Immigrazione

700 morti nel Mare Nostro: ma noi europei, serenamente, ce ne freghiamo

29 Maggio 2016

La stima la fornisce l’Onu. Nel Canale di Sicilia, negli ultimi tre giorni, sarebbero morte almeno 700 persone. Settecento migranti, tantissimi bambini, molti neonati. Sulle sponde libiche, il cinismo criminale dei trafficanti di uomini e donne disperati, che caricano nelle posizioni più o meno (si fa per dire) pericolose i migranti a seconda di quanto pagano per imbarcarsi. Chi paga meno finisce nella stiva e in caso di incidente muore di sicuro. Chi paga di più sta sul ponte e magari si salva, o muore dopo. Questo, papale papale, quel che succede nell’inferno che abbiamo di fronte, un inferno da cui si scappa senza poter temere una morte probabile in alto mare, che alle spalle c’è la morte sicura nella guerra o nella guerriglia, nella carestia, nel deserto. Alle spalle di queste vite, di queste storie, ci sono pezzi d’Africa insanguinati da guerre lunghe, dittature feroci che obbligano gli adolescenti alla divisa e alla guerra, islamisti ossessivi e pronti a qualunque violenza, e così via.

Da tutto questo, da molto altro, scappano sperando nel rifugio dell’Europa ma accettando anche la possibilità che il rifugio sia un’orrenda morte in mare. Succede a poche distanza dalle nostre coste, e tutto sommato a poca distanza dalle nostre vite, ma siccome le vite, queste vite, non sono nostre, noi tranquillamente ce ne freghiamo. Ci commuoviamo per una foto di Aylan e sospesi tra cattiva coscienza e malafede la condividiamo in massa sulle nostre bacheche perché – sì, sì, come no – è un gesto che scuoterà le coscienze dei capi e cambierà il mondo. E infatti, eccoci qui. Non appena il mare freddo e mosso dell’inverno è diventato quello calmo e navigabile della primavera, i barconi hanno ricominciato a partire e poi ad affondare e noi cittadini, come abbiamo sempre fatto, a pensare ad altro.

Del resto, non sono bombe nei nostri aeroporti, attentati nei nostri giornali, attentati nelle nostre metropolitano o ferrovie. Non è niente che possa capitarci direttamente, che noi siamo nati dalla parte giusta del Mediterraneo. E mediamente i nostri pensieri stanno altrove, le nostre preoccupazioni son per ben altre cose, e guai a dirlo che subito ti becchi del moralista, del retorico. E allora, accusa per accusa, tanto vale rischiare e ricordare che non per questo nasceva l’Europa, non per diventare il tempio dell’egoismo e dell’indifferenza ma in nome di tantissimi nobili “mai più”. Lasciare che il mare faccia il lavoro sporco senza trovare una strategia vera e le risorse che servono per arginare questa tragedia non è un tradimento, aggravato dall’ipocrisia, di quella promessa?

Vergognarci e indignarci non ci salverà agli occhi della storia. Ma può essere l’inizio della politica. Litighiamo con chi dice questa è un’invasione di chi vuole cambiare la nostra vita. Litighiamo con chi dice “aiutiamoli a casa loro e non sa di cosa parla”. Litighiamo con chi alza le spalle. Litighiamo tutte le volte che serve, che queste son le cose importanti, e sono le minoranze che non hanno paura di litigare quelle che rendono migliore la storia.

 

 

 

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