Immigrazione

Giovanni Toti e quel “bestie straniere”: la questione è il capitalismo

1 Giugno 2017
«Bravo Presidente! Ma quando rimpatriamo quelle bestie straniere?!!», «Appena andiamo al governo. Purtroppo la regione non può far nulla in questo campo. Dipende tutto dal ministero degli interni a Roma». Il botta e risposta, avvenuto su Facebook, è tra un utente e Giovanni Toti, Governatore della Puglia.
Ma facciamo un passo indietro.
Giovanni Toti (già direttore del TG4) scrive un post su Facebook il 29 maggio (ora rimosso) riguardo la movida di Genova, un utente risponde: «Bravo Presidente! Ma quando rimpatriamo quelle bestie straniere?!!»; «Appena andiamo al governo. Purtroppo la regione non può far nulla in questo campo. Dipende tutto dal ministero degli interni a Roma»Si scatena il putiferio e il dibattito politico che conta, abituato a rimanere superficiale e a non andare alla radice delle questioni, si ferma a frasi di circostanza spacciate per espressioni di rottura col sistema (o addirittura considerate rivoluzionarie) avendo ben cura di non toccare l’argomento principale della critica da porre al Governatore. Tanto per dare un’idea, Raffaella Paita (Capogruppo PD in Regione) scrive: «Quando le dita sono più veloci dei pensieri e tradiscono la vera natura di quei pensieri. La doppiezza di Toti. Sabato a omaggiare il Papa e oggi questo bel messaggio cristiano. Senza pudore», pubblicando lo screenshot del commento di Giovanni Toti.
La questione, però, si inquadra meglio a partire dall’intervista rilasciata dal nostro al Fatto Quotidiano realizzata da Ferruccio Sansa. «Un po’ forzata l’espressione “bestie straniere”, no?», chiede Sansa. Toti, imperterrito, risponde e incrementa: «Ho fatto il giornalista. Sappiamo come si fa un titolo. Come si usano le parole. Per me bestia è chi commette reati.. Ci sono anche bestie italiane ma quelle mica possiamo mandarle a casa, dobbiamo tenercele». Sansa, non pago, rincara: «Applicando un sillogismo, anche Silvio Berlusconi, che è stato condannato in Cassazione, sarebbe una bestia?». Toti, geniale (si fa per dire, ovviamente), risponde «No. La gente, quella che ha paura, che vive nell’insicurezza non ce l’ha coi reati dei colletti bianchi, con la corruzione, l’evasionece l’ha con le violenze del branco, gli stupri, gli scippi, i furti in casa».
Non è, dunque, tanto il cosiddetto buonismo evocato da una parte del Parlamento o da qualche attivista di associazioni umanitarie, quanto per quel che ha affermato Toti in senso stretto.
Così come, allo stesso modo, il lepenismo o il salvinismo, evocati da esponenti del Partito Democratico o di Sinistra Italiana, non serve a nulla se non a continuare a non inquadrare il problema reale e a prendersi un pugno di likes o di retweets sui social, a seconda di quale si usa maggiormente.
I colletti bianchi e i furti di evasione non sono percepiti come dannosi per la collettività e quest’ultima non ne ha paura perché non lede nell’immediato la sua sfera privata, non come l’immigrato o il ladro (tratti che spesso coincidono nella vulgata politica quotidiana) che “ruba a casa tua”, “ti frega il lavoro” e “stupra le tue figlie”.
Entrambe le questioni, corruzione e immigrazione, però, sono un prodotto del capitalismo. L’uno è intrinseco alla società capitalista, l’altro è un prodotto dell’imperialismo e spesso, anche a sinistra, si usa il nome migranti, ma chi migra sono le antilopi e altri animali, non gli esseri umani.Esiste l’immigrazione «in tutta la sua drammaticità», non i migranti. Gli esseri umani emigrano perché nei loro paesi c’è la guerra e muoiono di fame e queste due conseguenze sono proprie del capitalismo e della sua ultima fase (Lenin docet), ovvero, dell’imperialismo.

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