Immigrazione
Crescini (ASGI): ‘Migranti caricati sull’Aquarius da motovedette italiane’
La rappresentazione che ci è stata data della vicenda dei 629 migranti dell’Aquarius fa gioco a una politica abituata a usare i problemi come un’opportunità propagandistica e a un’informazione subalterna che si concentra consapevolmente sulla punta dell’iceberg fingendo di non vedere ciò che si nasconde in profondità. Al punto che in questi dieci giorni di roventi polemiche ha perlopiù omesso di raccontare ciò che invece ci ricorda in questa intervista Giulia Crescini dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), cioè che 400 dei 629 migranti sull’Aquarius ce li hanno messi, dopo averli recuperati in mare, tre motovedette militari italiane su indicazione del Centro di Coordinamento dei soccorsi di Roma. Dietro a questa commedia dell’assurdo e alle sparate di Salvini sta la vera sostanza del problema e cioè che il neoministro degli Interni non fa che portare avanti strombazzandola ai quattro venti la politica che i governi italiani degli ultimi dieci anni hanno ideato e portato avanti alla chetichella, una politica basata su uno scambio tanto chiaro quanto cinico: noi paghiamo chi governa la Libia per bloccare le partenze, senza chiederci come. E la aiutiamo a recuperare chi scappa.
Il traffico di esseri umani è un business che, stando al Rapporto OCSE Corruption and the smuggling of refugees (2015), nel 2008 solo negli USA ‘fatturava’ 26 miliardi di dollari l’anno e che ‘non si svolge solo nel mercato nero’, ma è un addentellato dell’economia legale, di cui utilizza i servizi (come banche e money transfer), in cui ricicla i propri proventi e che rifornisce di manodopera a basso costo e opportunità di guadagno in tutto il mondo, Europa inclusa. I Buzzi non esistono solo in Italia, come testimonia un’inchiesta di Bloomberg del 2016 sulla ‘corsa all’oro’ rappresentato dall’assistenza ai rifugiati nella civilissima Norvegia: ‘Poco fuori da Oslo – si legge tra l’altro – uno scaltro imprenditore di nome Ola Moe di recente ha preso in affitto un ospedale abbandonato per 10mila dollari al mese, ha fatto minimi lavori di manutenzione e ha cominciato a fatturare 460mila dollari al mese al Governo per ospitare e sfamare duecento rifugiati’. L’atteggiamento della politica europea, che usi ipocritamente toni accorati per i ‘fratelli migranti’ o che impugni la frusta del castigamatti contro i ‘clandestini’, sembra ispirato dall’illusione di poter ‘regolare’ questo mercato, aprendo e chiudendo i rubinetti dei flussi migratori, anche in funzione delle proprie esigenze politiche. E anche, osserva l’esponente dell’ASGI, dalla tentazione di usare il controllo dei flussi come una chiave per entrare in Africa a salvaguardare interessi squisitamente economici. Ma cominciamo dalla questione di maggiore attualità.
Come funziona il soccorso in mare? Dalle discussioni a cui abbiamo assistito si direbbe che non ci sono regole chiare.
Non è così. Nel comunicato stampa ASGI sulla vicenda Aquarius abbiamo enumerato le norme che regolano casi come questo. In ogni caso l’aspetto determinante è che l’Italia aveva coordinato i soccorsi e che le persone che erano a bordo dell’Aquarius erano state precedentemente trasferite lì da imbarcazioni o della Guardia Costiera o della Marina Militare italiana. Una procedura che viene messa in pratica spesso per consentire a queste unità di proseguire nelle attività di soccorso dopo aver inviato chi è già stato salvato verso un porto sicuro. Inoltre l’imbarcazione si trovava a ridosso delle acque italiane e Malta non aveva dato la disponibilità di accesso ai propri porti, quindi non rimaneva che sbarcarli in Italia. Su questo punto bisognerebbe aprire una parentesi, perché le cose non sono così semplici come vengono presentate dalla stampa, in quanto Malta non ha una propria SAR (Search and Rescue, area di ricerca e salvataggio. NdR). Ma andiamo avanti. Se, come è successo in questo caso negando lo sbarco, si crea una situazione in cui è a rischio l’incolumità delle persone, allora c’è una violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Le regole quindi ci sono e sono chiare. L’Italia, essendo il paese più vicino alla Libia, non può che soccorrere le persona a bordo dei barconi e accoglierle. Il punto semmai è rimettere in discussione il Regolamento di Dublino, che impone ai migranti di rimanere nel paese in cui sono stati registrati.
Da Prodi a Berlusconi, da Monti e Gentiloni ci sembra che gli accordi tra Italia e Libia su cui si è basata la politica italiana in materia di migranti negli ultimi dieci anni siano caratterizzati da una forte continuità e basati su uno scambio chiaro: noi vi diamo del denaro e voi fermate gli imbarchi.
Sì, è vero, con la differenza che nell’accordo siglato da Berlusconi la parte che riguardava il blocco dei migranti era uno dei tanti contenuti, l’articolo 19, di un patto più complessivo, mentre nel memorandum di Gentiloni in sostanza si parla solo di quello e i termini dello scambio a cui accennavi tu sono scritti nero su bianco con una chiarezza senza precedenti.
A proposito, il memorandum Gentiloni-al Sarraj non era stato annullato da un tribunale libico?
Sì, anche se poi non abbiamo capito bene come sia andata a finire quella vicenda, perché ci troviamo in un conflitto di competenze tra i due parlamenti, quello di Tripoli e quello di Tobruk. Noi invece abbiamo impugnato il memorandum perché la Costituzione italiana prevede che i trattati debbano essere approvati dal Parlamento, cosa che in questo caso non è successa.
