Immigrazione

Chi oggi in Europa alza muri, domani implorerà per la sua quota di immigrati

9 Settembre 2015

Cominciamo subito dai fatti. O meglio, dai numeri.

Oggi, secondo un rapporto della UE, in Europa in media ci sono quattro persone in età lavorativa (fascia 15-64 anni) per ogni pensionato. Nel 2050, visto il progressivo invecchiamento del continente, ce ne saranno solamente due.
La problematica sarà comune ad ogni paese: in Germania si stima che vi saranno quasi 24 milioni di pensionati contro poco più di 41 milioni di lavoratori. In Spagna 15 milioni contro 24; in Italia 20 milioni contro 38.
Per rendersi conto che, con questi numeri, i nostri attuali sistemi pensionistici non potranno in alcun modo reggere, non serve un premio Nobel.
E allora che si fa?

 

Le soluzioni per ovviare a questa situazione non sono molte.
Tendenzialmente, o si tagliano le pensioni, o si aumentano notevolmente i contributi che ogni cittadino europeo dovrà versare in busta paga, oppure si deve trovare il modo di aumentare il numero di persone che pagano le tasse.
Le prima soluzione, ormai lo abbiamo capito, è assai poco praticabile. Basti solo pensare a quello che è successo a casa nostra, dove la manovra indetta dal governo Monti nel 2011 al fine di aumentare l’età pensionabile è risultata forse la più indigesta della storia repubblicana, ed ha scatenato una serie di malumori infiniti, ricorsi e polemiche, che hanno letteralmente affossato la popolarità di quel governo, all’inizio piuttosto elevata, e ne hanno decretato la fine, sia pure per vie traverse. Non è difficile immaginare, allora, che un eventuale taglio delle pensioni, che oltretutto dovrebbe essere molto consistente, scatenerebbe reazioni ancora peggiori, sarebbe di dubbia costituzionalità, avrebbe un impatto regressivo sui consumi e comunque provocherebbe una drammatica perdita di popolarità verso qualsiasi governo dovesse anche soltanto ventilarne l’ipotesi.

Allo stesso modo, aumentare i contributi da versare in busta paga sarebbe una misura appena sotto la follia, visto che in molti stati dell’Eurozona essi sono già al limite della sopportazione da parte dei lavoratori, soprattutto in paesi come il nostro (il cuneo fiscale italiano, secondo l’Eurostat, è il più elevato in Europa dopo il Belgio, e raggiunge il 42,5%). Qualsiasi ulteriore intervento in tal senso sarebbe dolorosissimo, e avrebbe anch’esso conseguenze recessive per un’economia già provata.

 

Stando così le cose, rimarrebbe dunque solo la possibilità di aumentare il numero di persone che pagano i contributi. Soluzione relativamente indolore, ma di difficile attuazione pratica, giacché è stato calcolato da Leonid Bershidsky, su Bloomberg, che per mantenere un livello di sostenibilità l’Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020.
E di oltre 250 milioni di europei in più nel 2060.
La domanda è: chi li fa, tutti questi nuovi cittadini?

 

Sicuramente non le madri italiane. Il nostro paese, com’è noto, ha il terzo tasso di natalità più basso del mondo (dati del Cia World Factbook, 2009), migliore solo di quello di Giappone e Singapore, e anche per gli altri paesi dell’Europa la situazione è poco rassicurante.
La popolazione europea cresce di nemmeno l’1% annuo, con punte addirittura negative (soprattutto nei paesi dell’Est: Lettonia, Ucraina, Bulgaria sono in decrescita), e va sottolineato che anche questo piccolo aumento generale si deve principalmente ai flussi migratori che raggiungono il Vecchio Continente da Asia e Africa.
Senza immigrazione, il tasso di crescita di quasi tutti i principali paesi europei sarebbe fortemente negativo.

 

La soluzione, a questo punto è evidente, non può che venire da fuori.
E in realtà sta già arrivando mentre parliamo: si tratta dei milioni di profughi siriani (e non solo) che l’ONU ha stimato giungeranno in Europa nei prossimi vent’anni.
Sia chiaro, qui non si vogliono negare le difficoltà enormi a cui si andrà incontro a causa dell’arrivo di un flusso di persone così imponente: sistemare, e soprattutto integrare, una tale massa di migranti sarà un compito immane.
Ma le centinaia di migliaia di uomini e donne, perlopiù giovani o giovanissime, che già ci stanno raggiungendo su barconi, sui treni, o persino a piedi, sono esattamente quello di cui l’Europa ha bisogno per garantirsi un futuro.
E non da domani, ma da subito.

 

D’altronde, a smentire chi ancora avesse dubbi sull’impatto positivo dell’immigrazione nell’economia del paese ospite, ci hanno pensato l’Ocse ed uno studio della Fondazione Leone Moressa: nel 2014, in Italia, gli stranieri hanno pagato circa 6,8 miliardi di euro di Irpef, mentre hanno beneficiato del nostro Welfare per appena 3 miliardi di euro. Fatti i dovuti conti, quindi, il rapporto costi-benefici dell’immigrazione è stato, per l’Italia, largamente positivo: parliamo di un guadagno netto per il paese di quasi 4 miliardi. Un contributo fondamentale, per un paese ancora alle prese con gli strascichi di una crisi economica devastante.

E qualcuno, finalmente, sembra essersene accorto.
Perché quando Angela Merkel sceglie di aprire le porte della Germania a 500 mila rifugiati siriani l’anno non fa nient’altro, dal punto di vista economico, che garantire un futuro al sistema pensionistico tedesco e di conseguenza all’economia dell’intero paese.

 

E allora, se dopo la Germania anche il resto dell’Europa riuscisse a mettere da parte paure infondate e razzismi, e affrontasse questa situazione con coraggio e razionalità, questo flusso di migranti forse smetterebbe di apparire solo come un gigantesco problema e si rivelerebbe anche per la grande opportunità che rappresenta.
Perché ormai è chiaro che accogliere i migranti che ne hanno diritto non è soltanto un atto di umanità da cui non è possibile tirarsi indietro, ma anche un gesto di lungimiranza economica.
E chi oggi si affretta ad alzare i suoi patetici muri di filo spinato, un domani non troppo lontano potrebbe ritrovarsi ad implorare per la sua quota di immigrati siriani.

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