Immigrazione
E se Gorino anziché di passato parlasse del nostro possibile futuro?
La scena di Gorino è interessante perché parla di possibili scenari di futuro. Sia per la dinamica che priopone che per l’immaginario che veicola.
Dinamica. L’’autorità pubblica decide di destinare un certo numero di persone a Gorino. Ovvero propone un percorso di accoglienza. Fin qui si potrebbe dire poco da eccepire.
Poi che fa? Di fronte alla reazione arretra. E dunque cambia la propria decisione.
La popolazione di Gorino si schiera contro la decisione di accogliere. E’ sicuramente significativo, ma appartiene a una retorica precisa: io rifiuto, poi vediamo che accade.
In questo “vediamo che accade” ci sono molte figure possibili: il mio avversario contratta, rifiuta di misurarsi con me, cambia idea annullando la propria decisione. In ogni caso io con il mio gesto di opposizione ho vinto. Che cosa ho vinto? La battaglia in cui dichiaro che “io conto”. “Non si può decidere senza di me”.
Dunque è finita l’accoglienza. Il “bravo italiano” scompare e rimane sul campo “il mito del bravo italiano”, ovvero la retorica di chi sostiene che non conta, che subisce, che i poteri forti decidono della e sulla sua vita.
Se stiamo ai fatti, ciò che è avvenuto è esattamente l’opposto:, ma non importa. Nel mito del bravo italiano la narrazione dice che anche quando l’avversario recede ciò non accade perché si vince, ma perché la forza è stata in grado di battere la perfidia, ma che ci riproverà, la perfidia, e dunque si tratta di non molare, non lasciarsi cogliere impreparati.
Per impedire di riprovarci occorre alzare il tasso di replica. E dunque a scavare nell’immaginarioo che si aggira intiorno a Gorino e, forse, destinati a non fermarsi lì.
Perché accade? Questa domanda è rimasta sostanzialmente inevasa in questi giorni e se la risolvessimo rinviando al “mito del bravo italiano” l’esisto sarebbe non cogliere molte dinamiche sottese nei fatti di Gorino. E qui entra in gioco lo scenario possibile di domani e l’immaginario di cui è portatore.
Una si chiama emergenza lavoro in Italia e rischia di modificare strutturalmente molte cose. La prima, e forse in questi giorni e nei prossimi la più rilevante: la scena di Gorino è destinata a ripetersi, sempre più frequentemente soprattutto in quelle aree a bassa qualità di lavoro, con un forte tasso di inoccupazione, comunque a bassa qualifica. E’ ciò che emerge da una ricerca dal titolo European Migration and theJob Market a cura dei due economisti Stefano Collignon e Piero Esposito e su cui riflette Enrico Pedemonte su l’ultimo numero di “Pagina 99”.
Non si tratta di giustificarlo, ma di saperlo, perché sorprendersi non è ammesso.
Un dato è rilevante: il tasso di risentimento verso gli immigrati è in crescita. Non lo è genericamente, lo è specificamente: cresce più nel Sud di Europa che nel Nord, è più forte nelle aree in cui la domanda di lavoro e l’offerta di lavoro sono a bassa qualifica piuttosto che nelle aree in cui è più alta la qualità dell’offerta e della domanda.
La situazione è destinata ad acuirsi in paesi come Portogallo e Grecia , mentre noi qui in Italia siamo, per ora, fuori da questa possibilità. Ma a patto di assomigliare o di tendere ad assomigliare ai paesi del Nord Europa. Ovvero: far crescere le competenze professionali dei cittadini.
Non è questo tuttavia il nostro trend. Questo farà aumentare il risentimento e questo risentimento avrà aree di radicamento nelle periferie, nelle aree ex industriali, seguendo un processo che per molti aspetti ha caratterizzato il processo che in Francia ha contrassegnato l’espansione di consensi al Front National in negli ultimi venti anni, andando parallelo a una lunga crisi sociale, cultura e industriale che inizia a delinearsi a partire dal 1980
Gorino da questo punto di vista annuncia una nuova condizione rispetto alla quale gridare al razzismo serve a ben poco. Comunque non modifica la realtà, né inverte una tendenza possibile.
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