Geopolitica

Destra, sinistra e centro: i nemici tedeschi di Angela Merkel

31 Luglio 2016

Dopo la terribile settimana tedesca, Angela Merkel ha ripetuto: “Wir schaffen das” – “Ce la facciamo”. Se a qualcuno è piaciuta la sua calma, secondo altri la Cancelliera e la sua politica dell’immigrazione sono sempre più un problema per la Germania. Dal dissenso interno della CSU alla destra radicale, passando per la sinistra e i Verdi, le critiche rivolte al Governo sono espressione di specifiche questioni sociali o geopolitiche.

Giovedì scorso, Angela Merkel si è presentata davanti alla stampa, interrompendo la propria vacanza estiva. Erano passati quattro giorni dall’attacco di Ansbach, in Baviera, dove un richiedente asilo siriano si è fatto esplodere in aria a pochi passi da un concerto. L’attentato suicida aveva seguito di 48 ore la folle sparatoria di Monaco, mentre, il lunedì precedente, un rifugiato diciassettenne aveva gravemente ferito i passeggeri di un treno presso Würzburg, sempre in Baviera.
L’assalto al centro commerciale Olympia di Monaco si è rivelato avere motivazioni completamente estranee al terrorismo di matrice islamica, ma i casi di Würzburg e Ansbach hanno messo direttamente sotto accusa Merkel e le sue politiche di accoglienza di migranti e rifugiati. In entrambe le circostanze, infatti, gli assalitori erano richiedenti asilo in Germania, molto probabilmente arrivati nel paese con la grande ondata di migranti del 2015. Se per il primo attacco sul treno la polizia ha parlato di un crimine soltanto ispirato dalla propaganda dell’ISIS, per il kamikaze di Ansbach, invece, sembra esserci stato un legame più solido con la strategia dello Stato Islamico. A quanto pare, infatti, in questo caso ci si troverebbe di fronte alla sempre più ricorrente situazione di una personalità già labile e facilmente assorbibile dalle manovre paramilitari dell’ISIS e dei suoi finanziatori.

LA FREDDEZZA STRATEGICA DELLA CANCELLIERA

Al contrario del suo collega francese Hollande, Angela Merkel non si è presentata in nessuno dei luoghi degli attacchi, scegliendo di rimandare qualsiasi dichiarazione a un’unica conferenza stampa.
Una volta arrivata di fronte ai giornalisti, più attesa che mai, Frau Merkel ha dichiarato che gli attentatori avevano tradito sia il paese che li ha aiutati sia i tantissimi altri profughi arrivati in Germania.
Dal punto di vista pratico, la Cancelliera ha poi presentato un piano d’azione in 9 punti, che prevede, tra l’altro, un rafforzamento del controllo delle comunicazioni digitali, un aumento di personale tra gli agenti di polizia, sistemi di prevenzione della radicalizzazione tra i rifugiati e una ridefinizione delle procedure di negazione dell’asilo. A questi provvedimenti si aggiungerebbe anche un maggiore ruolo della Bundeswehr (l’esercito tedesco) in caso di emergenza terrorismo. A parte quest’ultima circostanza, il piano di Merkel non ha comunque inserito elementi nuovi, andando sostanzialmente a rafforzare o reindirizzare attività già in corso.
Tuttavia, tanti osservatori hanno lodato l’esibizione di autocontrollo di Angela Merkel, in particolare nel suo dichiarare di non voler far “guidare la politica dalla paura” e nel rifiutare le dinamiche di spaccatura sociale auspicate dalle strategie dei gruppi terroristici.
Nonostante la fermezza dimostrata, è però sull’indeterminatezza delle sue risposte che si stanno concentrando le critiche più severe, provenienti dal fronte dei nemici della premier tedesca. Un fronte sempre più trasversale e assolutamente non compatto, al momento incapace di proporre alternative chiare alla leadership di Merkel. Un fronte eterogeneo che, comunque, è in grado di erodere la stabilità del Governo, in un periodo storico in cui le dinamiche politiche sono sempre più direttamente influenzate dal corso immediato degli eventi.

