Immigrazione
Elogio del conflitto politico (o: di cosa sta succedendo ai comizi di Salvini)
A Mondragone è successa una cosa talmente naturale in democrazia che sarebbe stato preoccupante se non fosse avvenuta. A un leader di estrema destra abituato a macinare consenso incitando all’odio per sfruttare le nostre paure si è opposta una fazione di cittadini che ha provato a impedirgli di parlare contestandolo. Sta succedendo sempre più spesso e succederà ancora. Se questo fatto di cronaca scandalizza qualcuno a sinistra al punto da spingere alla condanna, probabilmente è perché abbiamo rimosso l’importanza del conflitto politico in democrazia e abbiamo bisogno allora di fare un passo indietro per recuperarla.
Matteo Salvini è un politico di estrema destra che ha rifondato il nazionalismo italiano restituendolo alle sue origini populiste. Su questi presupposti, Salvini è diventato il leader del centro-destra non per mancanza di concorrenti, ma perché la sua narrazione politica riflette quella che oggi è la più vasta area di consenso della destra italiana. Attenzione: Salvini non parla semplicemente a quel mondo, Salvini è l’espressione di quel mondo, rappresenta nel senso pieno del termine fenomeni della società, non solo italiana, che esisterebbero comunque, indipendentemente da lui e dalla Lega. E che però hanno bisogno di una narrazione unificante per percepirsi come popolo in senso politico e quindi andare alle urne per eleggere un progetto politico.
Questo processo, che è sempre di formazione di identità politica e consenso elettorale insieme, non è necessariamente di destra o di sinistra, ma attraversa oggi in maniera trasversale soprattutto le destre, in diverse parti del mondo. Può realizzarsi con molteplici espedienti, ma i suoi scopi sociali sono sempre gli stessi. In alcuni Paesi, come in Francia, il nazionalismo si è fatto populista per convenienza, per differenziarsi da una classe partitica quasi esclusivamente appannaggio delle élites. In Italia invece è il populismo (separatista) che si è fatto nazionalista per necessità, per differenziarsi da un altro populismo già esistente e forte in consensi ma privo di identità politica, quello del Movimento 5 stelle.
Come si costruisce una proposta populista e nazionalista? In termini di strutturazione del consenso, mettendo insieme lo scontento di ogni forma e ragione in contrapposizione a un nemico esterno. In termini di formazione dell’identità, annullando tutte le fratture realmente esistenti nella società tranne una: quella che produrrà il nemico esterno. Quando l’obiettivo era abbattere la democrazia, il nemico era la plutocrazia. Ora che non si può più abbattere la democrazia ma si può almeno ambire a una dittatura di una maggioranza, il nemico è l’unico che può mettere insieme la più larga fetta di cittadini: i non-cittadini. Non gli sfruttatori, i mafiosi, i criminali o i corrotti, che possono occasionalmente diventare i nemici quando coincidono o collaborano con i non-cittadini, ma quelli che non sono nati qui, non parlano la lingua, non professano la religione, non rispecchiano la nostra identità: gli stranieri.
A Mondragone doveva andare in scena l’ennesima rappresentazione plastica di questa operazione di consolidamento dell’identità e del consenso. Il contesto era quello ideale. Mondragone è esattamente uno di quei posti dove esistono e si intersecano tutte le profonde fratture che segnano la società italiana degli anni Venti del Duemila. La frattura sociale tra gli occupati e l’alta percentuale di inoccupati. La frattura territoriale tra nord e sud. La frattura generazionale tra genitori e figli emigranti. La frattura civile tra la preponderante maggioranza di cittadini onesti e la criminalità. E la frattura identitaria tra la popolazione locale e le diverse comunità di stranieri che vivono e lavorano in quelle zone. Su tutte queste fratture è piombata aggravandole la scure della pandemia, con effetti sociali devastanti per un’economia sorretta dai lavori stagionali legati all’agricoltura e al turismo costiero.
Salvini ha scelto di tenere un comizio in piazza a Mondragone non per proporre una soluzione a tutte queste fratture, ma per negarle e addossare le colpe a una sola: quella che dipende dalla presenza di cittadini stranieri. Peggio: quando ha accennato alle altre fratture che minano quella comunità, l’ha fatto solo per associare la criminalità e la disoccupazione alla presenza di cittadini stranieri. Peraltro creando un falso storico: quelle sono le terre che hanno conosciuto l’omicidio di Jerry Masslo, bracciante sudafricano ucciso in un tentativo di rapina di criminali locali ai danni dei lavoratori stranieri, e che hanno sofferto la strage di Castelvolturno, in cui morirono sei cittadini africani sotto i colpi dei mitra dei Casalesi.
La fortissima contestazione che ha impedito a Salvini di concludere il comizio (e che si verificherà ancora) non può essere derubricata a reazione pilotata e scomposta. Quella che finalmente si inizia a intravedere nelle piazze è la riemersione delle altre fratture, il tentativo, meglio ancora se programmatico, di manifestare il conflitto politico, di renderlo evidente per smascherare l’inganno della destra populista e spostare il dibattito su temi reali.
Dinanzi a tutto questo, cosa dovrebbe fare chi propone un modello di politica e società alternativo a quello della destra? Correre a condannare chi nelle piazze vuole togliere la parola al suo leader? L’Italia ha leggi sull’ordine pubblico e sulla libertà d’espressione, e una magistratura che può farle rispettare se mai sarà necessario. Per una forza politica, invece, il tema imposto dalle sempre più forti contestazioni a Salvini è un altro. Nel nostro Paese esistono fratture sociali profonde, che la crisi economica ha cronicizzato e la pandemia ha violentemente allargato. Se vogliamo impedire che queste fratture minino alla base la convivenza civile, dobbiamo fare in modo che si esprimano nel conflitto politico, cioè in un confronto anche aspro e acceso tra visioni del mondo alternative che non necessariamente devono tendere al compromesso. Quando questo non succede, il conflitto politico mancato diventa conflitto sociale: esattamente ciò che vuole chi nega la complessità delle fratture per aggregare consensi contro un nemico apparente.
La mia generazione è cresciuta nel mito del superamento del conflitto politico, nell’ideale sbagliato che ogni idea abbia uguale dignità politica. Non è così, non lo è di sicuro per tutte le idee che negano alla radice le fondamenta democratiche della Costituzione repubblicana. Il che non significa chiedere la censura dell’avversario. Ma proprio perché non può essere un giudice a decretare chi ha diritto di parola e chi no, abbiamo più che mai bisogno che il conflitto politico torni a nutrire il dibattito democratico. Una generazione che fugge il conflitto può produrre movimenti civici, come è avvenuto negli ultimi anni, ma non partorirà mai una visione di mondo e una classe dirigente in grado di realizzarla. Dobbiamo evitarlo.
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