tantomeno del libro – solamente qualche battuta finale –, i cui proventi andranno fino all’ultimo euro al terzo settore. Ho fatto particolare attenzione perché il suo eloquio mi aveva colpito fin dal principio: non ha mai usato il pronome io, mai; ha sempre parlato di noi, sempre. Quando il vero padrone di casa, Carlo Feltrinelli, le ha chiesto se reputava l’Italia un paese davvero così pericoloso dal punto di vista della democrazia e della propria sicurezza al punto da mettere in piedi quel po’ po’ di vigilanza, Caròla ha visibilmente sbuffato – proprio sbuffato, gonfiando le guance e alzando gli occhi al cielo. Ha risposto che non si tratta del rischio personale, che per altro un pochino esiste, quanto del diffondersi impressionante dell’hate speech. «Poche settimane fa, in Germania, dalla rete si è passati a cercare la strage in una sinagoga, tentativo finito con l’uccisione di due persone in un negozio di kebab lì accanto». Lei voleva parlare di ambiente e di migrazioni – fenomeni inscindibili uno dall’altro. E lo ha fatto, senza alcun protagonismo, con voce decisa e viso da bambina. Chapeau capitano!

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