Nel memorandum è scritto che i campi profughi sono ‘sotto l’esclusiva autorità del Ministero degli Interni libico’, il che significa che le agenzie internazionali non possono accedervi senza l’autorizzazione del Governo.
In Libia ci sono due tipi di campi, quelli legali gestiti dalle autorità e quelli gestiti dalle stesse bande di trafficanti e il trattamento, maltrattamenti e torture incluse, non ci risulta essere molto diverso. Se qualcuno volesse documentarsi sulla gestione di questi centri consiglio di leggere il rapporto di Amnesty. Per quanto riguarda gli accessi ai campi ufficiali, come dicevi, le agenzie internazionali ricadono sotto il controllo delle autorità libiche, che a loro volta sono controllate o complici dei trafficanti. In ogni caso poi ci sono regole per cui quelle agenzie possono entrare in contatto solo con migranti di determinate nazionalità tra quelli rinchiusi nei campi.
Nel memorandum poi non si parla mai di profughi, ma solo di immigrati clandestini.
Questo avviene per due ragioni. La prima è che la Libia non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra e non ospita alcun ufficio dell’UNHCR, l’agenzia dell’ONU che si occupa dei rifugiati. Quindi o hai un permesso di lavoro oppure sei irregolare. All’epoca di Gheddafi il permesso di lavoro veniva concesso in pratica a chiunque. Oggi invece viene rifiutato, per cui una volta che arrivi in Libia sei clandestino e quindi ti possono tranquillamente sbattere in prigione. Poi c’è il fatto che in Europa è diventato impossibile entrare per vie legali, perché i visti per ragioni umanitarie non esistono più e quelli per turismo e lavoro vengono concessi col contagocce.
Questo tende ad avallare le tesi della destra per cui coloro a cui viene riconosciuto lo status di profughi sono uno su dieci.
Che però è falsa. All’ultima riunione dell’ASGI ne abbiamo discusso e i dati ci dicono che in realtà alla fine di tutti i gradi di giudizio sono più del 65% i richiedenti la cui domanda di asilo viene accolta.
Cambiamo argomento: cosa pensi dell’inchiesta sulle ONG?
Che le azioni legali nei loro confronti alla fine cadranno nel nulla, perché sia il Testo Unico sull’immigrazione sia il Codice Penale prevedono una clausola di salvaguardia ovvero che non è perseguibile chi ‘ha agito in condizioni di necessità’, come è effettivamente successo. Finora infatti tutte le accuse formulate nei loro confronti sono cadute.
Anche la Guardia Costiera libica fa di tutto per dissuadere le ONG dal fare il loro lavoro…
Certo, anche minacciando e sparando sulle persone. Ma più in generale la guardia costiera libica ha un ruolo veramente ambiguo, perché da una parte organizza le partenze dei barconi in combutta coi trafficanti, dall’altra si spinge in mare e minaccia migranti e imbarcazioni di soccorso per costringere chi fugge dalla Libia a tornare indietro.
Ci stai dicendo che chi dovrebbe prevenire gli imbarchi in realtà li organizza?
Sì e non ho alcun problema a dirlo, perché fino a qualche tempo fa era ciò che ci raccontavano i migranti arrivati in Italia con cui abbiamo a che fare, ma da un paio di giorni è arrivata anche una denuncia ufficiale dell’ONU. Un agente della Guardia Costiera libica infatti è accusato di aver organizzato le partenze dei migranti in collaborazione coi trafficanti. Queste sono le persone a cui l’Italia fornisce denaro ed equipaggiamento.
Veniamo al Niger, che è il rubinetto a monte della Libia. Voi avete fatto richiesta di accesso agli atti per poter consultare il testo dell’accordo tra Italia e Niger in materia di immigrazione. Sarebbe interessante averlo per verificare se effettivamente, come hanno dichiarato fonti governative nigerine, la missione militare italiana è stata decisa a loro insaputa. Voi cosa ne sapete?
Tra Italia e Niger è stato stipulato un accordo nel settembre 2017, contenente diversi punti tra cui presumibilmente anche la questione del controllo dei flussi migratori. A questo sono seguite due lettere indirizzate dal governo del Niger e quello italiano, la prima il primo novembre, la seconda il 15 gennaio, subito prima dell’approvazione della missione in Parlamento. Questi documenti vengono citati proprio nel dispositivo approvato in aula ed essendo contenuti in una legge dovrebbero essere accessibili ai cittadini. Invece ci è stato negato l’accesso agli atti per ragioni di sicurezza.
Da avvocato ti chiedo: non ti sembra che da questa situazione emerga la fragilità della legge e cioè che i rapporti di forza e gli interessi economici finiscono sempre per prevalere sulle regole scritte?
Beh, in effetti è così. Penso che accada soprattutto in Europa e che la politica dell’UE in Africa rifletta l’incapacità europea di affrontare i problemi e la volontà di usare l’immigrazione come chiave per mettere un piede in Africa per ragioni squisitamente economiche.
Da ‘aiutarli a casa loro’ a ‘sfruttarli a casa loro’?
Sì, sfruttarli a casa loro, ma anche mescolare in modo surrettizio la questione dell’aiuto allo sviluppo con quello delle migrazioni. Perché in realtà ci sono ormai diversi studiosi i quali sostengono che più aumenta il reddito più le persone tendono a spostarsi per migliorare ulteriormente le proprie condizioni di vita.
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