Immigrazione

A ogni angolo di strada un migrante ti gira intorno come un fantasma

21 Ottobre 2015

Li incroci come fantasmi a ogni angolo di strada del Sud, sui treni, in ogni direzione. Vanno da un angolo all’altro portandosi appresso la propria storia, a nessuno salta per la testa di fermarsi a parlare con loro, nessuno gli domanda niente, qualche volta solo un reporter è interessato a sapere qualcosa: da dove vengono, come vivono, in che condizioni sono, perché sono scappati, che speranze e sogni hanno, quanto si siano infranti nella realtà. La vita per tutti scorre spezzata dentro la sua monotonia quotidiana, ti ci trovi a percorrere un pezzo di strada assieme mentre sei di fretta, una fermata di metro, della ferrovia, del bus, dentro l’indifferenza di tutti si muovono come automi che sanno di dover stare in disparte. Come estranei camusiani, corpi esclusi della società che prova ad accoglierli a targhe alterne. Guardano le insegne, provano a capire la lingua, di tanto in tanto un imprenditore o un magnaccia si ferma a parlare con loro, e queste diventano le grandi occasioni di conversazione e vita dopo il lungo viaggio che si son lasciati alle spalle. Se hanno la fortuna di avere un cellulare o una wi-fi contattano chi è rimasto a casa, se sono davvero fortunati dall’altro lato qualcuno risponde.

Ogni tanto leggono negli occhi del ragazzino che gli capita accanto una leggera frustrazione, i suoi occhi pensano di invidiare tutti i loro privilegi ma non sa quello che dice, e nel profondo del suo cuore vuole solo dei soldi per la birra, un automobile e quel che ne viene, viziato d’Occidente com’è. Altre volte gli capita di incrociare una signora che guardandosi intorno tiene stretta al seno una borsa, più diffidente con loro che con i suoi conterranei.

Mentre nella vita reale ci approcciamo con indifferenza, intorno a loro si muovono idee, scontri, divisioni, interessi. Forse non sono perfettamente tutti consapevoli del centro di attrazione che stanno diventando, sui giornali, sui social, nelle campagne politiche, dentro i bar veri e digitali che siano. Ci si chiama razzisti a turno, per colpa loro, come se fossero un’intera razza umana perfettamente identificabile, e non un incrocio di storie, pezzi d’umanità con nazionalità e colori diversi, come se la discriminante di ogni atteggiamento razzista non dovesse essere riservata solo ai pezzi di merda di tutto il mondo e amen, indipendentemente da ogni considerazione su nazionalità, colore della pelle, credenze. Si fanno inquisizioni perverse in nome a loro, tutto intorno a loro. Si vendono storie, si conquistano voti, si perdono voti, si rubano voti, si marcia con loro per prendere voti. Eppure nella vita di tutti i giorni, ci attraversano come fantasmi d’altri mondi, di altre storie che non siamo davvero pronti ad ascoltare. L’impotenza generale di fronte a tutto questo traffico di belle speranze ci riguarda tutti, e non sapremo mai qual è il modo migliore per uscirne fuori.

 

Foto di copertina @Afp, La Stampa

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