Immigrazione

“Alpenstock”, immigrati e Grand Guignol tra le montagne alpine

14 Aprile 2018

In un lindo e immaginario paese austroungarico che con un cambio di consonante e vocale è diventato il Kyrolo, il quadretto idilliaco di verdeggianti prati e antiche tradizioni montanare va in frantumi all’irrompere disordinato e caotico della Storia. Questa arriva con i migranti, uomini e donne di popoli in fuga da guerre e miseria, provocando laceranti crisi d’identità. Emergono i timori irrazionali nei confronti dell’altro, il diverso da tenere lontano, possibilmente sigillato ai confini. O eliminato. Accade in “Alpenstock” testo urticante e illuminante di Rémi De Vos, autore teatrale francese tra i più rappresentati in patria e all’estero, in scena nei giorni scorsi _ dopo il debutto avvenuto lo scorso anno e prima di una ripresa estiva e autunnale_ al teatro Rifredi di Firenze, esempio di funzionante spazio popolare ospitato in uno storico centro resistenziale del mutualismo operaio, con la regia di Angelo Savelli che ha osservato fedeltà certosina al testo originale. Anche perchè “Alpenstock” parla un linguaggio diretto, e la farsa iniziale, innervata di comicità surreale e coinvolgente vira poi, in modo grandguignolesco, in un noir dove il riso si farà sempre più a denti stretti e tutto quel parlare di purezze da non tradire e fobie di immigrati sembrerà la cronaca di qualcosa che ci riguarda da molto vicino.

In alto e qui sopra Ciro Masella e Antonella Questa in “Alpenstock” (Foto Enrico Gallina)

Si, perchè la bianca e pulita casetta, nido di Fritz e Greta (ottimamente interpretati da Ciro Masella e Antonella Questa, traduttrice anche del testo), coppia apparentemente perfetta, solidamente incastonata in un menage classico e banalmente borghese, diventerà progressivamente il luogo di orrore per esecuzioni splatter o, se si preferisce, ultima trincea dove difendere la propria razza dall’invasione di stranieri come l’eccentrico Yosip Karageorgevitch Assanachu, di fantomatica nazionalità balcano-carpato-transilvana (brillantemente interpretato da Fulvio Cauteruccio sembra uscito da un film di Kusturica) in cerca di Eldorado e soprattutto attentatore delle grazie di Greta.

Fulvio Cauteruccio e Antonella Questa in “Alpenstock” al Teatro Rifredi di Firenzedi  (foto Enrico Gallina)

A fare da detonatore, galeotto, sarà un detergente. Un semplice detersivo acquistato al mercato cosmopolita da Greta che, nell’attesa del rientro dal lavoro del maritino, trascorre il tempo occupandosi in modo maniacale delle faccende domestiche, diventerà il punto di non ritorno alla tranquillità casalinga, occasione per la deflagrazione di frustazioni nascoste e insicurezze sopite.

Fritz, maschilista e conservatore (mangia solo cibi nazionalistici e nel tempo libero partecipa alle prove generali delle sfilate folcloristiche vestito in abiti tirolesi) fiuta in quel detergente il virus che può infettare. E’ la paura irrazionale, la stessa cresciuta in modo preoccupante in Europa negli ultimi anni di globalizzazione, che spinge il grigio funzionario alpino ad aggrapparsi alle proprie radici. “Le nostre montagne sono i simboli viventi della grandezza alla quale siamo destinati da sempre e cosa c’è di più ordinato, di più pulito e silenzioso della neve che ricopre le nostre montagne?” così riflette Fritz, il piccolo uomo che quel terrore trasformerà in assassino, ferocemente convinto di difendere la sua piccola patria come un eroe.

L’ira di Fritz (Ciro Casella) in “Alpenstock” (foto Enrico Gallina)

“Se la maggioranza silenziosa è muta di natura, non significa sia meno maggioritaria per definizione: un giorno finirà per rendersene conto e quel giorno il suo silenzio maggioritario farà molto rumore” vaticina sinistramente, echeggiando slogan di triste memoria.

Yosip l’immigrato slavo invece, entrato nella casa mentre Greta sta ramazzando solitaria, è il grimaldello: scassa le convenzioni e sconvolge i rapporti. Il corteggiamento e la seduzione annichiliscono la brava padrona di casa trasformando le sue ansie in attrazione erotica fino all’amplesso con Yosip, scoperto repentinamente da Fritz che lo ucciderà con la piccozza, un alpenstock appunto. L’omicidio è solo il primo di una interminabile serie e vedrà rinascere una e cento volte lo stesso Yosip che tenterà di sedurre e unirsi con Greta e ancora, morire ucciso per mano di Fritz con nuove armi, dall’ascia al bazooka.

L’immigrato Yosif (Fulvio Cauteruccio) in “Alpenstock” (foto Enrico Gallina)

Mentre i cadaveri si accumulano attorno alla casa, Greta, china sul pavimento, lava via il sangue. E’ un susseguirsi infernale di cui non si vede fine. Yosip, muore e rinasce. Dopo di lui arriveranno altri a significare che il destino della nostra società è segnato e il futuro sarà meticcio. Ma Fritz e Greta, complici e vittime, protagonisti di una spirale irrazionale, mostri in libertà capaci di dare fuoco a una possibile pacifica convivenza, stanno lì a testimoniare che un assassino potrebbe nascondersi dentro ciascuno di noi.

Lo spettacolo è stato prodotto dal Centro di Pupi e Fresedde in collaborazione con l’Istituto Francese di Firenze e il contributo della Fondazione CR Firenze.

Costumi di Serena Sartili, Scene di Tuttascena e Luci di Henry Banzi.

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