Immigrazione
Gli italiani sono razzisti?
Gli italiani sono razzisti? A scorrere velocemente le cronache delle ultime settimane sembrerebbe di sì.
La sollevazione dei sindaci di trenta comuni dei Nebrodi, nel Messinese, contro l’arrivo dei migranti disposto dalla locale Prefettura testimonia di come il sentimento del rifiuto dell’altro sia prevalente rispetto a quello dell’accoglienza.
A Reggio Calabria, non più tardi di un mese fa, un improvvisato comitato civico ha indetto una raccolta di firme per protestare contro la decisione del Comune e della Prefettura di dar vita a un centro di accoglienza per migranti in un quartiere del centro. Mentre centinaia di commenti razzisti hanno invaso i social network a corredo di una foto di un ragazzino di colore ripreso nudo su una spiaggia cittadina.
A soffiare sul fuoco di un sentimento sempre più diffuso sono le parole degli esponenti politici. A partire da Matteo Salvini che ha espresso il suo pieno appoggio ai sindaci siciliani, per non parlare della posizione ambigua del Movimento 5 Stelle o dello scivolone di Matteo Renzi con l’ormai celebre “Aiutiamoli a casa loro”.
Il tema immigrazione – e i suoi risvolti, inclusa la percezione che ne hanno i cittadini – è troppo complesso per essere liquidato in poche battute. È evidente che sia necessario superare gli accordi di Dublino per i quali il migrante può chiedere il diritto d’asilo solo nel Paese in cui sbarca. Lo ha dichiarato recentemente anche il Commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, che non solo ha sottolineato gli enormi sforzi compiuti dall’Italia, ma ha affermato senza mezzi termini che “non è sostenibile che solo una manciata di paesi europei abbia l’intero peso della sfida migratoria sulle sue spalle”: vale a dire Italia, Grecia e Spagna. Allo stesso modo è necessario che siano coinvolti tutti gli Stati membri dell’Unione per la gestione dei flussi e l’integrazione dei migranti.
Ma accoglienza e integrazione non sono elementi che possano essere messi in discussione: in gioco ci sono i valori comuni su cui si basa l’idea stessa di civiltà europea. E, mentre si cercano le soluzioni più efficaci e umane per gestire l’emergenza, bisogna lavorare alla rimozione delle cause che provocano migrazioni di massa di questo spessore. Cosa non semplice vista la temperie culturale che sta generando un’ondata di razzismo senza precedenti.
Temperie culturale a cui non ha retto il timido governo Gentiloni che ha indietreggiato spaventosamente sullo “ius soli”: la legge è stata rimandata a data da destinarsi, ovvero è stata messa su un binario morto.
Il ministro Alfano non ha nascosto la propria soddisfazione, affermando che si tratta di “un successo della ragionevolezza e del buon senso perché farlo adesso, questo provvedimento, nel pieno degli sbarchi sarebbe stato contro ogni logica”. Non si capisce, però, quale sia la logica a cui fa riferimento il ministro, quale la relazione esistente tra gli sbarchi dei migranti sul nostro territorio e la concessione di diritti di cittadinanza a chi in Italia è nato, vive, frequenta le nostre scuole e i nostri figli.
A togliere qualsiasi alibi a chi alimenta la paura del migrante e lo spettro dell’invasione ci ha pensato Fabrizio Gatti che sul numero de L’Espresso in edicola ha riportato, dati alla mano, la questione sui giusti binari del raziocinio e del buonsenso. Partendo dai dati Istat del 2016 Gatti ha dimostrato che l’Italia ha un saldo demografico passivo di meno 296 mila persone in due anni. Mentre gli sbarchi, sempre negli ultimi due anni, sono stati di 334 mila persone. Il che significa che, se anche restassero sul territorio nazionale, i nuovi residenti sarebbero solo 38 mila, ovvero 19 mila all’anno: lo 0,03 per cento della popolazione nazionale. L’invasione dei migranti paventata da Salvini & Co, in realtà, non esiste.
Esiste però il razzismo, sempre meno latente, degli italiani.
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