Immigrazione
Amore precario in guerra perenne: Yonathan Netanyahu e Atticus Lish
La guerra non è più una questione isolata, un fatto delimitato tra due o più contendenti, tra due o più territori. La guerra è oggi una questione privata, spesso intima e come tale diffusa e sciolta nella quotidianità: la retorica delle giungla è infatti oggi consunta di fronte all’incedere dilagante di una forma di guerriglia che concerne ogni ambito del vivere comune.
Il terrorismo è solo l’increspatura di uno specchio d’acqua colmo, il terrorismo infatti oggi non genera più paura, ma ansia.
La guerra ha preso piede nel cervello e si è espansa ben oltre i nostri corpi raggiungendo lo stadio di una percezione perenne. Tutto può accadere da un momento all’altro: c’è mare mosso, oppure tutto sta accadendo e bisogna correre ai ripari. L’emergenza e la paura non hanno più confini e sono esse stesse esaurite da una continua richiesta di performance percettiva: la reazione alla guerra ha sempre e solo una soluzione, un’altra guerra.
Resiste l’origine, ossia il fatto privato che isolato dall’ansia politica e dagli obblighi spesso vacui di una sterile storicizzazione genera ancora un pensiero abile alla ripartenza, al ritorno su terreni più utili di conoscenza e di analisi, fors’anche solo di carattere emotivo che non siano però nella forma presuntamente contemporanea della nostalgia.
Yonathan Netanyahu (fratello maggiore dell’attuale premier israeliano) è considerato uno degli eroi nazionali israeliani, comandante del reparto speciale dell’esercito si distinse nella guerra del Kippur e fu a capo dell’operazione Entebbe in Uganda che liberò alcuni ostaggi israeliani caduti nelle mani di dirottatori palestinesi e tedeschi. Netanyahu fu l’unica vittima di quella missione in cui mori all’età di trent’anni. In questi giorni è arrivata in libreria la raccolta delle sue lettere tradotte con cura e attenzione da Liberlibri (Traduzione e introduzione di Michele Silenzi).
Il volume, Lettere è sicuramente interessante su più fronti e capace di aprire anche aspre discussioni attorno al ruolo e alle responsabilità dell’autore e in generale di Israele, ma la qualità di queste lettere, l’incredibile sensibilità e la lingua accurata di Yonathan Netanyahu superano di gran lunga l’interesse politico e di pubblico eroe, rivelando uno scrittore o meglio un intellettuale di rara sensibilità capace di compiere un racconto acutamente atroce che vede un giovane e brillante uomo avviato ad un’ambiziosa carriera ad Harward abbandonare tutto per la difesa della propria patria. E non conta da che parte si sta, questo è il dato e da qui parte la scrittura e la visione di uno testo letterario di rara intensità e audacia, capace di raccontare dal fronte di guerra della seconda metà del Novecento la nostra complessa contemporaneità.
L’epistolario si muove dal 1963 fino a pochi giorni prima della morte dell’autore nel 1976. La dimensione militare con le sue logiche e il suo spesso assurdo rigore attraversa interamente il volume fino ai bordi di una tragedia che – nonostante l’inconsapevole voce narrante – sembra sempre più, di pagina in pagina data ed evidente come una condanna scritta fin dalle prime righe.
Scrive Yonathan Neatnayahu diciassettenne dall’America ad un’amica: “Mi alzo al mattino, vado a scuola, torno a casa e studio. Leggo molto, cammino. Vado a letto. Un altro giorno andato. Un giorno senza contenuto e senza significato. Un giorno su cui domani si alzerà di nuovo il sole soltanto per poi spegnersi ancora. E poco più avanti: “Sto aspettando il momento di poter tornare, e ricominciare a vivere”.
Le medesime sensazioni le esprimerà da adulto una volta al fronte, certo con un altro afflato, magari con l’ansia in corpo e la premura di rassicurare, ma il tono nella sua sostanza non cambia.