LA BAVIERA CONTRO LA MODERAZIONE DI ANGELA

Tra tutti, uno degli avversari più difficili per la Cancelliera è probabilmente la CSU, il sempre più scontento alleato bavarese del suo stesso partito. Gli attacchi che hanno scioccato la Germania hanno avuto tutti luogo in Baviera. Ed è stato il Primo Ministro dello Stato Libero di Baviera, Horst Seehofer, a dichiarare apertamente: “con tutta la buona volontà, non riesco a far mio il ‘Ce la facciamo’ della Cancelliera” visto che questa “ci ha sottoposti a considerevoli rischi per la nostra sicurezza”.
La CSU, che governa la Baviera ininterrottamente dal 1957, non è solo l’espressione locale dei cristiano-democratici ma, da sempre, una delle sue correnti più conservatrici, oltre che uno dei gruppi dal peso elettorale più rilevante. Fin dall’inizio della Wilkommenspolitik (“politica del benvenuto”) del Governo Merkel, è tra le fila dei bavaresi che è serpeggiato il malcontento più diffuso.
Oggi, dopo che il Land della Germania meridionale è stato colpito dalla peggior settimana della sua storia recente, la CSU si sente in dovere di prendere apertamente posizione sui temi della sicurezza, andando a farsi portavoce della paura e del risentimento del proprio elettorato. Altrettanto chiara è stata la posizione di Markus Söder, Ministro delle Finanze bavarese, che ha dichiarato che sul tema dell’accoglienza di rifugiati e migranti “l’ingenuità è decisamente la cosa più sbagliata, mentre il primo principio dovrebbe essere quello della sicurezza”.
Da parte sua, Merkel aveva già risposto di non aver mai detto che il “Ce la facciamo” sarebbe stata “una cosa facile”. Una risposta che, com’è facile immaginare, non sembra accontentare i conservatori bavaresi.

LA NUOVA DESTRA POPULISTA: “MERKEL A CASA”

Se la CSU ha soprattutto criticato le fasi di accoglienza in cui, per far fronte all’emergenza, numerosi migranti sono entrati senza essere registrati, per la nuova destra populista tedesca le cose sono molto più semplici: le frontiere vanno completamente chiuse.
Poco dopo gli attacchi bavaresi la destra euroscettica AfD (Alternative für Deutschland) ha comunicato, con un certo trionfalismo, che in pochi giorni il numero degli iscritti al partito sarebbe cresciuto del 4%. Secondo il sondaggio settimanale dell’Istituto Emnid, il partito della nuova destra tedesca si attesterebbe attualmente sul 12% di voti su scala nazionale. Poche settimane fa, in piena bufera Brexit, l’AfD era calata nei sondaggi. Il prepotente ritorno sulla scena del dibattito dimostra che, in Germania come nel resto d’Europa, è il tema dell’immigrazione la vera pietra angolare della crisi dei partiti socialdemocratici e liberali.
Quando l’immigrazione si compenetra con gli allarmi per la sicurezza, le nuove destre avanzano su un’onda emotiva sempre più istintiva e socialmente disseminata. Lo stesso portavoce dell’AfD, Jörg Meuthen, ha dichiarato alla Bild: “Più drammaticamente si sviluppa la crisi del terrore e dei rifugiati, più chiaro diventa che Frau Merkel non ha nessuna soluzione in merito. Di conseguenza, sempre più persone si rivolgono a noi”.
Per quanto Angela Merkel e le stesse istituzioni tedesche possano dare prova di freddezza e competenza nella gestione delle emergenze, questo non sembra scardinare l’idea per cui la politica di accoglienza sia la causa degli episodi violenti degli ultimi giorni. Secondo un sondaggio dell’istituto YouGov, il 52% dei tedeschi ritiene che gli attentati siano una conseguenza diretta delle politiche sbagliate di Merkel in tema di accoglienza e immigrazione. Se una buona parte di questi tedeschi, seppur nello scetticismo, sembra ancora disposta a dare credito al Governo, magari sperando in una maggiore influenza dalla destra cristiano-democratica, c’è chi sembra sempre più convinto che la soluzione possa arrivare dall’AfD.
Non solo, ad Alternative für Deutschland si aggiunge tutta una galassia di destra patriottica e nazionalista, che continua a manifestare nelle piazze, con più o meno successo, chiedendo le dimissioni di Merkel. Una realtà abbastanza oscura, che non conta solo movimenti come Pegida, ma diversi gruppi e gruppuscoli, tra cui non mancano quelli che puntano alla penetrazione sociale di un nuovo tipo di “neonazisti senza svastica”.

