Governo

“Che stirpe d’uomini è questa? Ci nega accoglienza alla riva…”

6 Aprile 2019

Emergenza migranti: quando se ne parla con toni obiettivi e pacati si è accusati di “buonismo”. Se non mostri il volto duro di chi proclama – a difesa dei confini patrii – “io non mollo”, diventi espressione di una retorica sinistroide dalla facile commozione. Ogni volta che si affacciano sentimenti cosmopoliti bisogna essere pronti a smontare gli attacchi di chi vede nell’orda straniera dei naufraghi in fuga dalla guerra, gli invasori, i ladri di lavoro, di denaro e di pace, perché nella narrazione xenofoba di chi è al governo, ogni straniero è brutto, sporco e cattivo, chi non si integra – cioè non rinuncia volontariamente alla propria cultura in nome di un’auspicata e ormai mendicata accoglienza – vuol dire che non è integrabile. Stiamo assistendo  alla polverizzazione del principio di humanitas, non ce ne rendiamo conto, la chiamiamo “sicurezza” e, nella neolingua del potere, quella che viene spacciata come integrazione – resa deliberatamente più difficile da norme che alzano sempre di più l’asticella dell’integrabilità – è di fatto disintegrazione del tessuto connettivo della dimensione umana, dello ius humanum.

Chi lavora nelle scuole lo sa bene: le classi multietniche sono una realtà. Non è respingendo che ci si dimostra forti né si è meglio ascoltati da una sorda Europa se si alza la voce o si fanno gesti eclatanti di ostentata pervicacia, tratti da un copione ormai diventato un cliché politico: inveire contro gli stranieri e contro chi li salva, respingere, far finta di voler salvare donne e bambini – ma non i padri e i mariti – fare la voce grossa con la comunità europea, proclamare la chiusura dei porti, mostrarsi superomistici con i deboli, perseverare con il “celodurismo” e costruire una mitografia come investimento elettorale: l’uomo forte al potere se ne frega, non molla e va avanti!

C’è un libro che forse chi governa dovrebbe studiare, fa parte della nostra tanto celebrata “identità nazionale” brandita ormai come arma di difesa contro i barbari che arrivano dal mare sui gommoni: l’ha scritto Virgilio nel I secolo d.C., è l’Eneide e parla del fondatore di Roma, la città eterna, quella da cui proviene il sangue italico. Il protagonista è Enea, un profugo che naufraga nel Mediterraneo, viene da terre mediorientali dove imperversa la guerra, approda in Africa, riparte per l’Italia e attraversa ancora il mare.

Di alcuni celebri passi dell’Eneide è stato recentemente pubblicato un toccante commento: si intitola Homo sum, l’autore è Maurizio Bettini (Einaudi, 2019). La riflessione di Bettini parte da alcuni versi significativi e chiaramente riferibili al nostro tempo. Contro i Cartaginesi allarmati per lo sbarco dei troiani e pronti a dar fuoco alle loro navi – poi saggiamente cambieranno idea e l’ospitalità della regina Didone dimostrerà ai profughi di Troia il senso umano della vita – il troiano Ilioneo pronuncia parole commoventi e molto attuali: che stirpe è questa di uomini, che barbara patria è questa che permette questi usi? Ci nega accoglienza alla riva, viene a aggredirci e ci scaccia dal margine estremo del lido. Se disprezzate il genere umano e le armi mortali, temete almeno gli dei memori di giustizia e iniquità. Chi nega accoglienza, chi respinge i naufraghi appartiene a una stirpe barbara, indegna, turpe.

Virgilio ci ha lasciato versi immortali: sono alla base del riconoscimento dei diritti umani. Se leggiamo nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che gli esseri umani devono agire tra loro in spirito di fratellanza, se l’articolo 10 della nostra Costituzione sancisce che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica”, lo dobbiamo anche a Virgilio, chiarisce Maurizio Bettini nel suo libro.

I classici continuano a insegnare molto. Quando si parla di salvaguardia dell’ “identità nazionale” si dovrebbe sapere che tale principio si è formato sui moniti di chi anteponeva ad ogni legge “nazionale” il senso profondo e prioritario dello ius humanum.

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