Yonathan Netanyahu definisce con chiarezza l’impalpabilità tra la pace e la guerra nel mondo contemporaneo, ridefinisce il ruolo della guerra sulla propria pelle, tra le pieghe dolorose dei propri sentimenti e la stanchezza di un corpo costretto a lottare per una vita che chiama a voce alta la guerra. Definire Yonathan Netanyahu un eroe, come fa nella sentita prefazione Michele Silenzi è comunque riduttivo e poco inquadra il valore di una scrittura capace invece di raccontare, superando il senso stesso della testimonianza per costruire una visione chiara e limpida di quel territorio inesplorato che è l’interstizio tra lo scoppio e il colpo, tra la guerra e la pace. Guerra e pace perché si fa la guerra inseguendo la pace, ma sapendo contemporaneamente che s’insegue la morte per difendere la vita.
Molto si deve a Yonathan Netanyahu per aver saputo con intelligenza e passione raccontare in queste lettere il senso di un bisogno e l’obbligo di una necessità, lo ha fatto con la consapevolezza nel cuore e l’amore nella testa, per la donna amata e i genitori abbandonati, persi come capita oggi in questo ribaltamento generazionale che ci lascia di giorno in giorno attoniti come primitivi davanti ad uno specchio: quello che vediamo non siamo noi, ma il nostro irriducibile presente. E molto deve, probabilmente senza saperlo, anche Atticus Lish che con Preparativi per la prossima vita (Rizzoli, Traduzione di Alberto Cristofori) esordisce con un romanzo denso, morbido e a tratti grandioso: una storia americana (come lo è in un certo senso l’epistolario di Netanyahu) i cui protagonisti sono una coppia di reduci.
Quale forma hanno i reduci oggi in un tempo in cui la guerra impera fin dentro in ogni pertugio di sole e di vita? La forma è quella opaca e oscura sempre dell’interstizio, della traccia invisibile che contiene mondi infiniti che sono tali solo perché irriconoscibili alle categorie in lotta che occupano il campo.
Lish racconta di una coppia di innamorati marginali nascosti nei sobborghi di Queens a New York, racconta e piano piano illumina e lo fa con un’incredibile passione per la pagina scritta, mai futile e priva di inutili esercizi di stile come capita spesso a tanti celebrati scrittori americani contemporanei (compreso l’incensato e sopravvalutato Cormac McCarthy). Lish dichiara da subito il suo amore per i protagonisti del romanzo accompagnandoli in un vorticoso e disperante intreccio che a tratti assume i toni epici tipici di Tennesse Williams: la vita è persa, il futuro è in abbandono, non resta che l’attimo imprevedibile dentro al quale scartare di passo e a cui prepararsi con cura e precisione.
Preparativi per la prossima vita non celebra la sconfitta, ma l’inesorabile bisogno di difesa, di quell’argine in grado di produrre desiderio e meraviglia e non è un caso che i protagonisti siano una coppia dentro alla quale il mondo risplende come il mattino del 12 settembre 2001 in maniera inesorabile e invincibile.
Zou Lei, clandestina americana e Brad Skinneer, reduce di guerra americano e ancora Yonatahn Netanyahu, eroe nazionale israeliano, sono i protagonisti di uno spazio di vita ambiziosa che supera l’attualità e piomba in un contemporaneo silente e oscuro bisognoso di immagini e di parole, ma sempre più difficile da raccontare, da descrivere e da vivere. È la guerra del resto, si dirà; certo, ma intanto Atticus Lish con il suo romanzo e Jonathan Netanyahu con il suo epistolario hanno bucato la bolla, e dalle parole, da quelle messe a valore non si aprono che nuovi orizzonti. E questa volta sarebbe necessario imparare a farci qualcosa di utile con questi orizzonti allargati, nonostante la Storia e nonostante Karl Kraus.
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