Immigrazione
Antigone e una sinistra senza idee che ha bisogno di eroi
Carola Rackete ha agito nel rispetto della legge. Lo ha stabilito il gip di Agrigento non convalidando il suo arresto. Giustizia e diritto nel caso della comandante della Sea-Watch 3 coincidono. Per questo, Carola Rackete non è Antigone. Non lo è mai stata.
Sembra allora quanto meno eccessivo quello che s’è scritto nei giorni scorsi su una asserita contrapposizione, in questa vicenda, tra diritto e giustizia. Sembra eccessivo anche ciò che s’è letto a proposito delle possibili conseguenze delle scelte di questa donna che, al comando di una nave nel mezzo del Mediterraneo, ha salvato la vita a decine di persone, accompagnandole infine a Lampedusa, porto sicuro più vicino. Tutto ciò, infatti, a quanto sappiamo è avvenuto in accordo con la legge degli uomini. Antigone invece violò la legge di Creonte in nome di una norma oltremondana. «Non pensavo – le fa dire Sofocle nel rivolgersi al re di Tebe – che i tuoi decreti avessero tanto potere da consentire a un mortale di calpestare le leggi non scritte degli dèi, che sono inviolabili. Perché esse non sono di oggi o di ieri ma vigono da sempre e nessuno può dire quando siano apparse. Io non volevo cadere nella loro condanna, al cospetto degli dèi, per paura di un uomo e della sua arroganza».
Ora, è evidente che persino il ricorrere di certe parole appaia suggestivo, se si intende riportare quell’episodio all’oggi. E, però, affinché vi sia una Antigone occorre necessariamente che vi sia anche una contrapposizione tra il diritto degli uomini e quelle leggi non scritte alle quali si riferisce Sofocle. Come si è visto, nel caso di Carola Rackete questa contrapposizione non c’è mai stata. Lo sappiamo perché lo ha stabilito un giudice ma ci si poteva arrivare anche prima: sarebbe stato sufficiente dare ascolto ai tanti giuristi che hanno provato a spiegare in questi giorni che per lo meno sussistevano elementi in questa direzione.
Certo, c’è ancora da attendere l’eventuale impugnazione della procura e poi pende anche un’altra accusa, quella di favoreggiamento della immigrazione clandestina. Ma a leggere l’ordinanza del gip, gli avvocati della Sea-Watch 3 avrebbero qualche ragione nell’essere ottimisti. E, poi, nelle stesse ore in cui la gip di Agrigento prendeva la decisione, Luigi Patronaggio – capo di quella stessa procura che aveva chiesto l’arresto di Rackete – affermava alla Camera che salvare i migranti è legittimo e che «non sono mai emerse collusioni tra le ong e i trafficanti di esseri umani». Ciò detto, qualunque sarà la decisione sul punto, le cose non cambierebbero poi molto per il discorso che qui si sta facendo e che riguarda soprattutto la politica.
Se a sinistra si era davvero convinti che Carola Rackete stesse facendo una cosa giusta, e se – come si è visto – c’erano anche elementi per provare almeno a sostenere che quella cosa era anche legittima, c’è da chiedersi allora come mai si sia finiti in così tanti a immaginare e raccontare Carola Rackete come fosse l’incarnazione di Antigone.
In questo modo, infatti, non le si è fatto un gran favore poiché si è sostanzialmente affermato – esattamente come stava facendo Salvini con toni più duri ed espliciti – che quella di Carola Rackete era una condotta criminale in quanto al di là delle leggi, proprio come fu la condotta di Antigone. Si è insomma assunto il punto di vista del leader della Lega sulla illegittimità della attività della Sea-Watch 3, cercando poi di accomodare una soluzione purchessia. Ed ecco allora saltar fuori Antigone.
Sarebbe stato più giusto sostenere la legittimità del comportamento della comandante. Soprattutto, sarebbe stato un atto politico. Gli elementi per sostenerlo, come si è detto, c’erano. Per farlo, però, sarebbe stato necessario avere le idee chiare sulla propria agenda politica. Anzi, a dirla tutta, sarebbe stato necessario averla una agenda politica. Evidentemente, quell’agenda a sinistra ancora manca. Così, per il momento, mancando punti di riferimento e coraggio, non è rimasto che inseguire l’avversario. Ma non è una novità.
Era già capitato negli anni di Matteo Renzi alla guida del Pd quando, nel 2017, a proposito di migranti sosteneva: «Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio. Se ciò avvenisse sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico. Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo. Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro». È evidente come il Pd stesse prendendo a prestito uno slogan caro alle destre. E oggi lo stesso Renzi, pur senza nominarlo, sulle pagine di Repubblica va all’attacco di Marco Minniti, ex ministro nel governo guidato da Paolo Gentiloni, affermando che «non abbiamo sottovalutato la questione immigrazione: l’abbiamo sopravvalutata quando nel funesto 2017 abbiamo considerato qualche decina di barche che arrivava in un Paese di 60 milioni di abitanti una “minaccia alla democrazia”. Il crollo nei sondaggi del Pd comincia quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia come avevamo fatto sulle unioni civili. Geometrica dimostrazione di impotenza: allarmismo sugli sbarchi, mancanza di coraggio sui valori. Il successo di Salvini inizia lì». Comunque la si pensi, è mortificante dover constatare non soltanto il fatto che il Pd su una questione così drammatica non abbia ancora una agenda condivisa ma che, per di più, anche questa questione sia materia per un regolamento di conti interno al partito, ché questa è la sensazione netta che si ha. E, insomma, siamo alle solite.
Infatti, volendo si può andare ancora più indietro nel tempo, ben prima di Renzi. Che una sinistra afasica fosse costretta a inseguire gli avversari, era accaduto anche con Silvio Berlusconi il quale impose un orizzonte culturale a cui quasi nessuno è stato davvero capace di sottrarsi per molti anni. Il terreno della sicurezza, poi, è proprio uno di quelli sui quali la sinistra ha ceduto senza neppure cercare di salvare le apparenze. Marco Minniti è soltanto l’ultimo ad aver preso decisioni che appaiono a molti tuttora controverse. Ma si potrebbe ricordare anche la svolta sulla sicurezza che Walter Veltroni provò a imporre a Romano Prodi, incalzato da certi bruttissimi fatti di cronaca nera avvenuti nella capitale. Si era nel 2007 e già il piano si era inclinato in modo irrimediabile.
Alla fine, per questa strada più d’uno in questi giorni è arrivato persino a ritenere che la condotta di Carola Rackete sia stato un regalo a Matteo Salvini. Lo si è sostenuto nonostante vi fosse di mezzo il salvataggio di vite umane. E, soprattutto, lo si è sostenuto nonostante un giudice abbia stabilito che tutto è avvenuto in accordo con la legge. Ed è allora una resa completa di fronte all’avversario. È una resa politica e culturale, aggravata da una soggezione intimorita che si è fatta oramai permanente. Ed è questo, a ben vedere, il vero regalo a Salvini, lo stesso regalo che già aveva ricevuto Silvio Berlusconi: la consegna di sé, del centrosinistra agli avversari, come mera irrilevanza politica.
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