LA SINISTRA ERETICA CONTRO L’IMMIGRAZIONE INCONTROLLATA

La Linke, la realtà più a sinistra nel Parlamento tedesco, si è sostanzialmente schierata contro provvedimenti che vadano a diminuire la possibilità di trovare asilo o immigrare in Germania. Purtroppo per la maggioranza del partito, però, sono state ancora una volta le posizioni di una delle capogruppo al Bundestag, Sahra Wagenknecht, ad aver ricevuto la maggior attenzione mediatica.
Ancora prima di ascoltare la conferenza stampa di Merkel, Wagenknecht ha nuovamente criticato le metodologie della politica dell’accoglienza del Governo tedesco, ribadendo quanto già detto alcuni mesi fa, vale a dire che sarebbe strutturalmente necessario un tetto al numero di migranti. La politica della Linke ha poi aggiunto che i fatti tragici degli ultimi giorni dimostrerebbero come “l’accoglienza e l’integrazione di rifugiati e migranti sono connesse con problemi rilevanti e sono molto più difficili di quanto abbia voluto farci credere Merkel con il suo ‘Ce la facciamo’ dello scorso autunno”.
Una dichiarazione, quella di Wagenknecht, che le sta facendo affrontare forti critiche e contestazioni da parte del proprio partito, ma che non è frutto d’inesperienza o improvvisazione politica. Non è la prima volta che Wagenknecht faccia emergere le contraddizioni di un partito che da anni tenta di coniugare l’anima radicale e terzomondista del post-euro-comunismo occidentale e quella più ostalgica e nazionale del post-socialismo dell’est.
Ma, ancora di più delle vicende interne dello specifico gruppo politico, le posizioni di Wagenknecht sono enormemente emblematiche del tentativo strategico di una parte della Linke di preservare e non perdere il suo considerevole bacino elettorale nella ex DDR. Diverse zone depresse della vecchia Germania orientale, infatti, sono molto sensibili al nuovo populismo, pur non essendo assolutamente il solo elettorato orientato verso il neo-nazionalismo tedesco. Quello che è certo è che, da almeno un paio d’anni, anche in Germania la destra sottrae consensi alle sinistre tramite il tema dell’immigrazione, insistendo sull’offerta socio-psicologica di una riscossa identitaria e ponendosi come guida ideologica in un potenziale conflitto sociale tra migranti e “proletariato bianco” del paese.

I RIFUGIATI ARRIVANO DA UNA GUERRA CHE NESSUNO STA FERMANDO

Fuori dai confini nazionali guarda invece Cem Özdemir, leder dei Verdi, che ha detto di vergognarsi del “fallimento delle politiche di asilo dell’Europa e, su tutti, della Germania”. Secondo Özdemir, la posizione di Merkel di giovedì scorso, in cui la Cancelliera ha dichiarato di voler rimuovere le “cause delle crisi delle migrazioni”, si baserebbe su parole completamente “vuote”. Facendo anche riferimento all’attuale situazione ad Aleppo, il politico verde ha sottolineato come risolvere la cosiddetta crisi dei migranti sul piano della sola politica interna sia impossibile, sostenendo poi che la Germania non faccia abbastanza per porre fine al terribile e sanguinoso conflitto in Siria.
Effettivamente, Angela Merkel si è limitata a dichiarare di voler combattere l’Isis, sorvolando la questione siriana che, come ben noto, è tragicamente più complicata e intricata. Qualunque sia lo scopo politico della sua dichiarazione, la critica di Cem Özdemir è andata a indicare l’origine dell’incredibile e inarrestabile flusso di migranti e rifugiati provenienti dal Medio Oriente.
Empiricamente e oggettivamente, infatti, l’immigrazione massiccia continua anche a essere l’eco insanguinata di una guerra atroce. Una guerra intrappolata negli schemi di un feroce e sempre più precario equilibrio geopolitico. Un equilibrio in cui anche la Germania ha un ruolo.

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